Mangiare è una questione
cerebrale.
La prova del ruolo centrale del cervello a tavola è la
nostra predilezione per il sapore dolce.
L’assunzione degli alimenti dipende
dagli
ormoni che segnalano uno squilibrio energetico
al cervello dovuto a carenza di glucosio, trasmettendo ai neuroni lo
stimolo della fame.
Il segnale attiva un altro gruppo di
neuroni chiamati
“oressigeni” (dal greco òrexis, appetito)
presenti nell’ipotalamo, che stimolano l’assunzione di cibo per
ristabilire l’equilibrio.
Dopo un po’ che mangiamo non siamo
più motivati a farlo e ci fermiamo, ma quando ci viene proposto alla
fine di un pasto il dolce, le sue caratteristiche sensoriali diverse
dai cibi mangiati in precedenza
mettono di nuovo in moto tutto il meccanismo.
Inoltre compare anche il meccanismo
basato sulla
ricompensa, che innesca l’atto di nutrirsi pur
in assenza di reali necessità fisiologiche. Quando mangiamo si
attivano nel cervello
l’insula, che risponde al gusto dei cibi, e la
corteccia orbitofrontale, che però smette di
rispondere quando ci sentiamo sazi.
Se alla fine ci viene offerto un dolce,
la corteccia orbitofrontale si
riattiva e risponde con piacere al nuovo cibo.
Del resto, la gratificazione per il gusto dolce è presente in noi
fin dalla nascita e i recettori del dolce sono particolarmente
sensibili sulla lingua.
L’evoluzione ha infatti favorito gli
individui con una dieta composta da alimenti ricchi di energia.
Quando abbiamo a che fare con cibi dolci, il piacere legato
all’alimento e il suo desiderio coinvolgono una regione del
cervello chiamata
nucleo accumbens.
Il piacere è stimolato da diverse
sostanze, tra cui la serotonina, mentre il desiderio di una
ricompensa è in influenzato dalla produzione di dopamina.
Terminato l’ultimo boccone, si azzera il rilascio
di dopamina.