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Torrone

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Il torrone è un dolce, principalmente natalizio. È composto da albume d'uovo, miele e zucchero, farcito con mandorle, noci, arachidi o nocciole tostate; spesso ricoperto da due strati d'ostia. Il suo nome deriva dal verbo latino torreo che significa abbrustolire con riferimento alla tostatura delle nocciole che lo compongono.


Storia

Il torrone è un dolce molto antico e viene considerato tipico di molte regioni, non solo italiane.

Il torrone in Sardegna
Quando e chi portò il torrone in Sardegna resta tuttora un mistero. L'archivio di Stato di Cagliari conserva un contratto per la fornitura di torrone da parte di due torronai sassaresi a un bottegaio Cagliaritano, che certifica che la produzione del torrone risale almeno al 1614. Sembra inoltre che sul condaghes di Santa Maria di Bonarcado, secondo la Carta Raspi, il miele dell'attività apistica veniva utilizzato in prevalenza per fare torrone. Comunque siano andate le cose, testimonianze storiche ci dicono che ad Aritzo il torrone si produceva già a metà ‘800 anche se il tutto lascia pensare ad una data antecedente. Un registro dei primi del ‘900 annota ben 89 licenze di venditori ambulanti, su gran parte di esse compare la voce torrone. I torronai facevano parte della categoria dei “Biajantes” meglio definiti col nome di “Carrattoneris” perché per il trasporto delle mercanzie si servivano di carri trainati da buoi o cavalli. Essi vendevano ma per lo più barattavano ogni genere di prodotto che la montagna offriva; difficilmente la vendita di un solo prodotto infatti, avrebbe garantito il sostentamento. La produzione del torrone in Barbagia, è dovuta all'esigenza di valorizzare e sfruttare i prodotti originali della natura: il miele saporito e gustoso della montagna, le noci e le nocciole delle nostre profonde e verdi vallate. centri produzione più rinomati erano Aritzo e Tonara, ma vi erano anche altri paesi minori. Gli Aritzesi portavano i loro prodotti nel Campidano, mentre i Tonaresi, che da sempre si contendono con gli Aritzesi il primato della produzione del torrone in Sardegna, si occupavano del commercio nel Sassarese. Questo scambio commerciale permise uno scambio culturale umano che consentì ad Aritzo un'apertura tale all'innovazione per quei tempi che era proprio impensabile per altri paesi della Barbagia. Ne derivò il trasferimento di numerose famiglie Aritzesi a Cagliari, Quartu, Pirri, Villasor, Monastir, Tuili etc. con i loro laboratori per produrre il torrone direttamente nel mercato di sbocco, il Campidano. Nei documenti dei primi del ‘900 Tonara è sede di un laboratorio artigianale, che soddisfa le richieste degli ambulanti. La famiglia Carta aveva adibito a laboratorio un locale all'interno della propria abitazione. Vi erano due caldaie a mano e il fuoco era alimentato a lenta combustione. L'attività produttiva iniziava a metà marzo per terminare a settembre. Ma la nascita della produzione industriale del torrone è legata alla famiglia Pruneddu che nel 1963 acquista le prime caldaie elettriche, e diventerà alla fine degli anni '70 l'azienda leader per la produzione del torrone per gli ambulanti, promuovendo il marchio “torrone di Tonara”. Sempre a Tonara, un'altra azienda che merita di essere menzionata è l'azienda Pili, questa ha introdotto il torrone nella grande distribuzione e da tre generazioni produce torrone. Ad Aritzo nei primi del ‘900 esistevano parecchi laboratori di produzione del torrone. Ricordiamo la famiglia Meloni, Calledda, Muggironi, ed in particolare la famiglia Atzori che con le sue caldaie riusciva a produrre un quantitativo notevole di torrone per venderlo nelle sagre paesane, successivamente le famiglie Maxia, Pranteddu, Manca, Fois. Nella casa del torronaio, il profumo delle mandorle e delle nocciole abbrustolite aleggiava mescolandosi con quello del miele che cuoceva in un grosso pentolone in rame. Il torrone veniva lavorato con una grossa pala in legno che fungeva da miscelatore, questo comportava un lavoro faticosissimo che durava anche 5-6 ore poiché non bisognava mai smettere di mescolare o si sarebbe compromesso tutto il lavoro fatto. Quando il miele era ben caldo, si aggiungeva l'albume d'uovo montato a neve che fungeva da lievitante; si proseguiva poi con la lavorazione sino a che il torrone non raggiungeva la giusta consistenza e il tipico colore candido. Infine si versavano le mandorle, nocciole o noci e lo si travasava nelle apposite cassette il legno. In Sardegna il torrone è genuino, senza aggiunta di zucchero, sciroppo di glucosio, amido di mais zucchero invertito o altro: si scioglie in bocca senza attaccarsi ai denti e non è gommoso. È fatto di solo miele! Ad Aritzo la “produzione industriale” inizia nel 1962 quando Sebastiano rientrato dall'America fondò assieme a Francesco Pranteddu la società Fratelli Pranteddu acquistando la prima macchina elettrica dalla società Carle&Montanari di Milano. Iniziarono a produrre il torrone con un moderno packaging così come viene inteso oggi. L'onerosità di questa lavorazione era tuttavia un ostacolo alla produzione, in quanto il torrone veniva laminato, tagliato, e confezionato manualmente.

