Quando le giornate si accorciano, i
rami si spogliano e i cimiteri si popolano di silenzi, la Lombardia
accoglie un'antica consuetudine gastronomica che sa di terra, di
famiglia, di tempo sospeso. Il “Pan dei Morti” è più di un
dolce: è un segno tangibile del legame profondo tra vivi e defunti,
tra presente e ricordo, tra gesto e significato. Compare sulle tavole
lombarde a fine ottobre, in preparazione al giorno dei morti, come se
bastasse un impasto di pane, cacao, frutta secca e spezie per tenere
vivi gli affetti. Ma forse, in fondo, è davvero così.
Affondando le sue radici nei riti pagani legati al culto dei defunti, poi riplasmati dalla sensibilità cristiana medievale, il Pan dei Morti è uno di quei cibi che non si sono mai allontanati dall’anima popolare. La sua origine si colloca nelle province di Milano, Pavia, Lodi, Como, Lecco e parte del Cremonese, dove ancora oggi viene prodotto artigianalmente da panifici e pasticcerie. Ogni famiglia custodisce la propria versione, ma la struttura resta simile: un impasto denso, arricchito da ingredienti che erano facilmente disponibili nelle dispense contadine in autunno. Lungi dall’essere solo un biscotto, è una narrazione in forma commestibile, che parla di raccolta, attesa e comunione.
Il legame tra cibo e commemorazione funebre è una costante culturale che attraversa secoli e confini. In Lombardia, la preparazione del Pan dei Morti si colloca nell’ambito di un rituale familiare: si impastava in casa in grandi quantità, per essere poi offerto ai visitatori, ai bambini, ai vicini. Rappresentava l’anima del defunto che “ritornava” simbolicamente per ricevere l’affetto della propria comunità. In cambio, lasciava qualcosa di dolce, una presenza concreta nel mondo dei vivi. Quel che oggi sembra solo un dolce stagionale era, fino a poche generazioni fa, parte integrante di un calendario spirituale. Il Pan dei Morti si preparava insieme ad altri dolci della ricorrenza, come le “ossa dei morti”, i “fave dei morti” o le “anime dei morti”, a seconda della zona, in un’unità di intenti che mescolava il sacro e il domestico.
A vederlo, questo dolce non cerca di sedurre. Ha la forma ovale, leggermente appiattita, il colore marrone scuro della terra, una superficie increspata da cui affiorano canditi, mandorle, pinoli. Viene spesso spolverato con zucchero a velo, ma la sua vera bellezza è nascosta dentro. Al primo morso si rivela umido, aromatico, spezzato da piccoli contrasti: il croccante della frutta secca, la morbidezza dell’uvetta, la dolcezza pungente dei fichi, l’intensità del cacao, la nota alcolica di un vino o liquore che lega tutto in una densità avvolgente. Non è un dolce da fretta, ma da pausa. Va mangiato lentamente, preferibilmente in silenzio, come si farebbe con un pensiero caro.
La preparazione richiede ingredienti semplici, ma ben calibrati. L’equilibrio è fondamentale, perché ogni elemento ha una funzione precisa. Ecco una versione tradizionale, frutto di confronti tra diverse ricette familiari e varianti di pasticceria:
Ingredienti:
200 g di pane raffermo (o biscotti secchi tipo amaretti o savoiardi)
150 g di farina 00
100 g di zucchero semolato
100 g di fichi secchi
100 g di uvetta sultanina
80 g di mandorle pelate
50 g di pinoli
50 g di scorza d’arancia candita
30 g di cacao amaro in polvere
1 cucchiaino di cannella
1/2 cucchiaino di chiodi di garofano macinati
1 bustina di lievito per dolci
1 bicchierino di vin santo o marsala
zucchero a velo per decorare
un pizzico di sale
Preparazione:
Tritare il pane raffermo molto
finemente, fino a ottenere una polvere uniforme. Se si usano biscotti
secchi, vale lo stesso procedimento. Aggiungere la farina, il cacao,
lo zucchero, le spezie e il lievito. A parte, tritare grossolanamente
i fichi secchi, la scorza d’arancia candita e le mandorle.
Ammollare l’uvetta in acqua tiepida o nel vino scelto. Unire tutti
gli ingredienti secchi in una ciotola grande, incorporando anche
l’uvetta scolata, i fichi, i canditi e i pinoli. Versare a poco a
poco il vin santo fino a ottenere un composto denso ma lavorabile, né
troppo secco né appiccicoso. Con le mani leggermente unte, formare
dei biscotti ovali alti circa un centimetro, larghi 5 e lunghi 10.
Disporli su una teglia con carta forno, ben distanziati. Cuocere in
forno statico a 180°C per circa 20-25 minuti. Una volta raffreddati,
spolverare con zucchero a velo.
La consistenza ottimale si raggiunge lasciandoli riposare almeno 24 ore, meglio se conservati in un contenitore di latta. Acquistano complessità, si ammorbidiscono leggermente e si sposano perfettamente con bevande calde o vini da meditazione.
L’abbinamento più naturale è con un vino dolce e strutturato, capace di reggere l’intensità aromatica del biscotto senza sovrastarlo. Il Vin Santo toscano, con le sue note di frutta secca e legno, è un compagno eccellente. Altrettanto efficace è l’abbinamento con un Recioto della Valpolicella o un Marsala superiore. Per chi preferisce le bevande calde, il Pan dei Morti trova piena espressione con un tè nero affumicato o un caffè espresso corposo. Curiosamente, anche una grappa morbida o un brandy ben invecchiato possono completare l’esperienza, accentuandone le sfumature speziate e il retrogusto di frutta matura.
In un’epoca in cui la velocità consuma anche i riti, questo dolce conserva un tempo diverso. Richiede attesa, attenzione, memoria. È il gesto che si tramanda più del gusto stesso. Farlo oggi, in cucina, è come stendere un filo invisibile con le generazioni passate, riconoscere nel profumo del cacao e della cannella il suono di una preghiera antica. Il Pan dei Morti non appartiene alla nostalgia, ma alla continuità. Perché ogni anno, puntualmente, torna. E torna per restare.
0 commenti:
Posta un commento