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Tortionata

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La tortionata o tortjonata è un dolce friabile a base di mandorle tipico della città di Lodi, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano.
Affine alla più nota sbrisolona, se ne distingue soprattutto per l'assenza della farina gialla dalla lista degli ingredienti.
La torta sarebbe nata nella prima metà dell'Ottocento dalle mani del pasticciere Carlo Tacchinardi che tramandò la ricetta ai figli Giovanni e Gaetano. Quest'ultimo la passò al proprio figlio Alessandro a cui, secondo la tradizione popolare, si deve il nome del dolce. Alessandro l'avrebbe chiamata così da un gioco di parole: la "torta di quando io sono nato", ovvero la "torta io nata" (da lì il nome definitivo). Nel 1885 Alessandro Tacchinardi depositò legalmente il nome della torta lodigiana unitamente al marchio d'impresa, che è di proprietà della Tacchinardi srl.
L'origine del nome deriva probabilmente dal termine tortijon, un filo di ferro attorcigliato che veniva anticamente utilizzato per tagliare la torta.





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Sbrisolona

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La sbrisolòna (anche detta sbrisulòna, sbrisolìna, sbrisulùsa o sbrisulàda) è un dolce del Nord Italia, originario della città di Mantova, ed è comunemente prodotto e consumato in Lombardia, Emilia-Romagna e nel Veronese.
Il nome deriva dal sostantivo brìsa, che in mantovano vuol dire briciola e pare che la ricetta risalga a prima del '600 quando arrivò anche alla corte dei Gonzaga.
Si tratta di una torta di povere origini, all'inizio infatti gli ingredienti erano quelli tipici della tradizione contadina (farina di mais, strutto e nocciole) e negli anni si sono raffinati.
La ricetta oggi prevede che le farine (bianca e gialla) e lo zucchero siano in parti uguali, ragione per cui in passato questo dolce era detto "torta delle tre tazze", inoltre gli ingredienti non devono essere sminuzzati, anzi, il tratto caratteristico del dolce sta nella sua consistenza irregolare, dovuta alla lavorazione veloce e al taglio grossolano delle mandorle.
Si distingue da altre preparazioni, proprio per il metodo di lavorazione e per come viene servito, infatti questo dolce non dev'essere tagliato in fette regolari, ma spezzato con le mani. È tradizione consumare la torta bagnandola con la grappa. Si consiglia di accompagnarlo con un vino liquoroso come il Malvasia, il Vin Santo o il Passito di Pantelleria.
Caratteristica inconfondibile della torta è la sua friabilità che la porta a sbriciolarsi con estrema facilità (da cui il nome che nelle lingue gallo-italiche significa "sbriciolona" o "sbriciolata"). In Veneto viene comunemente chiamata "rosegotta" e "fregolotta", termine quest'ultimo che indica anche un altro dolce assai simile.
Si può trovare anche già preparata nei supermercati e ha una conservazione molto lunga.


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Pampepato

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Il panpepato, o pampepato, è un dolce di forma tondeggiante (o di pepita), tipico di Terni e Ferrara. È composto secondo tradizione da vari ingredienti: mandorle, nocciole, pinoli, pepe, cannella, noce moscata, arancia e cedro canditi, uva passa, il tutto impastato con o senza cacao, cioccolato, caffè, liquore, miele, farina, mosto cotto d'uva. Il dolce è poi cotto al forno (meglio se in forno a legna). Viene consumato, di solito, come dolce delle festività natalizie. È preparato in ogni famiglia con ricette che differiscono leggermente l'una dall'altra. Nonostante oggi sia essenzialmente un prodotto artigianale, in alcune zone persiste la preparazione casalinga e la tradizionale usanza dello scambio del dolce accompagnato da un rametto di vischio.