Origini
A Benevento, la tradizione del torrone risale all'epoca sannita: apprezzato e consumato dalle classi agiate, come da quelle più povere, il torrone era conosciuto già al tempo dei Romani come dimostrano alcuni scritti di Tito Livio. A Siena il torrone locale è venduto in dischi, denominati "copate" tutt'oggi. Tale specialità restò sempre in uso nel corso dei secoli sia a livelli domestici che artigianali finché subì radicali modifiche ed evoluzioni alla metà dell'Ottocento poiché nel 1871 si avviò la produzione dei torroni in carta e in astucci e grande impulso al settore diedero le numerose ditte molte delle quali, nel 1908, consorziate nelle Fabbriche Riunite del Torrone di Benevento.
Nacquero nel XIX secolo celebri tipologie di torroni come Il perfetto amore, il Torrone del Papa, il Regina, l'Alicante, l'Ingranito. Sempre nel Novecento anche la ditta Alberti avviò la produzione di torrone, mentre dal 1891 a San Marco dei Cavoti il cavalier Innocenzo Borrillo con la produzione dei Torroni Bacii fondò una propria azienda alla quale, nel corso del secolo, se ne affiancarono altre otto contribuendo a trasformare i piccolo centro della provincia nel "Paese del Torrone" dove ogni anno, dal 2000, si svolge la Festa del Torrone. Al noto imprenditore nato nel 1871 e scomparso nel 1970, nonché alla storia del torrone nel Sannio è dedicato il volume Innocenzo Borrillo e i Maestri del Torrone di Andrea Jelardi e Marco Borrillo, edito nel 2013.

Evoluzione
Nell'XI secolo gli Arabi contribuirono alla diffusione di questo dolce lungo le coste del Mar Mediterraneo, nel Nordafrica e con maggior successo nell'antica Corona d'Aragona. La prima testimonianza scritta del torrone in Catalogna è del 1221; lo si trova anche in ricettari e documenti del XIV secolo. Era prodotto in Catalogna e nel Regno di Valencia: la città è oggi il maggiore produttore della Spagna (in particolare a Jijona dove se ne fa risalire la presenza a partire dal XV secolo). In seguito, il torrone si è diffuso nella Corona di Castiglia: la prima documentazione scritta in spagnolo della sua presenza si trova ne "La generosa paliza" di Lope de Rueda, dell'anno 1570.
Nella versione della tradizione cremonese, il primo torrone sarebbe stato servito il 25 ottobre 1441 al banchetto per le nozze, celebrate a Cremona, fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Il dolce, sempre secondo la tradizione, venne modellato riproducendo la forma del Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui avrebbe preso il nome. Questo episodio viene rievocato ogni anno con una Festa del Torrone. Tuttavia la prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il comune di Cremona acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto milanesi.

Etimologia
Il termine "torrone" è d'etimologia discussa. Per alcuni, deriverebbe dalla voce verbale latina torrere, presente attivo infinitivo di "torreo" (presente attivo torreō, presente infinitivo torrēre, perfetto attivo torruī, supino tostum), col significato di "tostare", "abbrustolire", con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle. Il termine è sicuramente derivato dalla radice proto-indo-europeo, a riprova del fatto che essa è riscontrabile nel moderno inglese thirst, nel greco τέρσομαι (térsomai), nel sanscrito तृष्यति (tṛṣyati).
Joan Corominas crede che il termino deriva dal latino "terra" per essere simile a un grumo di terra. Finalmente, alcune correnti di studiosi attribuiscono al torrone, invece, origini arabe; a supporto di questa tesi vi sarebbe, fra l'altro, il De medicinis et cibis semplicibus, trattato dell'XI secolo scritto da un medico arabo, in cui è citato il turun.

Varietà di torrone
Le principali varietà di torrone sono quello duro e quello morbido: la differenza fra le due è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto il diverso grado di cottura dell'impasto: difatti nel torrone duro (anche chiamato "friabile") la cottura è solitamente prolungata nel tempo fino a raggiungere (in alcuni prodotti tipici) le 12 ore. Altrettanto importante è la composizione della ricetta ed il rapporto tra il miele e gli zuccheri (tra cui saccarosio, sciroppo di glucosio, sciroppo di zucchero invertito).
Il torrone tenero, invece, ha una cottura che solitamente non supera le 2 ore; ciò permette di avere un'umidità dell'impasto più alta; questo fattore in combinazione alla ricetta diversa produce un impasto più tenero. Come già detto i torroni si distinguono poi fra mandorlati e nocciolati. La variante aquilana, prodotta industrialmente già nel XIX secolo, prevede un impasto contenente cacao.
Varianti più moderne comprendono il torrone classico ricoperto di cioccolato. Una ulteriore tipologia, con pasta reale (pasta di mandorle ricoperta di cioccolato pregiato o di glassa di zucchero fondente) non è da considerarsi propriamente un "torrone".

