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Macafame

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Il Macafame (anche chiamato Maccafame o Bacafame) è una preparazione solitamente dolce tipica della zona di Vicenza a base di ingredienti “poveri” come pane, latte, uova e miele.
Come il nome stesso fa intuire "ammacca la fame" perché una fetta è più che sufficiente per una colazione o un corposo spuntino.
Cotto nelle stufe delle case contadine e venduto nelle osterie, il dolce nasce principalmente dall'esigenza di un ambiente rurale povero di utilizzare gli avanzi al meglio, ed è preparato in numerose varianti: si possono aggiungere svariati ingredienti come ad esempio uvetta, mandorle, nocciole, pinoli o gocce di cioccolata.



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Maccheroni con le noci



I maccheroni dolci con le noci, nella cucina viterbese e umbra, sono un tipico dolce festivo natalizio (dalla vigilia di Natale all'Epifania), talvolta preparato anche per Tutti i Santi e per la festa dei Morti.
Si tratta di una normale pastasciutta condita, però, in modo da avere un deciso sapore dolce e da consumarsi fredda. Può essere pasticciata oppure compressa in una sorta di timballo preparato quando la pasta è ancora molto calda.
Viene preparata con maltagliati, lasagne, reginette, strangozzi o con una pasta comunque lunga non all'uovo. Dopo la lessatura si condisce con un impasto a base di gherigli di noci tritati, pangrattato, zucchero e cannella a cui si possono aggiungere rum, mistrà o cacao.
Presenti anche nella cucina marchigiana, sono però tipici della Tuscia, dove vengono conditi, oltre ai prodotti di base già detti, anche nei modi più fantasiosi, p.es. con pane al miele o ciambelline al vino grattati, scaglie di cioccolato fondente, caramelline decorative ecc. Il durissimo pane al miele, di più antica tradizione e appositamente preparato con farina, olio d'oliva e miele quanto basta ad ottenere un impasto, ha oggi un uso più limitato rispetto alle ciambelline e sono state introdotte anche paste lunghe all'uovo.




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Mandorla riccia di Francavilla Fontana


La Mandorla riccia di Francavilla Fontana è un dolce prodotto esclusivamente nel territorio del comune di Francavilla Fontana, riconosciuto Prodotto Agroalimentare Tradizionale pugliese dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Inoltre nel 1912 ha meritato la Medaglia d'Oro alla "Fiera dei Sapori" di Parigi e da allora, soprattutto in questi ultimi anni, gli artigiani francavillesi auspicano di ottenere ulteriori e maggiori riconoscimenti per la qualità e genuinità del loro prodotto.
La ricetta è stata recentemente registrata con atto pubblico e otterrà a breve la denominazione d'origine.


Caratteristiche

Si tratta di un dolce di mandorle dure dolci di 1º grado, dalla forma ovoidale, riccia, della grandezza di circa 2 cm, di colore bianco. Ha un sapore dolce ed una consistenza tenera all'esterno e più dura all'interno.


Preparazione

Si fanno dorare le mandorle in teglia, nel forno a legna. Ancora calde si incamiciano di zucchero oscillandole per 1 ora. Si ottiene la ricciatura oscillandole ancora per 2 ore. Infine si versa la glassa con aggiunta di limone e vaniglia.
È preferibile conservare le mandorle ricce in vasetti di vetro o di ceramica a chiusura ermetica.

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Mandorlato

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Il mandorlato è un dolce prodotto nella zona di Cologna Veneta, tipico delle feste natalizie, prodotto con quattro ingredienti: miele, zucchero, albume d'uovo e mandorle.