Storia
Il "Pampepato Ternano" viene preparato da circa il XVI secolo. Probabilmente la provenienza è il lontano oriente, portato dalle carovane che trasportavano spezie, intorno alla metà del Cinquecento. Poi, la tradizione italica ha aggiunto sapori locali come le noci, gli agrumi e l'ingrediente "segreto", il mosto cotto ("sapa" o "saba" nell'epoca romana), che è difficile da trovare, ma che a Terni viene imbottigliato appositamente per la preparazione del pampepato. Le prime tracce di una ricetta scritta risalgono intorno al 1800. È un dolce della tradizione contadina, tipico delle feste perché l'acquisto degli ingredienti, soprattutto le spezie, era molto oneroso.
Il panpepato di Siena risale al periodo medioevale. Nell'800, in onore della Regina Margherita, fu fatto un nuovo tipo di panforte, o pampepato, coperto di zucchero a velo, a cui fu dato il nome di Panforte Margherita.
Le origini del "Pampepato di Ferrara" si ricollegano alla tradizione di preparare i cosiddetti "pani arricchiti" durante le festività natalizie.
La ricetta nacque probabilmente nei conventi di clausura del ferrarese, attorno al XV secolo, quando lo Stato della Chiesa aveva forte influenza sul territorio. Ma presto divenne anche un dolce consumato dalla corte ducale degli Estensi, che subiva un forte influsso orientale. La forma del dolce ricorda senza dubbio la forma della papalina.
Il Pampepato Ternano viene preparato dai ternani rigorosamente l'8 dicembre, giorno dell'Immacolata Concezione, all'inizio delle festività ma il periodo, a volte, si prolunga fino al 14 febbraio, festa di San Valentino, patrono della città e degli innamorati. Tradizione vuole che almeno un esemplare ne resti incartato fino al giorno di Pasqua, o addirittura dell'Assunzione (15 agosto); questo testimonia la doti di serbevolezza del prodotto, capace di mantenersi a lungo (almeno tre mesi) senza conservanti. Nella ricetta originale non si trovano le dosi esatte di alcuni ingredienti, perché non esistono indicazioni precise; vengono aggiunti "quanto basta", finché non ha il giusto sapore.
Il Pampepato di Ferrara è tipicamente a base di cioccolato fondente, sia nell'impasto sia nella glassatura esterna, dello spessore di 4 mm circa. Nocciole, mandorle, cannella, sentore di pepe, predominanza netta dell'aroma di cioccolato fondente, sono i sapori di questo dolce che, ricordiamolo, si deve consumare fresco e morbido, evitandolo se duro e secco (vecchio).
Infine, il panpepato non va confuso con il pan di zenzero, altro tipo di impasto speziato usato per fare dolci (gingerbread) e biscotti (Lebkuchen), talvolta impropriamente nominato con questo nome.

Riconoscimenti
Il pampepato è stato riconosciuto prodotto tradizionale dalla Regione Umbria, dalla Regione Toscana e dalla Regione Emilia-Romagna e inserito nell'apposito elenco del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il Panpapato di Ferrara o Pampepato di Ferrara ha ottenuto il riconoscimento I.G.P. nel 2015.




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Cơm rượu

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Il cơm rượu è un dolce tipico del Vietnam meridionale, a base di riso glutinoso.
Il riso viene cotto, poi mescolato con lievito, suddiviso in palline, e fatto fermentare in un recipiente con un po' di acqua e zucchero per alcuni giorni. La fermentazione produce un liquido leggermente alcoolico e lattiginoso, un tipo di vino di riso cui possono essere aggiunte piccole quantità di sale e zucchero. Il cơm rượu viene servito immerso nel suo liquido e mangiato al cucchiaio.
Anche nel Vietnam del Nord esiste un dolce simile, ma con un impasto più denso e non immerso nel liquido, chiamato rượu nếp.
Ancora più similare è il jiǔniàng (酒酿) or guìhuā jiǔniàng (桂花酒酿), diffuso in Cina, dove spesso è aromatizzato con l'osmanto odoroso.


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Pan dell'orso

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Il pan dell'orso è un dolce abruzzese, simile al parrozzo, cui differisce nella preparazione perché c'è l'aggiunta del miele e del burro per dare più morbidezza all'impasto.