Produzione contemporanea
Oggi il torrone è uno dei dolci natalizi più diffusi in Italia e sempre più spesso è possibile trovarlo anche all'estero. I principali centri di produzione sono Cremona, dove operano le due principali industrie del settore (Sperlari e Vergani), Benevento dove opera, tra le altre, l'azienda Alberti, con il marchio Strega, e San Marco dei Cavoti, pure in provincia di Benevento, ove la tradizione è radicata dal 1891 e dove si svolge annualmente la Festa del Torrone.
Varie altre zone d'Italia, hanno altresì consolidato un'ottima tradizione nella produzione di questo dolce nelle diverse varianti: fra queste citiamo Bagnara Calabra, Taurianova (località dove questo dolce è prodotto artigianalmente), Gallo d'Alba (CN), Cologna Veneta (meglio noto come "mandorlato di Cologna"), Ospedaletto d'Alpinolo, Alvito, Dentecane e Grottaminarda (dove riprende il nome latino-sannita di "cupeta"), Camerino, L'Aquila, vari comuni del beneventano e delle terre del Sannio.
Piuttosto caratteristico per la sua rusticità è il torrone della Sardegna (su turrone sardu), con rinomati centri di produzione ad Aritzo, Tonara e a Pattada, il cui aroma più intenso è dovuto al fatto che la sua componente dolce deriva esclusivamente, senza zuccheri aggiunti, dal miele di macchia mediterranea. La caratteristica del torrone sardo è la sua morbidezza e, soprattutto, il suo color avorio. Difatti, esso non è bianco come gli altri torroni, poiché la ricetta sarda non impiega lo zucchero o ne usa minime quantità, preferendo a questo l'utilizzo di miele. Esistono molteplici rivisitazioni della ricetta classica che vedono l'uso di scorze di arancia o di limone, ostie, pinoli, vaniglia, ecc. Le ricette artigianali possono variare a seconda della tradizione locale.
Nel cuore della Sicilia, a Caltanissetta, i maestri pasticceri continuano la tradizione nissena con la produzione della Cubaita, il classico torrone siciliano. Unendo il verde del pistacchio, il giallo del miele e il bianco delle mandorle, offerti naturalmente dalle campagne nissene, i cosiddetti turrunari del luogo, creano un dolce artigianale talmente buono che racchiude in sé i profumi e i sapori tipici di questa terra, mescolati ai colori caldi e vivaci che caratterizzano la sua personalità. Una tradizione che si è rinnovata negli ultimi anni grazie ad importanti innovazioni di prodotto e di processo che hanno permesso la creazione di nuovi torroni (al cioccolato e ad altri aromi tipici isolani).

Riconoscimenti
Il torrone è riconosciuto come uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani su proposta delle seguenti regioni:
Regione Abruzzo
  • Torrone di Guardiagrele
  • Torrone tenero al cioccolato aquilano
  • Torrone tenero al cioccolato di Sulmona

Regione Calabria
  • torroncino
  • torrone a poglia con mandorle, turruni
  • torrone di arachidi con zucchero
  • torrone gelato, turruni gelatu
  • torrone Cupeta di Montepaone

Regione Campania
  • torroncino di Roccagloriosa
  • torrone croccantino di San Marco dei Cavoti
  • torrone di Benevento
  • torrone di castagna
  • torrone di Grottaminarda: "Spantorrone di Grotta" rinominato anche "Irpino" da "Dolciterre - Sapori Italiani".
  • torrone di Ospedaletto d'Alpinolo
  • torrone di Dentecane ( Pietradefusi): "Pantorrone" di Pantorrone Garofalo.
  • torrone di Dentecane: "Pannardone","Pannardini","Le Gioie" di Industria Dolciaria Nardone.