Storia

Non è nota la data certa dell'invenzione di questo dolce. È credibile che il mandorlato fosse conosciuto ed apprezzato già al tempo della Serenissima Repubblica: Cologna (dal 1406 al 1797) era considerata parte integrante del 'Dogado' veneziano. Un primo riferimento al mandorlato è contenuto nel testo di Lodovico Dolce nel 1540. Così come nel 1564 un nobile vicentino della famiglia Monza lasciava scritto, nel suo ‘libro-giornale', di aver speso «A dì 21 decembrio, L. 4 e s. 16 in quattro scatole de mandolàto». Alvise Zorzi, scrittore e nobile veneziano, scriveva nel suo libro: La vita quotidiana a Venezia nel secolo di Tiziano: «Nel Cinquecento c'erano altri doni consuetudinari: la focaccia del giorno di Pasqua, il Mandorlato e la mostarda di Natale, i marroni e la cotognata del giorno di S. Martino».
L'autore riferisce che tale notizia proviene da quanto riportava Pompeo G. Molmenti nella sua Storia di Venezia nella vita privata... che a sua volta riprendeva quanto aveva esposto Samuele Romanin, in una nota, nella sua Storia documentata di Venezia: Avea certi cibi in giorni segnalati, come le anguille, il salmone, i cavoli crespi, la mostarda, il mandorlato alla sera della vigilia di Natale; le paste dette raffioli, la gallina d'India, il fior di latte (panna) negli ultimi giorni di Carnovale; la cece il primo giorno di quaresima; l'agnello e la focaccia a Pasqua, l'anitra al primo d'agosto, la pasta detta le fave il dì de' morti ecc. Caratteristica che distingue il mandorlato dagli altri tipi di torrone è l'estrema durezza e friabilità. Queste caratteristiche sono descritte già in una lettera, del 1778, che racconta di un episodio occorso ad un ex-Gesuita. Giulio Cardo, altro noto storico colognese, così annotava: «sec. XIX - Finco dr. Antonio di Giovanni Battista, fu uomo molto versato nella scienza, specialmente nella chimica e nella botanica. Inventò una ricetta con cui si confeziona, ancor oggi, una qualità di Mandorlato ricercatissimo».
La produzione moderna del mandorlato ha avuto inizio nel 1852 con Italo Marani. Nel 1905 il Mandorlato arrivò anche dentro le mura leonine di Roma, nelle mani del Santo Padre Pio X; il fatto è testimoniato da una lettera di ringraziamento che mons. Giovanni Bressan - segretario particolare di Sua Santità - inviava al colognese Garzotto Rocco. La notizia la si trova nella pubblicazione Cologna Veneta: storia, arte, testimonianze - in Appendice - di Leone Simonato. Oggi sono diverse le ditte che lo producono, sia industrialmente che artigianalmente. La presenza sia in Spagna che in Sicilia di dolci con i medesimi ingredienti (zucchero, miele, albume d'uovo e mandorle), ma con modalità di cotture molto differenziate lascia trasparire che potrebbe trattarsi di rielaborazione di antiche ricette arabe; nei luoghi conquistati o frequentati hanno sicuramente lasciato tracce delle loro tradizioni gastronomiche.


Ingredienti e ricetta

Quattro sono gli ingredienti tipici per la sua fabbricazione: mandorle, miele, zucchero e albume d'uovo. Il dosaggio e la precisa osservanza degli intervalli stabiliti per immettere i vari ingredienti, sono indispensabili; nel calderone vanno inseriti con il seguente ordine: miele, zucchero, albume e le mandorle, senza dimenticare, infine, la temperatura che deve essere costante per tutte le otto ore circa occorrenti per una perfetta cottura. Di seguito la ricetta artigianale completa di una delle più antiche famiglie produttrici di mandorlato di Cologna Veneta: "riscaldare il miele a fuoco moderatissimo, sempre rimescolando per circa trenta minuti, lasciare intiepidire per altri trenta minuti, aggiungere una parte degli albumi montati a neve. Far riposare e riscaldare. Ripetere l'operazione con l'altra parte degli albumi montati a neve. Aggiungere le mandorle. Mescolare molto bene e poi versare in un recipiente basso e largo, foderato di cialde (ostie) bianche. A freddo, si spacca a pezzetti."



La festa del mandorlato

Cologna Veneta, ogni anno - a dicembre - in concomitanza con la festa dell'Immacolata Concezione festeggia con una propria fiera la produzione pluricentenaria di questo dolce tipico. L'anno 2014 ha visto la 30ª Festa del Mandorlato.



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Il gelato è nato da un errore?

 


No, il gelato è la stratificazione di esperienze diverse maturate nel corso di alcuni secoli da individui diversi. Ognuna di esse rappresenta un tassello, ma nessuno di questi passaggi deve essere considerato frutto del caso. Inoltre la vera differenza (almeno in origine) era data dalla artificialità del prodotto, diversamente dobbiamo considerare che anche i Neanderthal mangiassero ghiaccio aromatizzato (sorbetto), un antenato del gelato.




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Come è nato il dolce "bûche de Noël" e cosa significa?




