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Stomatico

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Lo stomatico è un dolce tipico di Reggio Calabria.
Si tratta di un biscotto secco, vagamente simile al panpepato, preparato tramite un impasto di zucchero caramellato, farina, olio, ammoniaca per dolci e aromi (usualmente chiodi di garofano e cannella). Successivamente l'impasto è steso su una teglia, tagliato in quadrati spennellati con dell'uovo sbattuto, cosparso superficialmente con delle mandorle e infine infornato.

L'origine del nome
Il nome Stomatico deriva dal greco"to stoma" la bocca.
Dolce derivante dalle influenze greche nella cultura calabrese.

Piparelle
Con piccole differenze nella preparazione tale dolce è noto anche come Pipareddhi o Piparelle, in questo caso le mandorle sono inserite direttamente nell'impasto, che viene tagliato trasversalmente in striscioline.



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Manjū

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Il manjū (まんじゅう) è un dolce tipico giapponese. Ci sono molte varietà di manjū, ma la maggior parte ha l'esterno a base di farina, riso in polvere e grano saraceno e un ripieno di anko, fatto di fagioli azuki bolliti e zucchero. Ci sono diversi tipi di pasta di fagioli utilizzate, tra cui la koshian, la tsubuan e la tsubushian.

Storia
I manjū derivano da un tipo di mochi che esiste in Cina da molto tempo, chiamato originariamente mantou in cinese, ma poi noto come manjū una volta giunto in Giappone. Nel 1341, un inviato giapponese tornato dalla Cina portò dei manjū con sé e iniziò a venderli come Nara-manjū: si dice che questa fu l'origine dei manjū giapponesi. Ora si possono trovare in molti negozi giapponesi di dolci e il loro basso prezzo è una delle ragioni per cui sono famosi tra i giapponesi.


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Ricciarelli

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I ricciarelli sono un dolce tipico senese a base di mandorle, zucchero, albume d'uovo.
I ricciarelli sono fatti con una pasta di tipo marzapane, a grana grossa, molto lavorata e arricchita da un impasto di canditi e vaniglia. La pasta così ottenuta viene cotta in forno per poi prendere la forma di piccole losanghe, leggermente arricciata all'estremità. Hanno la forma del chicco di riso, la superficie rugosa e screpolata viene rivestita di zucchero a velo e poggiano su una foglia di ostia.
Nati nel XIV secolo nelle corti toscane, seguendo antiche origini orientali, si sono poi evoluti in varianti arricchite con cioccolato in superficie. La leggenda narra che fu il cavaliere Ricciardetto Della Gherardesca a introdurre questi dolci, al ritorno dalle crociate, nel suo castello vicino a Volterra. Vengono lavorati tradizionalmente con la macina e lasciati riposare due giorni prima di cucinarli.
Attualmente sono apprezzati soprattutto come dolce natalizio. Si consumano con vini da dessert, in particolare con Moscadello di Montalcino Vendemmia Tardiva e con Vin santo toscano.

Marchio IGP
È il primo prodotto dolciario per l'Italia ad avere la tutela europea. Nel marzo 2010, la denominazione Ricciarelli di Siena è stata riconosciuta come indicazione geografica protetta (IGP).
L'autorità pubblica incaricata di effettuare i controlli sulla indicazione geografica protetta Ricciarelli di Siena è la Camera di Commercio Industria Artigianato ed Agricoltura di Siena.



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Torrone

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Il torrone è un dolce, principalmente natalizio. È composto da albume d'uovo, miele e zucchero, farcito con mandorle, noci, arachidi o nocciole tostate; spesso ricoperto da due strati d'ostia. Il suo nome deriva dal verbo latino torreo che significa abbrustolire con riferimento alla tostatura delle nocciole che lo compongono.


Storia

Il torrone è un dolce molto antico e viene considerato tipico di molte regioni, non solo italiane.