Storia

La forma di questo dolce è simile ai piccoli pani dei pastori che portavano durante la transumanza. Il nome si riconduce alla presenza degli orsi nella zona di produzione.


Ricetta

Ingredienti

  • 6 uova
  • 150 g di farina di mandorle
  • 90 g di farina
  • 90 g di fecola di patate
  • 160 g di burro
  • Un pizzico di sale
  • Aromi mandorla amara, arancio, limone
  • 25 g di miele d'acacia
  • 180 g di zucchero



Preparazione

  • Montare i tuorli d'uovo con lo zucchero, a montatura ultimata aggiungere i due tipi di farine e la fecola di patate.
  • Fondere il burro ed amalgamarlo quindi nel composto, aggiungere poi gli aromi e il lievito.
  • Montare gli albumi con il sale. Una volta montato il composto aggiungere all'impasto precedentemente ottenuto.
  • Cuocere nel forno a 180° per circa un'ora.
  • Una volta raffreddato mettere in frigo.
  • Il giorno dopo versare sopra il pan dell'orso così ottenuto una glassa di cioccolata precedentemente fusa a bagnomaria.



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Perché le persone bevono birra con il dessert?


Ci sono birre adatte per essere bevute con il dessert.

Visitando il birrificio Baladin, il proprietario Teo Musso spiegò giustamente che una sua "mission" personale è quella di far capire alla gente che la birra può essere utilizzata come accompagnamento a tutti i piatti, così come avviene da sempre con il vino.

Anche nel caso della birra ci sono infatti centinaia di stili diversi, ognuno dei quali può rendere al meglio abbinato ad un determinato piatto.

Nel caso dei dolci probabilmente verrebbero in nostro aiuto certe birre belghe, assolutamente adattissime.

Prova a mangiare un dolce invernale, magari anche un bel panettone artigianale, con una De Dolle Stille Nacht, poi ci dite cosa ne pensate.

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È meglio usare mele crude o già cotte per la torta di mele?

Per le mie ricette, mele Golden appena raccolte, se possibile.



In passato ho provato ad utilizzare le mele in scatola, la torta assomigliava ad un cibo da fast-food annacquato e piuttosto disgustoso che avrebbe mandato in coma un diabetico.



Ti raccomando vivamente di utilizzare le mele fresche. in questo modo la torta verrà più solida e potrai controllarne facilmente il livello di dolcezza e d'acidità, con le mele precotte non hai questa possibilità. Inoltre, a dipendenza del tipo di mele usate, puoi anche influire su quanto sarà umida la torta.



La riuscita di una buona torta dipende molto dall'amore che hai per la cucina, le mele precotte sono un atto d'odio.


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Da dove arriva la ricetta originale del Tiramisù?

Tiramisù è la quinta parola della cucina italiana più conosciuta all’estero, la prima per i dolci.

Etimologia della parola Tiramisù: sollevami, rinforza il mio corpo → deriva del dialetto trevigiano “Tireme su”, italianizzato in Tiramisù negli ultimi decenni del secolo scorso.



  • La memoria storica della “Gioiosa Marca” ricorda che il Tiramisù nasce a Treviso nella seconda metà del 700/800

Una tradizione locale verbale ci ha tramandato che il nostro dolce sarebbe stato ideato da una geniale “maitresse” di una casa di piacere ubicata in centro storico a Treviso.

La “Siora” padrona del locale avrebbe ideato questo dolce afrodisiaco e corroborante per offrirlo ai suoi clienti alla fine delle serate allo scopo di rinvigorirli e risolvere i problemi connessi ai doveri coniugali al momento del loro rientro in famiglia.

Si narra che nel locale, quando gli uomini scendevano le scale un po’ provati, un’ avvenente maitresse preparava questo dolce e li ammoniva in codesto modo: “desso ve tiro su mi”. Da qui origine del nome.

E’ nato così il Tiremesù un “viagra naturaledell‘800, offerto ai clienti della maison del diletto.