La tradizione voleva che si prendesse un tronco o un ramo grosso, in modo che potesse durare, bruciando, il più possibile, veniva scelto da alberi come il ciliegio, il castagno o l’olivo. La preparazione seguiva un rituale preciso, tagliato al levar del sole, veniva decorato con foglie e bacche. Veniva benedetto dal capo famiglia e doveva essere acceso dal più giovane in famiglia, ma il rituale poteva variare da regione a regione in Francia. Doveva bruciare lentamente e durare al limite tutta la notte di Natale. La tradizione è oggigiorno rievocata con il dolce. Come bruciava, il colore delle fiamme potevano avere diversi significati. Le sue ceneri mescolate con vino, sale e miele, come pure con l’acqua benedetta, serviva come portafortuna, come protezione contro il maltempo, per fertilizzare il terreno o per attirare la prosperità. Spariti i camini e con la vita di città la tradizione è andata in disuso. È difficile collocare la data della sua creazione,la storia vuole che un maitre chocolatier di Parigi l’abbia creato nel 1834, ma si attribuisce anche ad un pasticcere di Lione nel 1860. Altri dicono che sia atato un pasticcere Antoin Caradot nel 1879 in rue di Buci a Parigi, altri il pasticcere di Carlo III di Monaco, Pierre Lacam nel 1898. Comunque sia, il dolce simbolizza e sostituisce il tronco il legno, in Francia questi tronchi natalizi erano anche confezionati con della génoiese, la pasta genovese simile al pan di spagna nostrano.

Il dolce è il classico tronco, o tronchetto, da pasticceria, in francese Bûche de Nöel o gâteau roulé, la base è il biscuit roulé che viene sagomato e ricoperto in modo da simulare un tronco d’albero. Il tronco si prepara partendo da un biscuit, o pasta biscotto, che viene stesa su una teglia larga e cotta in forno. La pasta biscuit fa parte delle masse montate, cioè quegli impasti in cui si ingloba aria montandoli con le fruste elettriche o,ancora meglio, con la planetaria,per ottenere una pasta soffice ed alveolata. È la proporzione di zucchero, uova e farina determina le categorie di masse sbattute: pesanti, medie e leggere. La struttura varia in base alla percentuale di liquidi presenti (uova) o di polveri (farina, polvere di frutta secca, come farina di mandorle o pistacchi...). Per esempio una massa montata pesante avrà una quantità inferiore di liquidi e, di conseguenza, più farina. Il biscuit appartiene alle masse leggere, per fare un confronto è più leggero del pan di spagna. Gli ingredienti sono quindi uova, farina e zucchero, nel biscuit su 1 kg di uova si aggiunge la metà di questo peso in zucchero, e circa ¼ del peso delle uova in farina, si montano in planetaria per 6-8 min e si stende con una spatola su una teglia antiaderente o su cui si è messa della carta da forno. e si cuoce in forno a circa 180 gradi per 12 minuti circa. Poi a seconda delle esigenze si possono aggiungere dei tuorli, o montare sepatamente tuorli ed albumi, ma la base è quella.

Il dolce si prepara stendendo la farcitura sul biscuit che può essere una classica crema pasticcera al cioccolato o una ganache. Si arrotola su se stesso il biscuit in modo da dargli la forma di un tronco, la ricopertura può avvenire con glassa al cioccolato o anche più semplicemente con una ganache al cioccolato.


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Qual è l'origine dei marshmallow?

Morbidi al tatto, di forma cilindrica, evoluzione di un dessert amato persino dagli antichi Egizi.



Il nome marshmallow nasce dalla combinazione delle parole inglesi marsh, acquitrino, e mallow, malva. Questa pianta nasce proprio in terreni che costeggiano acque stagnanti. La sua radice era usata nell’antico Egitto per creare dei dolci da offrire alle divinità, ai nobili e ai faraoni.



Furono gli Egizi a creare il primo marshmallow, mettendo insieme una mistura di linfa di malva, miele e cereali, cotti in forno. Successivamente i Greci e i Romani introdussero la malva nelle loro tradizioni culinarie, il primo marshmallow della storia è stato creato dagli egizi con malva, miele e cereali aggiungendo anche una credenza: il mix creato con la malva poteva curare dolori e mal di gola. Tra i sostenitori di questa teoria c’era anche Ippocrate. In Francia, durante l’Ottocento, l’uso della pianta di malva cambiò. Da medicinale divenne l’ingrediente per creare gustosi dolcetti per adulti. Si scoprì che cuocendo e montando la linfa di malva con degli albumi e sciroppo di mais, si riusciva ad ottenere una pasta modellabile. Fu così che l’umanità salutò in Europa – e non in America – la nascita dei marshmallow, chiamati allora Pâte de Guimauve. Col tempo, per creare una preparazione più stabile, i produttori di caramelle francesi rimpiazzarono la linfa di malva con della gelatina, che li aiutava a creare marshmallow più stabili.