Il torrone in Sardegna
Quando e chi portò il torrone in Sardegna resta tuttora un mistero. L'archivio di Stato di Cagliari conserva un contratto per la fornitura di torrone da parte di due torronai sassaresi a un bottegaio Cagliaritano, che certifica che la produzione del torrone risale almeno al 1614. Sembra inoltre che sul condaghes di Santa Maria di Bonarcado, secondo la Carta Raspi, il miele dell'attività apistica veniva utilizzato in prevalenza per fare torrone. Comunque siano andate le cose, testimonianze storiche ci dicono che ad Aritzo il torrone si produceva già a metà ‘800 anche se il tutto lascia pensare ad una data antecedente. Un registro dei primi del ‘900 annota ben 89 licenze di venditori ambulanti, su gran parte di esse compare la voce torrone. I torronai facevano parte della categoria dei “Biajantes” meglio definiti col nome di “Carrattoneris” perché per il trasporto delle mercanzie si servivano di carri trainati da buoi o cavalli. Essi vendevano ma per lo più barattavano ogni genere di prodotto che la montagna offriva; difficilmente la vendita di un solo prodotto infatti, avrebbe garantito il sostentamento. La produzione del torrone in Barbagia, è dovuta all'esigenza di valorizzare e sfruttare i prodotti originali della natura: il miele saporito e gustoso della montagna, le noci e le nocciole delle nostre profonde e verdi vallate. centri produzione più rinomati erano Aritzo e Tonara, ma vi erano anche altri paesi minori. Gli Aritzesi portavano i loro prodotti nel Campidano, mentre i Tonaresi, che da sempre si contendono con gli Aritzesi il primato della produzione del torrone in Sardegna, si occupavano del commercio nel Sassarese. Questo scambio commerciale permise uno scambio culturale umano che consentì ad Aritzo un'apertura tale all'innovazione per quei tempi che era proprio impensabile per altri paesi della Barbagia. Ne derivò il trasferimento di numerose famiglie Aritzesi a Cagliari, Quartu, Pirri, Villasor, Monastir, Tuili etc. con i loro laboratori per produrre il torrone direttamente nel mercato di sbocco, il Campidano. Nei documenti dei primi del ‘900 Tonara è sede di un laboratorio artigianale, che soddisfa le richieste degli ambulanti. La famiglia Carta aveva adibito a laboratorio un locale all'interno della propria abitazione. Vi erano due caldaie a mano e il fuoco era alimentato a lenta combustione. L'attività produttiva iniziava a metà marzo per terminare a settembre. Ma la nascita della produzione industriale del torrone è legata alla famiglia Pruneddu che nel 1963 acquista le prime caldaie elettriche, e diventerà alla fine degli anni '70 l'azienda leader per la produzione del torrone per gli ambulanti, promuovendo il marchio “torrone di Tonara”. Sempre a Tonara, un'altra azienda che merita di essere menzionata è l'azienda Pili, questa ha introdotto il torrone nella grande distribuzione e da tre generazioni produce torrone. Ad Aritzo nei primi del ‘900 esistevano parecchi laboratori di produzione del torrone. Ricordiamo la famiglia Meloni, Calledda, Muggironi, ed in particolare la famiglia Atzori che con le sue caldaie riusciva a produrre un quantitativo notevole di torrone per venderlo nelle sagre paesane, successivamente le famiglie Maxia, Pranteddu, Manca, Fois. Nella casa del torronaio, il profumo delle mandorle e delle nocciole abbrustolite aleggiava mescolandosi con quello del miele che cuoceva in un grosso pentolone in rame. Il torrone veniva lavorato con una grossa pala in legno che fungeva da miscelatore, questo comportava un lavoro faticosissimo che durava anche 5-6 ore poiché non bisognava mai smettere di mescolare o si sarebbe compromesso tutto il lavoro fatto. Quando il miele era ben caldo, si aggiungeva l'albume d'uovo montato a neve che fungeva da lievitante; si proseguiva poi con la lavorazione sino a che il torrone non raggiungeva la giusta consistenza e il tipico colore candido. Infine si versavano le mandorle, nocciole o noci e lo si travasava nelle apposite cassette il legno. In Sardegna il torrone è genuino, senza aggiunta di zucchero, sciroppo di glucosio, amido di mais zucchero invertito o altro: si scioglie in bocca senza attaccarsi ai denti e non è gommoso. È fatto di solo miele! Ad Aritzo la “produzione industriale” inizia nel 1962 quando Sebastiano rientrato dall'America fondò assieme a Francesco Pranteddu la società Fratelli Pranteddu acquistando la prima macchina elettrica dalla società Carle&Montanari di Milano. Iniziarono a produrre il torrone con un moderno packaging così come viene inteso oggi. L'onerosità di questa lavorazione era tuttavia un ostacolo alla produzione, in quanto il torrone veniva laminato, tagliato, e confezionato manualmente.