Regione Lazio
  • torroncino di Alvito

Regione Lombardia
  • Torrone Classico o di Cremona

Regione Marche
  • torrone di Camerino
  • crostata di torrone
  • torrone di fichi - panetto di fichi di Monsampolo del Tronto

Regione Molise
  • torrone del papa

Regione Piemonte
  • torrone di nocciole

Regione Sardegna
  • torrone di Pattada
  • torrone di Tonara
  • torrone di Sinnai
  • torrone di Tuili
  • torrone di Giba

Regione Siciliana
  • torrone di Caltanissetta

Regione Veneto
  • mandorlato di Cologna Veneta
  • torrone di San Giovanni Lupatoto

Marchi di tutela attribuiti dall'Unione europea
  • Turrón de Jijona (IGP)
  • Turrón de Agramunt / Torró d'Agramunt (IGP)
  • Turrón de Alicante (IGP)

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Tricotto

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Il tricotto è un biscotto della cucina siciliana diffuso in tutta la regione.
Sono considerati biscotti per bambini alle prese con la crescita dei denti, poiché essendo duri, sono adatti per essere sgranocchiati. Il nome deriva dalla tripla cottura prevista per ottenere un biscotto particolarmente asciutto che permette una lunga conservazione.
Possono essere aromatizzati con vari aromi, quelli ai semi di anice vengono chiamati Biscotti di San Martino e vengono preparati per la festa omonima.



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Cantuccio

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I cantucci o cantuccini sono uno dei maggiori vanti dolciari della Toscana. Sono biscotti secchi alle mandorle, ottenuti tagliando a fette il filoncino di impasto ancora caldo. Fanno parte dei più tipici dessert della tradizione culinaria toscana, soprattutto accoppiati al vin santo.
I cantuccini sono chiamati nel Lazio e in Umbria col nome di "tozzetti" e possono essere preparati con nocciole o altra frutta secca al posto delle mandorle. Con questo nome sono noti anche nella provincia di Siena e in altre parti d'Italia in cui se ne è diffusa la preparazione.


Descrizione

Sono di forma tradizionale allungata, ottenuta dal taglio in diagonale del filone di impasto dopo la cottura. Il cantuccino presenta una superficie superiore dorata con struttura interna caratterizzata da una presenza elevata di mandorle intere sgusciate (ma non pelate). La lunghezza può variare ma è normalmente contenuta entro i 10 centimetri. Il nome deriva da "canto", cioè angolo, o da "cantellus", in latino pezzo o fetta di pane.
L'impasto è composto di farina, zucchero, uova, mandorle, burro: si può sostituire lo zucchero con il miele e il burro con l'olio d'oliva. Le mandorle non vengono né tostate né spellate. Tradizionalmente i Cantuccini sono venduti accompagnati con un'altra specialità dolciaria Toscana, i Bruttiboni.
Sebbene comunemente usato, "Biscotti di Prato" in realtà indicherebbe altri prodotti: le varianti o imitazioni, che si discostano dalla ricetta tradizionale in alcuni punti fondamentali come l'assenza di lieviti, grassi (per renderli meno secchi) e aromi.
I cantucci in Toscana si degustano normalmente inzuppandoli in un vino liquoroso locale, chiamato Vin Santo e prodotto a livello anche artigianale in piccole botti attraverso l'uva appassita.


Storia

Una consacrazione ufficiale dei cantuccini si trova nel dizionario dell'Accademia della Crusca che nel 1691 ne diede la seguente definizione: "biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo". I cantucci più famosi del tempo erano prodotti a Pisa, mentre le mandorle entrarono a far parte degli ingredienti soltanto in alcune varianti, quali i "biscottelli" dell'epoca di Caterina de' Medici, per assurgere a elemento caratterizzante a partire dalla seconda metà dell'Ottocento.
La prima ricetta documentata di questo dolce è un manoscritto, conservato nell'archivio di Stato di Prato, di Amadio Baldanzi, un erudito pratese del XVIII secolo. In questo documento i biscotti vengono detti alla genovese.
Nel XIX secolo Antonio Mattei, pasticciere di Prato, ne mise a punto una ricetta divenuta poi classica, con la quale ricevette numerosi premi a fiere campionarie in Italia e all'estero, tra cui una menzione speciale all'esposizione universale di Parigi del 1867. La bottega di "Mattonella" (nome popolare del biscottaio) esiste ancora oggi a Prato ed è considerata la depositaria della tradizione dei cantucci.



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Canestrelli novesi

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I canestrelli novesi sono dolci tipici della zona del Novese e dell'Ovadese, foggiati a ciambella o anello. Sono biscotti prodotti a partire da olio di oliva, farina, lievito, sale e zucchero, ma a differenza degli altri tipi di canestrelli sono impastati con pregiato vino bianco Cortese di Gavi DOCG, al posto dell'acqua comunemente utilizzata. Sono prodotti artigianalmente, tutto l'anno, dalle pasticcerie e panetterie della zona.


Ingredienti

  • 1 kg di farina di grano tenero “00”;
  • 300 g di olio di oliva;
  • 300 g di vino bianco di Gavi;
  • 30 g di polvere lievitante da forno;
  • 200 g di zucchero;
  • 10 g di sale.



Abbinamenti consigliati

  • L'Alta Langa spumante rosato, ha un sentore che ricorda il lievito, la crosta di pane e la vaniglia, di sapore secco, sapido ben strutturato, perciò può esser servito come spumante da dolci e da dessert a tavola, fresco, ad una temperatura di 9-11 °C.
  • Cortese di Gavi
  • Monferrato Chiaretto (o Ciaret): vino da dessert.