Nel 1948 Alex Doumak standardizzò il processo di lavorazione dei marshmallow, rendendolo più veloce. Seguendo la tradizione francese, la malva veniva ancora lavorata a mano e ci voleva da uno a due giorni per creare le morbide spume. Quel processo inventato dal signor Doumak negli Stati Uniti è quello usato ancora oggi: gli ingredienti del marshmallow vengono estrusi, mixati creando un grande tubo di impasto, poi tagliati e impacchettati. Ed è nel Nuovo Mondo che trovano il successo, conquistando anche una città simbolo: la capitale dei marshmallow è Ligonier, Indiana.



I moderni marshmallow sono fatti con zucchero, acqua, aria e un agente montante, solitamente una proteina in forma di gelatina. Alcuni brand, per replicare l’effetto nostalgia, usano la radice di malva in polvere. Per i vegani, la gelatina è sostituita con l’agar. I marshmallow possono essere kosher solo se la componente gelatinosa deriva da un animale ucciso secondo i precetti religiosi ebraici. Ogni brand ha la sua formula specifica per produrre il marshmallow perfetto.



Ci sono diversi modi di mangiare i marshmallow e, per chi non è nato e cresciuto in America, ci sono stati insegnati e tramandati dalla TV. Ad esempio in The Big Bang Theory, Sheldon mangia piccoli marshmallow nella cioccolata calda. La Boyer, azienda dolciaria americana, è stata la prima negli anni Trenta ad accostare i dolcetti morbidi al cioccolato, vendendoli avvolti in pirottini di carta (per i nostalgici, sono ancora in vendita).



Nelle strisce dei Peanuts i marshmallow sono la componente fondamentale dei pasti intorno al fuoco di Snoopy e della sua compagnia scout composta da Bill, Conrad, Harriet e Oliver, gli amici del piccolo uccello giallo Woodstock. Il traduttore Franco Cavallone inventò il termine toffolette per tradurre l’intraducibile termine americano e introdurre anche nella nostra cultura l’uso più tradizionale dei marshmallow: cotti sul fuoco per essere mangiati da soli. Nel testo della celebre canzone dei Beatles, Lucy in the Sky with Diamonds, si parla di una marshmallow pie. Si tratta di una ricetta facilissima da realizzare, a cui si possono aggiungere anche dei cookies al cioccolato.



I marshmallow sono uno degli ingredienti dello s’more, sandwich dolce in cui il cilindretto di zucchero scaldato viene pressato tra due biscotti di cioccolato sottili.


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Mandorlini del ponte

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I mandorlini del ponte (mandurlin dal pont in dialetto ferrarese) sono un dolce tipico di Pontelagoscuro, frazione di Ferrara. Come suggerito dal nome, sono dolcetti a base di mandorle, albume d'uovo, zucchero e farina che, una volta infornati, prendono la forma di piccoli biscotti irregolari.
La loro origine prevede due interpretazioni: secondo alcuni sono stati creati nel 1857 in onore della visita di Papa Pio IX mentre, secondo altri, sarebbero nati agli inizi del 900 dall'idea di un garzone di una gelateria che pensò di riutilizzare gli albumi d'uovo rimasti per la loro preparazione.
Secondo la tradizione locale la vera ricetta dei mandorlini apparterrebbe ancora oggi a una pasticceria di Pontelagoscuro, sebbene essi vengano prodotti e commercializzati anche a Ferrara e in tutta la provincia.
Essi sono anche stati inseriti nell'elenco dei P.A.T. dell'Emilia Romagna.

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Maritozzo

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Il maritozzo è un dolce tipico del Lazio, in particolar modo della città di Roma. Consiste in una piccola pagnotta impastata con farina, uova, miele, burro e sale che, tagliata in due longitudinalmente, è solitamente farcita con abbondante panna montata. La ricetta avrebbe origini che risalgono sino all'antica Roma. Tradizionalmente, il maritozzo veniva arricchito anche con pinoli, uva e scorzetta d'arancia candita.
Il nome deriverebbe dall'usanza di offrire questo dolce alla propria fidanzata: le future spose che lo ricevevano in dono solevano appunto definire il donante «maritozzo», vezzeggiativo popolare e burlesco di «marito». Il dolce poteva, in tali occasioni, celare al suo interno anche doni per l'amata come un anello o un piccolo gioiello.