Origini
A Benevento, la tradizione del torrone risale all'epoca sannita: apprezzato e consumato dalle classi agiate, come da quelle più povere, il torrone era conosciuto già al tempo dei Romani come dimostrano alcuni scritti di Tito Livio. A Siena il torrone locale è venduto in dischi, denominati "copate" tutt'oggi. Tale specialità restò sempre in uso nel corso dei secoli sia a livelli domestici che artigianali finché subì radicali modifiche ed evoluzioni alla metà dell'Ottocento poiché nel 1871 si avviò la produzione dei torroni in carta e in astucci e grande impulso al settore diedero le numerose ditte molte delle quali, nel 1908, consorziate nelle Fabbriche Riunite del Torrone di Benevento.
Nacquero nel XIX secolo celebri tipologie di torroni come Il perfetto amore, il Torrone del Papa, il Regina, l'Alicante, l'Ingranito. Sempre nel Novecento anche la ditta Alberti avviò la produzione di torrone, mentre dal 1891 a San Marco dei Cavoti il cavalier Innocenzo Borrillo con la produzione dei Torroni Bacii fondò una propria azienda alla quale, nel corso del secolo, se ne affiancarono altre otto contribuendo a trasformare i piccolo centro della provincia nel "Paese del Torrone" dove ogni anno, dal 2000, si svolge la Festa del Torrone. Al noto imprenditore nato nel 1871 e scomparso nel 1970, nonché alla storia del torrone nel Sannio è dedicato il volume Innocenzo Borrillo e i Maestri del Torrone di Andrea Jelardi e Marco Borrillo, edito nel 2013.

Evoluzione
Nell'XI secolo gli Arabi contribuirono alla diffusione di questo dolce lungo le coste del Mar Mediterraneo, nel Nordafrica e con maggior successo nell'antica Corona d'Aragona. La prima testimonianza scritta del torrone in Catalogna è del 1221; lo si trova anche in ricettari e documenti del XIV secolo. Era prodotto in Catalogna e nel Regno di Valencia: la città è oggi il maggiore produttore della Spagna (in particolare a Jijona dove se ne fa risalire la presenza a partire dal XV secolo). In seguito, il torrone si è diffuso nella Corona di Castiglia: la prima documentazione scritta in spagnolo della sua presenza si trova ne "La generosa paliza" di Lope de Rueda, dell'anno 1570.
Nella versione della tradizione cremonese, il primo torrone sarebbe stato servito il 25 ottobre 1441 al banchetto per le nozze, celebrate a Cremona, fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Il dolce, sempre secondo la tradizione, venne modellato riproducendo la forma del Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui avrebbe preso il nome. Questo episodio viene rievocato ogni anno con una Festa del Torrone. Tuttavia la prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il comune di Cremona acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto milanesi.

Etimologia
Il termine "torrone" è d'etimologia discussa. Per alcuni, deriverebbe dalla voce verbale latina torrere, presente attivo infinitivo di "torreo" (presente attivo torreō, presente infinitivo torrēre, perfetto attivo torruī, supino tostum), col significato di "tostare", "abbrustolire", con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle. Il termine è sicuramente derivato dalla radice proto-indo-europeo, a riprova del fatto che essa è riscontrabile nel moderno inglese thirst, nel greco τέρσομαι (térsomai), nel sanscrito तृष्यति (tṛṣyati).
Joan Corominas crede che il termino deriva dal latino "terra" per essere simile a un grumo di terra. Finalmente, alcune correnti di studiosi attribuiscono al torrone, invece, origini arabe; a supporto di questa tesi vi sarebbe, fra l'altro, il De medicinis et cibis semplicibus, trattato dell'XI secolo scritto da un medico arabo, in cui è citato il turun.

Varietà di torrone
Le principali varietà di torrone sono quello duro e quello morbido: la differenza fra le due è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto il diverso grado di cottura dell'impasto: difatti nel torrone duro (anche chiamato "friabile") la cottura è solitamente prolungata nel tempo fino a raggiungere (in alcuni prodotti tipici) le 12 ore. Altrettanto importante è la composizione della ricetta ed il rapporto tra il miele e gli zuccheri (tra cui saccarosio, sciroppo di glucosio, sciroppo di zucchero invertito).
Il torrone tenero, invece, ha una cottura che solitamente non supera le 2 ore; ciò permette di avere un'umidità dell'impasto più alta; questo fattore in combinazione alla ricetta diversa produce un impasto più tenero. Come già detto i torroni si distinguono poi fra mandorlati e nocciolati. La variante aquilana, prodotta industrialmente già nel XIX secolo, prevede un impasto contenente cacao.
Varianti più moderne comprendono il torrone classico ricoperto di cioccolato. Una ulteriore tipologia, con pasta reale (pasta di mandorle ricoperta di cioccolato pregiato o di glassa di zucchero fondente) non è da considerarsi propriamente un "torrone".