In piazzetta Ancilotto in centro a Treviso un’antica locanda del tempo, l’attuale ristorante Le Beccherie, ha adottato questo dolce nel proprio menù per i clienti. Tiramisù dolce unico anche per l’iter delle sue origini: un “percorso inverso” dalle case alle locande, ai ristoranti, alle pasticcerie.

A supporto di questa storia leggendaria è la composizione degli ingredienti del Tiramisù, tutti nutrienti e ipercalorici: uova, zucchero, savoiardi, mascarpone, caffè e cacao. Anche la ricetta e la sua semplice preparazione avvalorano questa tesi, non bisogna essere un cuoco stellato per preparare questo dolce; chiunque è in grado di farlo e senza strumenti particolari.

Nel corso dei secoli, un velo di pruderie e di vergogna popolare ha nascosto la vera origine del Tiramisù. Difatti non viene ricordato nei libri fino alla caduta del conformismo legato al perbenismo storico avvenuto nella seconda metà del ‘900.

Testimonianza della presenza di questo dolce, nei secoli scorsi, sui tavoli imbanditi di casa nostra sono le nonne e bisnonne ultraottantenni. Queste signore ci raccontano che preparavano con arte e passione questo dessert per famiglia e amici, ben prima degli anni 1950. Prima della diffusione dell’elettricità e dei primi frigoriferi questo dessert, non a lunga conservazione, era consumato e conosciuto solo nella provincia di Treviso e zone limitrofe.

Alcuni aspetti peculiari tramandati a voce testimoniano in modo inconfondibile l’origine veneta e trevigiana del dolce. La ricetta deriverebbe dallo “sbatudin” un composto di tuorlo d’uovo sbattuto con lo zucchero, utilizzato comunemente dalle famiglie contadine trevigiane come ricostituente o per i novelli sposi. A questo è stato poi aggiunto mascarpone, caffè e cacao che tutti i nostri familiari ricordano di aver gustato fin da bambini prima dell’ultima guerra mondiale.

Ancor oggi, secondo usi e costumi trevigiani, si porta in dono alle donne puerpere, ai bambini e alle persone in stato di debolezza i biscotti savoiardi. Biscotti di forma oblunga, soffici, leggeri e facilmente digeribili. Prima della produzione industriale dei biscotti savoiardi si preparava questo dessert con biscotti friabili, spugnosi fatti in casa e nelle famiglie più povere con focaccia o pane vecchio imbevuto di caffè.

Il Tiramisù dei giorni nostri è un’evoluzione della tradizione locale di Treviso, è un dolce anche per i bambini ecco perché la ricetta tradizionale non contiene liquore.

Lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso ( 1895-1969 ) è stato il letterato e anche il testimone più informato sulla ricetta del Tiramisù. Il poeta Comisso ha scritto nelle sue memorie e raccontato agli amici più stretti che sua nonna discendente del Conte Odoardo Tiretta era una devota del Tiramisù, anzi del Tirame-sospiro-sù, come Lei chiamava questo dessert e spesso consumava abitualmente come cena invernale. Da questi ricordi storici si evince che codesto dolce e ricetta erano conosciuti a Treviso già nell’1800.

La storia ed evoluzione di questo dolce ci insegna a nobilitare i cibi poveri.

Come spesso accadde nelle Leggende si trovano diversi punti di Verità: il Tiramisù è nato a Treviso, in Italia.


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Che autorizzazioni sono necessarie per vendere torte fatte in casa?


Per vendere al pubblico devi avere una licenza per la vendita di alimenti. Una volta queste licenze erano difficili da ottenere, ora è più semplice, ma comunque vanno richieste (se non sbaglio in comune) e c'è della burocrazia da seguire.

Per produrre le torte invece devi avere un laboratorio a norma, quindi come minimo devi passare l'ispezione dell'ASL. Ci sono delle specifiche nome da rispettare. Inoltre devi preoccuparti del lato contabile, la vendita va tassata, ma quello dipende dal tipo di attività che avvii.

Non è come nei film, la produzione e la distribuzione di alimenti è un settore molto regolamentato. Non basta fare delle torte in cucina e poi mettere un banchetto per strada dove venderle.