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Dolcezza

 




La dolcezza è un gusto di base più comunemente percepito quando si mangiano cibi ricchi di zuccheri. I gusti dolci sono generalmente considerati piacevoli, tranne quando sono in eccesso.

Oltre agli zuccheri come il saccarosio , molti altri composti chimici sono dolci, tra cui aldeidi, chetoni e alcoli di zucchero. Alcuni sono dolci a concentrazioni molto basse, consentendo il loro utilizzo come sostituti dello zucchero non calorici. Tali dolcificanti non zuccherini includono saccarina e aspartame. Altri composti, come la miraculina, possono alterare la percezione della dolcezza stessa.

L'intensità percepita degli zuccheri e degli edulcoranti ad alta potenza, come l'aspartame e la neoesperidina diidrocalcone, sono ereditabili, con l'effetto genico che rappresenta circa il 30% della variazione.

La base chemiosensoriale per rilevare la dolcezza, che varia tra individui e specie, ha iniziato a essere compresa solo dalla fine del XX secolo. Un modello teorico di dolcezza è la teoria dell'attaccamento multipunto, che coinvolge più siti di legame tra un recettore della dolcezza e una sostanza dolce.

Gli studi indicano che la reattività agli zuccheri e alla dolcezza ha origini evolutive molto antiche, manifestandosi come chemiotassi anche in batteri mobili come E. coli. I neonati umani dimostrano anche preferenze per alte concentrazioni di zucchero e preferiscono soluzioni più dolci del lattosio, lo zucchero che si trova nel latte materno. La dolcezza sembra avere la soglia di riconoscimento del gusto più alta, essendo rilevabile a circa 1 parte su 200 di saccarosio in soluzione. In confronto, l' amaro sembra avere la soglia di rilevamento più bassa, circa 1 parte su 2 milioni per il chinino in soluzione. Negli ambienti naturali in cui si sono evoluti gli antenati dei primati umani, l'intensità della dolcezza dovrebbe indicare la densità di energia, mentre l'amarezza tende a indicare la tossicità. L'elevata soglia di rilevamento della dolcezza e la bassa soglia di rilevamento dell'amaro avrebbero predisposto i nostri antenati primati a cercare cibi dal sapore dolce (e densi di energia) ed evitare cibi dal sapore amaro. Anche tra i primati mangiatori di foglie, c'è la tendenza a preferire le foglie immature, che tendono ad essere più ricche di proteine e più basse di fibre e veleni rispetto alle foglie mature. I "golosi" hanno quindi un'antica eredità evolutiva e, sebbene la lavorazione del cibo abbia cambiato i modelli di consumo, la fisiologia umana rimane sostanzialmente invariata.


Esempi di sostanze dolci

Una grande varietà di composti chimici , come aldeidi e chetoni, sono dolci. Tra le sostanze biologiche comuni, tutti i carboidrati semplici sono dolci almeno in una certa misura. Il saccarosio (zucchero da tavola) è il prototipo di una sostanza dolce. Il saccarosio in soluzione ha un indice di percezione della dolcezza di 1 e altre sostanze sono classificate in relazione a questo. Ad esempio, un altro zucchero, il fruttosio , è un po 'più dolce, essendo valutato 1,7 volte la dolcezza del saccarosio. Alcuni degli amminoacidi sono leggermente dolci: alanina, glicina ele serine sono le più dolci. Alcuni altri amminoacidi sono percepiti sia come dolci che come amari.

La dolcezza della soluzione al 20% di glicina in acqua è paragonabile a una soluzione al 10% di glucosio o al 5% di fruttosio.

Diverse specie vegetali producono glicosidi dolci a concentrazioni molto inferiori agli zuccheri comuni. L'esempio più noto è la glicirrizina, il componente dolce della radice di liquirizia, che è circa 30 volte più dolce del saccarosio. Un altro esempio importante è commercialmente stevioside, dal sudamericano arbusto Stevia rebaudiana. È circa 250 volte più dolce del saccarosio. Un'altra classe di potenti dolcificanti naturali sono le proteine dolci come la taumatina, che si trova nel frutto del katemfe dell'Africa occidentale. Uovo di gallina lisozima, un antibiotico proteina presente neiuova di gallina , è anche dolce.

Alcune variazioni nei valori non sono rare tra i vari studi. Tali variazioni possono derivare da una serie di variabili metodologiche, dal campionamento all'analisi e all'interpretazione. In effetti, l'indice di gusto di 1, assegnato a sostanze di riferimento come il saccarosio (per la dolcezza), l'acido cloridrico (per l'acidità), il chinino (per l'amarezza) e il cloruro di sodio (per la salinità), è esso stesso arbitrario per scopi pratici. Alcuni valori, come quelli per il maltosio e il glucosio, variano poco. Altri, come l'aspartame e la saccarina di sodio, hanno variazioni molto maggiori.