Produzione contemporanea
Oggi il torrone è uno dei dolci natalizi più diffusi in Italia e sempre più spesso è possibile trovarlo anche all'estero. I principali centri di produzione sono Cremona, dove operano le due principali industrie del settore (Sperlari e Vergani), Benevento dove opera, tra le altre, l'azienda Alberti, con il marchio Strega, e San Marco dei Cavoti, pure in provincia di Benevento, ove la tradizione è radicata dal 1891 e dove si svolge annualmente la Festa del Torrone.
Varie altre zone d'Italia, hanno altresì consolidato un'ottima tradizione nella produzione di questo dolce nelle diverse varianti: fra queste citiamo Bagnara Calabra, Taurianova (località dove questo dolce è prodotto artigianalmente), Gallo d'Alba (CN), Cologna Veneta (meglio noto come "mandorlato di Cologna"), Ospedaletto d'Alpinolo, Alvito, Dentecane e Grottaminarda (dove riprende il nome latino-sannita di "cupeta"), Camerino, L'Aquila, vari comuni del beneventano e delle terre del Sannio.
Piuttosto caratteristico per la sua rusticità è il torrone della Sardegna (su turrone sardu), con rinomati centri di produzione ad Aritzo, Tonara e a Pattada, il cui aroma più intenso è dovuto al fatto che la sua componente dolce deriva esclusivamente, senza zuccheri aggiunti, dal miele di macchia mediterranea. La caratteristica del torrone sardo è la sua morbidezza e, soprattutto, il suo color avorio. Difatti, esso non è bianco come gli altri torroni, poiché la ricetta sarda non impiega lo zucchero o ne usa minime quantità, preferendo a questo l'utilizzo di miele. Esistono molteplici rivisitazioni della ricetta classica che vedono l'uso di scorze di arancia o di limone, ostie, pinoli, vaniglia, ecc. Le ricette artigianali possono variare a seconda della tradizione locale.
Nel cuore della Sicilia, a Caltanissetta, i maestri pasticceri continuano la tradizione nissena con la produzione della Cubaita, il classico torrone siciliano. Unendo il verde del pistacchio, il giallo del miele e il bianco delle mandorle, offerti naturalmente dalle campagne nissene, i cosiddetti turrunari del luogo, creano un dolce artigianale talmente buono che racchiude in sé i profumi e i sapori tipici di questa terra, mescolati ai colori caldi e vivaci che caratterizzano la sua personalità. Una tradizione che si è rinnovata negli ultimi anni grazie ad importanti innovazioni di prodotto e di processo che hanno permesso la creazione di nuovi torroni (al cioccolato e ad altri aromi tipici isolani).

Riconoscimenti
Il torrone è riconosciuto come uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani su proposta delle seguenti regioni:
Regione Abruzzo
  • Torrone di Guardiagrele
  • Torrone tenero al cioccolato aquilano
  • Torrone tenero al cioccolato di Sulmona

Regione Calabria
  • torroncino
  • torrone a poglia con mandorle, turruni
  • torrone di arachidi con zucchero
  • torrone gelato, turruni gelatu
  • torrone Cupeta di Montepaone

Regione Campania
  • torroncino di Roccagloriosa
  • torrone croccantino di San Marco dei Cavoti
  • torrone di Benevento
  • torrone di castagna
  • torrone di Grottaminarda: "Spantorrone di Grotta" rinominato anche "Irpino" da "Dolciterre - Sapori Italiani".
  • torrone di Ospedaletto d'Alpinolo
  • torrone di Dentecane ( Pietradefusi): "Pantorrone" di Pantorrone Garofalo.
  • torrone di Dentecane: "Pannardone","Pannardini","Le Gioie" di Industria Dolciaria Nardone.