 




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Parrozzo

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Il parrozzo (o panrozzo) è un tipico dolce pescarese, associato alle tradizioni gastronomiche del Natale (ma non solo). È molto diffuso soprattutto nella zona orientale dell'Abruzzo.
Ha ottenuto il riconoscimento di prodotto alimentare tradizionale della regione Abruzzo, nella tipologia "Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria, e della confetteria".

Origini
Il parrozzo fu ideato e preparato nel 1920 da Luigi D'Amico, titolare di un laboratorio di pasticceria a Pescara. D'Amico ebbe l'idea di fare un dolce dalle sembianze di un pane rustico anche detto pane rozzo (da cui è derivato il nome “Pan rozzo”), che era una pagnotta semisferica che veniva preparata dai contadini con il granoturco e destinata ad essere conservata per molti giorni. D'Amico fu ispirato dalle forme e dai colori di questo pane e riprodusse il giallo del granoturco con quello delle uova, alle quali aggiunse la farina di mandorle; invece, lo scuro colore dato dalla bruciatura della crosta del pane cotto nel forno a legna fu sostituito con la copertura di cioccolato.
La prima persona alla quale Luigi D'Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d'Annunzio, che, estasiato dal nuovo dolce, scrisse un madrigale “La Canzone del parrozzo”
È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c'avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce… e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…”. Gabriele D' Annunzio

Preparazione e ingredienti
Il “parrozzo” è fatto con semolino o, in alternativa, la farina gialla o farina bianca con fecola, zucchero, mandorle tritate, essenza di mandorla amara, buccia di arancia o buccia di limone ed è ricoperto di cioccolato fondente.
Il dolce è ottenuto impastando la farina gialla, con uova e mandorle tritate e la buccia di arancia o limone. Si versa l'impasto in uno stampo semisferico preferibilmente di alluminio e lo si cuoce nel forno. A cottura ultimata, quando il dolce è ormai freddo, lo si ricopre con il cioccolato fondente fuso.

Produzione industriale
Luigi d'Amico parrozzo Sas (Manoppello)
Attualmente il parrozzo è prodotto anche in forma industriale dalla azienda fondata dall'ideatore di questo dolce. Il confezionamento in atmosfera modificata permette, infatti, di conservare il prodotto per circa quattro mesi.
Tale società industriale è la Luigi d'Amico parrozzo Sas di Manoppello, provincia di Pescara, ma il dolce è diffuso anche a Pescara stessa. Botteghe varie di parrozzo sono diffuse nei borghi dell'area pescarese come Loreto Aprutino, Città Sant'Angelo e Penne. Anche in provincia dell'Aquila il parrozzo è in parte diffuso, particolare a Tagliacozzo.





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Pan di ramerino

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Il pan di ramerino è un panino, non troppo grande, morbido e dolce fatto con pasta di pane, uva sultanina (zibibbo) e rosmarino. All'impasto spesso viene aggiunto anche del latte e delle uova.
Di origine medievale, ha, nei suoi ingredienti, certamente avuto un'evoluzione. Si pensi allo zucchero per esempio. Legato tradizionalmente al periodo antecedente la Pasqua, in tempi non molto lontani, il Pan di ramerino lo si trovava in vendita nei forni fiorentini e del circondario solamente il giorno del Giovedì Santo, già benedetto dai parroci della zona. Oggi, il Pan di ramerino lo si può trovare in vendita anche in altri periodi dell'anno.
Il Pan di ramerino viene fatto lievitare per circa un'ora e poi fatto cuocere, fin tanto che l'olio con il quale è stato precedentemente spennelato (con il rametto di rosmarino fresco) non gli dà il tipico colore brunito e lucido in superficie.
All'aspetto si presenta come una piccola pagnottella circolare con un taglio a croce che serve per favorirne la lievitazione.

Curiosità
Il ramerino è il nome che si usa in Toscana per la pianta del rosmarino. Da questa pianta tipicamente mediterranea, che si trova in abbondanza sulle assolate colline fiorentine, nasce uno dei dolci tipici di Firenze e delle zone limitrofi.





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