Anche alcuni composti inorganici sono dolci, tra cui il cloruro di berillio e l' acetato di piombo (II) . Quest'ultimo potrebbe aver contribuito ad avvelenare l' antica aristocrazia romana : la prelibatezza romana sapa era preparata facendo bollire del vino acido (contenente acido acetico) in pentole di piombo.

Si sa che centinaia di composti organici sintetici sono dolci, ma solo pochi di questi sono legalmente consentiti come additivi alimentari. Ad esempio, il cloroformio, il nitrobenzene e il glicole etilenico sono dolci, ma anche tossici. Saccarina, ciclamato, aspartame, acesulfame di potassio, sucralosio, ALITAME e neotame sono comunemente usati.


Modificatori di dolcezza

Alcune sostanze alterano il modo in cui viene percepito il gusto dolce. Una classe di questi inibisce la percezione dei sapori dolci, sia da zuccheri che da dolcificanti molto potenti. Commercialmente, il più importante di questi è il lattisolo, un composto prodotto da Domino Sugar. Viene utilizzato in alcune gelatine e altre conserve di frutta per esaltare i loro aromi di frutta sopprimendo la loro dolcezza altrimenti forte.

È stato documentato che due prodotti naturali hanno proprietà di inibizione della dolcezza simili: acido gimnemico, estratto dalle foglie della vite indiana Gymnema sylvestre e ziziphin, dalle foglie della giuggiola cinese (Ziziphus jujuba). L'acido gimnemico è stato ampiamente promosso nella fitoterapia come trattamento per la voglia di zucchero e il diabete mellito .

D'altra parte, due proteine vegetali, la miraculina e la curculina, fanno sì che i cibi acidi abbiano un sapore dolce. Una volta che la lingua è stata esposta a una di queste proteine, l'acidità viene percepita come dolcezza fino a un'ora dopo. Mentre la curculina ha un suo sapore dolce innato, la miraculina è di per sé piuttosto insapore.


Il recettore della dolcezza

Nonostante l'ampia varietà di sostanze chimiche note per essere dolci e la consapevolezza che la capacità di percepire il gusto dolce deve risiedere nelle papille gustative sulla lingua, il meccanismo biomolecolare del gusto dolce era sufficientemente sfuggente che fino agli anni '90 c'erano dei dubbi se esiste effettivamente un singolo "recettore della dolcezza".

La svolta per l'attuale comprensione della dolcezza è avvenuta nel 2001, quando esperimenti con topi di laboratorio hanno dimostrato che i topi che possiedono versioni differenti del gene T1R3 preferiscono cibi dolci in misura diversa. Ricerche successive hanno dimostrato che la proteina T1R3 forma un complesso con una proteina correlata, chiamata T1R2, per formare un recettore accoppiato alla proteina G che è il recettore della dolcezza nei mammiferi.

Studi sull'uomo hanno dimostrato che i recettori del gusto dolce non si trovano solo nella lingua, ma anche nel rivestimento del tratto gastrointestinale, nell'epitelio nasale, nelle cellule delle isole pancreatiche, nello sperma e nei testicoli. Si propone che la presenza di recettori del gusto dolce nel tratto gastrointestinale controlli la sensazione di fame e sazietà.

Un'altra ricerca ha dimostrato che la soglia di percezione del gusto dolce è in diretta correlazione con l'ora del giorno. Si ritiene che questa sia la conseguenza dell'oscillazione dei livelli di leptina nel sangue che possono influire sulla dolcezza complessiva del cibo. Gli scienziati ipotizzano che questo sia un relitto evolutivo di animali diurni come gli umani.

La percezione della dolcezza può differire in modo significativo tra le specie. Ad esempio, anche tra i primati la dolcezza è piuttosto variabile. Scimmie del Nuovo Mondo non trovano aspartame dolce, mentre scimmie del Vecchio Mondo e scimmie (tra cui maggior parte degli umani) tutti. Felidi come gatti domestici dolcezza non può percepire a tutti. La capacità di gustare la dolcezza spesso si atrofizza geneticamente nelle specie di carnivori che non mangiano cibi dolci come la frutta, inclusi i delfini tursiopi , leoni marini , iene maculate e fossili.


Via del recettore dolce

Per depolarizzare la cellula e, in ultima analisi, generare una risposta, il corpo utilizza diverse cellule del palato che esprimono ciascuna un recettore per la percezione del dolce, acido, salato, amaro o umami . A valle del recettore del gusto, le cellule del gusto per il dolce, l'amaro e l'umami condividono la stessa via di segnalazione intracellulare. Le molecole dolci in entrata si legano ai loro recettori, il che provoca un cambiamento conformazionale nella molecola. Questo cambiamento attiva la proteina G, gustducina, che a sua volta attiva la fosfolipasi C per generare inositolo trifosfato (IP 3), questo successivamente apre l'IP 3 e induce il rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico. Questo aumento del calcio intracellulare attiva il canale TRPM5 e induce la depolarizzazione cellulare . Il canale di rilascio ATP CALHM1 viene attivato dalla depolarizzazione e rilascia il neurotrasmettitore dell'ATP che attiva i neuroni afferenti che innervano il palato.