Regione Lazio
  • torroncino di Alvito

Regione Lombardia
  • Torrone Classico o di Cremona

Regione Marche
  • torrone di Camerino
  • crostata di torrone
  • torrone di fichi - panetto di fichi di Monsampolo del Tronto

Regione Molise
  • torrone del papa

Regione Piemonte
  • torrone di nocciole

Regione Sardegna
  • torrone di Pattada
  • torrone di Tonara
  • torrone di Sinnai
  • torrone di Tuili
  • torrone di Giba

Regione Siciliana
  • torrone di Caltanissetta

Regione Veneto
  • mandorlato di Cologna Veneta
  • torrone di San Giovanni Lupatoto

Marchi di tutela attribuiti dall'Unione europea
  • Turrón de Jijona (IGP)
  • Turrón de Agramunt / Torró d'Agramunt (IGP)
  • Turrón de Alicante (IGP)

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Tricotto

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Il tricotto è un biscotto della cucina siciliana diffuso in tutta la regione.
Sono considerati biscotti per bambini alle prese con la crescita dei denti, poiché essendo duri, sono adatti per essere sgranocchiati. Il nome deriva dalla tripla cottura prevista per ottenere un biscotto particolarmente asciutto che permette una lunga conservazione.
Possono essere aromatizzati con vari aromi, quelli ai semi di anice vengono chiamati Biscotti di San Martino e vengono preparati per la festa omonima.



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Cantuccio

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I cantucci o cantuccini sono uno dei maggiori vanti dolciari della Toscana. Sono biscotti secchi alle mandorle, ottenuti tagliando a fette il filoncino di impasto ancora caldo. Fanno parte dei più tipici dessert della tradizione culinaria toscana, soprattutto accoppiati al vin santo.
I cantuccini sono chiamati nel Lazio e in Umbria col nome di "tozzetti" e possono essere preparati con nocciole o altra frutta secca al posto delle mandorle. Con questo nome sono noti anche nella provincia di Siena e in altre parti d'Italia in cui se ne è diffusa la preparazione.


Descrizione

Sono di forma tradizionale allungata, ottenuta dal taglio in diagonale del filone di impasto dopo la cottura. Il cantuccino presenta una superficie superiore dorata con struttura interna caratterizzata da una presenza elevata di mandorle intere sgusciate (ma non pelate). La lunghezza può variare ma è normalmente contenuta entro i 10 centimetri. Il nome deriva da "canto", cioè angolo, o da "cantellus", in latino pezzo o fetta di pane.
L'impasto è composto di farina, zucchero, uova, mandorle, burro: si può sostituire lo zucchero con il miele e il burro con l'olio d'oliva. Le mandorle non vengono né tostate né spellate. Tradizionalmente i Cantuccini sono venduti accompagnati con un'altra specialità dolciaria Toscana, i Bruttiboni.
Sebbene comunemente usato, "Biscotti di Prato" in realtà indicherebbe altri prodotti: le varianti o imitazioni, che si discostano dalla ricetta tradizionale in alcuni punti fondamentali come l'assenza di lieviti, grassi (per renderli meno secchi) e aromi.
I cantucci in Toscana si degustano normalmente inzuppandoli in un vino liquoroso locale, chiamato Vin Santo e prodotto a livello anche artigianale in piccole botti attraverso l'uva appassita.


Storia

Una consacrazione ufficiale dei cantuccini si trova nel dizionario dell'Accademia della Crusca che nel 1691 ne diede la seguente definizione: "biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo". I cantucci più famosi del tempo erano prodotti a Pisa, mentre le mandorle entrarono a far parte degli ingredienti soltanto in alcune varianti, quali i "biscottelli" dell'epoca di Caterina de' Medici, per assurgere a elemento caratterizzante a partire dalla seconda metà dell'Ottocento.
La prima ricetta documentata di questo dolce è un manoscritto, conservato nell'archivio di Stato di Prato, di Amadio Baldanzi, un erudito pratese del XVIII secolo. In questo documento i biscotti vengono detti alla genovese.
Nel XIX secolo Antonio Mattei, pasticciere di Prato, ne mise a punto una ricetta divenuta poi classica, con la quale ricevette numerosi premi a fiere campionarie in Italia e all'estero, tra cui una menzione speciale all'esposizione universale di Parigi del 1867. La bottega di "Mattonella" (nome popolare del biscottaio) esiste ancora oggi a Prato ed è considerata la depositaria della tradizione dei cantucci.



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