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Cosa mangiavano greci e romani in epoca romana?



I romani consumavano tre pasti durante il giorno, a cui partecipavano anche le donne.

La mattina tra le otto e le nove, i romani facevano colazione, quindi, a metà giornata tra le undici e le mezzogiorno, mangiavano il prandium (seconda colazione, cena) e infine il pasto più importante era la cena, tra la terza e la quarta ora.

I primi due pasti erano leggeri e veloci. A quel tempo venivano mangiati pane, frutta, verdura, formaggio e resti della cena precedente.

Spesso questi pasti venivano consumati in piedi. Il più importante pasto della giornata, la cena (cena) veniva consumato prima nel nell'atrio delle famiglie, dove si tenevano le feste, poi ci spostammo stanza speciale chiamata cenacolo, che nel tempo è diventato il triclinium, quando i romani e gli italici delle classi sociali superiori adottarono l'abitudine di mangiare il proprio pasto sdraiata sui divani (klinai) dei Greci.

Da allora, mangiare in piedi è diventato un simbolo di semplicità. Nel mezzo del triclinum c'era un tavolo quadrato o rotondo (mensa), attorno al quale c'erano i divani, su cui giacevano gli invitati, appoggiati sul lato sinistro in modo da avere la mano destra libera e poter così mangiare.

Il tavolo era in marmo o avorio. Nel I secolo a.C. appare una tovaglia (mantele). Sul tavolo c'erano piatti, vino e salumi.

I piatti liquidi venivano consumati con un cucchiaio (cocleare), mentre altri cibi venivano consumati con la mano.

Le stoviglie, a seconda della situazione, erano fatte di argilla o bronzo per i più poveri, mentre erano in argento con decorazioni per i patrizi.

Esistevano due tipi di stoviglie: patina (piatti e castinus) o profondi. I bicchieri da vino, ovvero pocula, erano fatti di cristallo o oro, decorati con pietre preziose.

Il vino era bevuto diluito con acqua.


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Qual è la differenza tra marmellata e confettura?



In Italia non si differenziano molto, se non sulle confezioni, per un fatto di legge.

In inghilterra, invece, si usa il termine jam, per indicare tutte le confetture di frutta; invece, il termine marmelade, si usa esclusivamente per tutte le marmellate di agrumi: limoni, arance amare, pompelmi, mandarini e chi più ne ha, più ne metta. Poi ci sono anche varianti come lemon curd, che è però una crema al limone, composta da marmellata di limone, tuorli, zuccheri e scorze di agrumi. C’è la jelly, che è la gelatina; e per ultima, c'è la fruit preserve, che è sempre marmellata/confettura, però lasciata con i pezzettoni.






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Marmellata di castagne



La marmellata di castagne (o confettura di marroni, o marronata, o marronita) è una crema dolce spalmabile ottenuta da una lunga lavorazione delle castagne.
Spesso è aromatizzata alla vaniglia e può anche contenere alcune tracce di liquore.
È in genere conosciuta anche come crema di marroni, nome però che secondo alcuni indicherebbe piuttosto la crema ottenuta da una lavorazione di pezzettoni di marron glacé.

Riconoscimenti

La marmellata di castagne è stata registrata come prodotto agroalimentare tradizionale dal Lazio. Le Marche hanno invece registrato la composta di castagne.


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In che anno è nato il Pandoro?

 


Il pandoro insieme al panettone è uno dei dolci natalizi più tipici in Italia.

Le origini della ricetta sono da ricercare ai tempi dell'antica Roma e se ne fa menzione in uno scritto minore che risale al primo secolo d.C., ai tempi di Plinio il Vecchio, che cita un cuoco di nome Vergilius Stephanus Senex che preparò un "panis" con fiori di farina, burro e olio.

La nascita della ricetta moderna, almeno come la intendiamo oggi, risale all'Ottocento, come evoluzione del nadalin, un dolce tipico della cucina veronese.

Il 14 ottobre 1894 Domenico Melegatti, depositò all'ufficio brevetti la ricetta di un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte.


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Marron glacé

Marrons glacés


I marron glacé sono una particolare lavorazione pasticcera della castagna (in particolare della varietà denominata marrone) sciroppata e poi coperta da una glassa di zucchero. La realizzazione dura più giorni durante i quali il frutto viene immerso in sciroppi di concentrazione crescente, La lavorazione è complicata dal rischio di rompere il dolce durante i vari passaggi.