Cognizione

Il colore del cibo può influenzare la percezione della dolcezza. L'aggiunta di più colore rosso a una bevanda aumenta la sua dolcezza percepita. In uno studio le soluzioni di colore più scuro sono state classificate dal 2 al 10% in più rispetto a quelle più chiare nonostante avessero una concentrazione di saccarosio inferiore dell'1%. Si ritiene che l'effetto del colore sia dovuto alle aspettative cognitive. Alcuni odori hanno un odore dolce e la memoria confonde se la dolcezza fosse gustata o odorata.


Teorie storiche

Lo sviluppo della chimica organica nel 19° secolo ha introdotto molti nuovi composti chimici e i mezzi per determinare le loro strutture molecolari . I primi chimici organici hanno assaggiato molti dei loro prodotti, intenzionalmente (come mezzo di caratterizzazione) o accidentalmente (a causa della scarsa igiene di laboratorio ). Uno dei primi tentativi di tracciare correlazioni sistematiche tra le strutture delle molecole e i loro gusti è stato fatto da un chimico tedesco, Georg Cohn, nel 1914. Ha ipotizzato che per evocare un certo gusto, una molecola deve contenere un motivo strutturale (chiamato sapoforo ) che produce quel gusto. Per quanto riguarda la dolcezza, ha notato che le molecole contenenti più gruppi idrossilici e quelle contenentigli atomi di cloro sono spesso dolci e che tra una serie di composti strutturalmente simili, quelli con pesi molecolari più piccoli erano spesso più dolci dei composti più grandi.

Nel 1919, Oertly e Myers proposero una teoria più elaborata basata su una teoria allora attuale del colore nei coloranti sintetici . Si ipotizza che, per essere dolce, un composto deve contenere uno ciascuno dei due classi di motivo strutturale, un glucophore e un auxogluc . Sulla base di quei composti noti per essere dolci all'epoca, hanno proposto un elenco di sei glucofori candidati e nove auxoglucs.

Da questi inizi all'inizio del XX secolo, la teoria della dolcezza godette di poca ulteriore attenzione accademica fino al 1963, quando Robert Shallenberger e Terry Acree proposero la teoria della dolcezza AH-B. In poche parole, hanno proposto che per essere dolce, un composto deve contenere un legame idrogeno donatore di (AH) e una base di Lewis (B) separati da circa 0,3 nanometri . Secondo questa teoria, l'unità AH-B di un dolcificante si lega con una corrispondente unità AH-B sul recettore della dolcezza biologica per produrre la sensazione di dolcezza.

Teoria della BX proposta da Lemont Kier nel 1972. Mentre i ricercatori precedenti avevano notato che tra alcuni gruppi di composti, sembrava esserci una correlazione tra idrofobicità e dolcezza, questa teoria formalizzava queste osservazioni proponendo che per essere dolce, un composto deve avere un terzo sito di legame (etichettato con X) che potrebbe interagire con un sito idrofobico sul recettore della dolcezza tramite le forze di dispersione di Londra . Successivamente i ricercatori hanno analizzato statisticamente le distanze tra i presunti siti AH, B e X in diverse famiglie di sostanze dolci per stimare le distanze tra questi siti di interazione sul recettore della dolcezza.

Teoria dell'MPA

La teoria più elaborata della dolcezza fino ad oggi è la teoria dell'attaccamento multipunto (MPA) proposta da Jean-Marie Tinti e Claude Nofre nel 1991. Questa teoria coinvolge un totale di otto siti di interazione tra un dolcificante e il recettore della dolcezza, sebbene non tutti i dolcificanti interagiscano con tutti gli otto siti. Questo modello ha diretto con successo gli sforzi volti a trovare edulcoranti altamente potenti, inclusa la più potente famiglia di dolcificanti conosciuta fino ad oggi, la dolcificanti guanidinici . Il più potente di questi, lugduname , è circa 225.000 volte più dolce del saccarosio.


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Cioccolataio

 



Un cioccolatiere è una persona o un'azienda che produce dolciumi di cioccolato . I cioccolatieri sono diversi dai produttori di cioccolato, che creano cioccolato con semi di cacao e altri ingredienti.


Istruzione e formazione

Tradizionalmente, i cioccolatieri, soprattutto in Europa, si formavano attraverso un apprendistato con altri cioccolatieri. Ora è altrettanto comune per i cioccolatieri iniziare come pasticceri o chef di pasticceria, o frequentare una formazione culinaria specifica per lavorare con il cioccolato. Essere un maestro cioccolatiere implica perfezionare l'arte di lavorare con il cioccolato per creare dessert così come pezzi d'arte abilmente realizzati con il cioccolato. I cioccolatieri devono comprendere gli aspetti fisici e chimici del cioccolato, non solo per creare cioccolatini e altre confezioni, ma anche per creare sculture e centrotavola. Perfezionare gli aspetti tecnici del design e sviluppare l'arte del gusto richiede molti anni di pratica.


Scuole di cucina

Ci sono una varietà di scuole di cucina e di cioccolato specializzato, tra cui l'Ecole Chocolat Professional School of Chocolate Arts in Canada, e The Chocolate Academy, con dodici scuole in tutto il mondo. L'istituto culinario francese offre corsi di pasticceria e confetteria che si dice aiutino un cioccolatiere a imparare il mestiere.

I programmi di studio presso tali istituzioni possono includere argomenti come:

  • la storia del cioccolato

  • moderne tecniche di coltivazione e lavorazione

  • la chimica dei sapori e delle consistenze del cioccolato

  • temperare , intingere, decorare e modellare il cioccolato

  • formule dolciarie a base di ganache e / o fondente

  • capacità di gestione aziendale, inclusi marketing e produzione

Competizioni

Una volta che un cioccolatiere ha imparato l'arte del cioccolato, può essere considerato un maestro cioccolatiere. I migliori di questi competono nel The World Chocolate Masters, una competizione sul cioccolato iniziata nel 2005. I principali cioccolatieri includono Naomi Mizuno (Giappone), Francisco Torreblanca (Spagna), Pierre Marcolini, Yvonnick Le Maux (Francia), e Carmelo Sciampagna (Italia). Mizuno ha vinto il concorso World Chocolate Masters nel 2007. Il concorso è stato giudicato in quattro diverse categorie: praline stampate , praline immerse a mano, dessert gastronomico al cioccolato, piccolo fiore all'occhiello del cioccolato e fiore all'occhiello creativo del cioccolato. A 28 anni, Mizuno era il più giovane concorrente della sua nazione. È impiegato presso Futaba Pastry.


Tecniche

  • Temperare: temperare il cioccolato comporta il riscaldamento e il raffreddamento del cioccolato per ottenere le caratteristiche desiderate come la lucentezza del cioccolato o lo "schiocco", il modo in cui si rompe. Il cioccolato contiene burro di cacao che cristallizza durante il trattamento termico del cioccolato fondente e temperato. Riscaldare il cioccolato a determinate temperature, intorno ai 30-32 ° C, per periodi di tempo specifici, quindi raffreddare il cioccolato e lavorarlo a segmenti alternati è indicato come tempera.

  • Stampaggio: Lo stampaggio è una tecnica di progettazione utilizzata per realizzare pezzi di cioccolato di una certa forma prendendo il cioccolato liquido e versandolo in uno stampo e lasciandolo indurire.

  • Scolpire: Scolpire implica l'uso del cioccolato per creare un'opera d'arte. La scultura può comportare l'uso di stampi e pezzi di cioccolato e la decorazione del pezzo con disegni in cioccolato.



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Dove e come è nato il primo gelato industriale?

 

Non è facile attribuire una “paternità” al gelato. Alcuni la fanno risalire addirittura alla Bibbia: Isacco, offrendo ad Abramo latte di capra misto a neve, avrebbe inventato il primo “mangia e bevi” della storia. Altri, invece, la affidano agli antichi Romani che si distinsero ben presto grazie alle loro “nivatae potiones”, veri e propri dessert freddi.

Bisogna però aspettare il Cinquecento per assistere al trionfo di questo alimento. In particolare, è Firenze a rivendicare l’invenzione del gelato ‘moderno’, che per primo utilizza il latte, la panna e le uova. Golosa innovazione che si deve all’architetto Bernardo Buontalenti. Altro grande epigono del gelato fu anche un gentiluomo palermitano, Francesco Procopio dei Coltelli che, trasferitosi a Parigi alla corte del Re Sole, aprì il primo caffè-gelateria della storia, il tuttora famosissimo caffè Procope.

Ma la storia moderna di questo goloso alimento comincia ufficialmente quando l’italiano Filippo Lenzi, alla fine del XVIII secolo, aprì la prima gelateria in terra americana. Il gelato si diffuse a tal punto da stimolare una nuova invenzione: la sorbettiera a manovella, brevettata nel XIX secolo da William Le Young.

Il primo gelato industriale su stecco, il Mottarello al fiordilatte nasce in Italia nel 1948. Subito dopo, negli anni 50, arriva il primo cono con cialda industriale il mitico Cornetto. Gli anni 70 e la diffusione del frezeer domestico battezzano invece il primo secchiello formato famiglia, il Barattolino. Fino ad arrivare al primo biscotto famoso diventato un gelato di successo, il bicolore Ringo.


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