Storia



Marrons glacés



Le origini del marron glacé sono a tutt'oggi poco chiare: secondo alcuni la nascita del marron glacé avviene intorno al Cinquecento (grazie ad una maggiore disponibilità dello zucchero) nel Cuneese, dove si raccoglievano (e si raccolgono tuttora, per essere esportati in tutt'Europa) grandi quantità di castagne. Sembra, secondo questa tesi, che i marron glacé furono inventati da un cuoco di corte del Duca di Savoia Carlo Emanuele I (1562-1630). La ricetta compare nel trattato Confetturiere Piemontese, stampato a Torino nel 1790.
La seconda teoria afferma che il marron glacé potrebbe aver avuto origine, sempre nel XVI sec., a Lione.


Preparazione

La preparazione del marron glacé dura svariati giorni. I frutti, già selezionati in base al diametro, vengono inizialmente immersi in acqua per nove giorni (novena) al fine di completare la maturazione e di facilitare la successiva pelatura. Questa avviene praticando una piccola incisione sulla buccia e sottoponendo il frutto a un getto di vapore.
Il marrone viene quindi cotto in acqua, e l'acqua di cottura (insieme a saccarosio e vaniglia) farà da base per la successiva canditura con sciroppo di zucchero scaldato progressivamente fino a raggiungere i 70 °C. Affinché il risultato acquisti una morbidezza adeguata, la canditura deve durare una settimana circa. Quando il marrone è candito (ovvero saturo di zucchero), esso viene posto a scolare per almeno 24 ore su griglie.
La fase finale, la glassatura, prevede di stendere la glassa (preparata con zucchero a velo e acqua e lasciata riposare per 24 ore) sul marrone candito, e di trasferire il dolce in forno per breve tempo al fine di far cristallizzare la glassa e darle il tipico aspetto traslucido.




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Basìn de Sundri

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I basìn de Sundri nascono in Valtellina nel '800 come versione economica della bisciola (tipico pane dolce valtellinese con fichi secchi e noci), hanno forma e peso ridotti (grandi quanto un odierno panino mignon). Gli ingredienti sono ancora molto poveri, solo dopo la prima guerra mondiale vengono prodotti come biscotti secchi da pasticceria. Non riscontrando successo commerciale i basìn de Sundri vennero accantonati. È solo negli ultimi decenni che viene recuperata la ricetta originale da parte di un forno di Sondrio che ne arricchisce gli ingredienti ai gusti odierni registrandone poi il prodotto e il marchio.

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Mastazzoli

Mastazzoli dolce tipico della Cucina siciliana.


I mastazzoli detti in dialetto mastazzola, sono dei tipici dolci siciliani, più precisamente della zona etnea e della provincia di Catania


Cenni storici

Dolce consumato già all'epoca del Regno delle Due Sicilie. Veniva servito in occasione di feste, da quella del Santo Patrono arrivando al matrimonio, ma anche . Veniva consumato anche come rito propiziatorio del raccolto annuale. Si tramandano le sue proprietà salutari.


Preparazione

Viene tritata la polpa dei ficodindia dell'Etna, il tutto amalgamato e poi fatto bollire fino ad ottenere un impasto caramellato, il preparato viene fatto essiccare al sole per alcuni giorni. Si serve con noci tritate e zucchero a velo vanigliato da versare sopra.


Varianti

Esistono numerose varianti, alcune di esse sono presenti nella regione salentina e prendono il nome di mustazzoli e nella regione campana con il nome di mustaccioli.



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Miacetto

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Il miacetto è un dolce natalizio tipico della città di Cattolica (provincia di Rimini) a base di frutta secca, zucchero, cruschello (o farina) e miele.
In origine era un dolce confezionato per le feste natalizie, ma col passare del tempo ha finito con l'essere preparato anche durante tutto il resto dell'anno.


Preparazione

La ricetta è la seguente:
  • Tre etti di miele,
  • Due etti di zucchero,
  • Due etti di mandorle,
  • Due etti di uva passa e due di noci,
  • Tre etti di crusca,
  • Due etti di farina e un po' di sale,
  • Due bucce di arancia e di limone tagliate fini,
  • Un bicchiere di olio
Amalgamare con un po' di acqua finché l'impasto sarà morbido.

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Miele della Lunigiana

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Il Miele della Lunigiana è un prodotto di origine animale italiano a Denominazione di origine protetta. La denominazione è riservata a due tipologie: miele di acacia e miele di castagno.

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