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Fregolotta

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La fregolotta o sfregolotta (fregoeota o sfregoeota in veneto) è un dolce tipico della cucina trevigiana.


Storia

Come riporta Giuseppe Maffioli, specialista della gastronomia veneta, fu il forno "Zizzola" di Salvarosa a diffondere la ricetta della fregolotta. Aperto nel 1924 da Angelo Zizzola, nei primi tempi gli fu annessa anche una trattoria dove la sorella Evelina preparava il dolce secondo una ricetta imparata da una vecchia amica; quest'ultima era stata cuoca presso una famiglia nobile proprietaria di una villa lungo il Terraglio.
Assai richiesta dai clienti, fu necessario allestire un piccolo laboratorio. Negli anni seguenti cominciò a diffondersi anche altrove (per esempio nei ristoranti della rinomata catena "Toulà" di Alfredo Beltrame) e in breve tempo divenne uno dei più popolari dolci veneti, probabilmente secondo solo al pandoro.
Questo successo portò Alberto Zizzola, figlio di Angelo, ad aprire un moderno stabilimento a Fanzolo nel quale la fregolotta viene tuttora prodotta a livello industriale.


Descrizione

La fregolotta è costituita da un amalgama di farina bianca e zucchero (500 e 150 g rispettivamente) che viene successivamente sbriciolato tra le dita inumidite con panna fresca. Le fregole (da cui il nome) vengono lasciate cadere su una teglia imburrata sino a formare un unico strato, in seguito uniformato e pareggiato con delicatezza.
Viene cotta in forno a 150 °C per essere servita fredda o tiepida, accompagnata a del vino bianco dolce.
In tempi recenti la ricetta originale è stata arricchita con altri ingredienti quali uova, burro e aromi di bacche esotiche.



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Frustingo

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Il fristingo (o frustingo) è un dolce tipico marchigiano a base di frutta secca e fichi; in ascolano è detto fruštìnghë, in fermano frustingu e nel pesarese bostrengo.
Si racconta che il frustingo sia il più antico dolce di Natale, al punto d'essere più remoto ancora del Natale stesso, e che la sua ricetta, più di duemila anni fa, sia passata dalle mani etrusche a quelle picene. Una ricetta che vedeva l'alica (semolino composto da farro, orzo, grano duro, spelta e grano gentile marzaiolo) impastata con il succo d'uva passita e cotta in olle di creta. Il frustingo era quindi un pane povero e sostanzioso, apprezzato dai romani, che lo chiamarono panis picentinus, ed oggetto dell'interesse di Plinio, che descrisse come veniva consumato ammorbidito nel latte mielato.
La ricetta classica, che si è lentamente e naturalmente evoluta nel tempo, sia per il variare del gusto che per ovviare alla scarsa reperibilità di alcuni ingredienti, prevede quale composto principale il pane raffermo tagliato finemente ed ammorbidito in una sorta di brodo di fichi secchi mescolato a mosto cotto (nelle Marche chiamato sapa) al quale vengono aggiunti frutta secca, cioccolato e spezie (senza dimenticare una spruzzatina di mistrà all'anice, presente in numerosi dolci marchigiani).
Come vuole una tradizione che nella gastronomia non bada ai tempi di preparazione ma alla cura ed alla genuinità delle proprie pietanze, l'impasto si lavora a lungo, con l'aiuto dell'ottimo olio d’oliva locale da aggiungere di tanto in tanto. Dopo un prolungato riposo e posto nelle forme, il frustingo viene quindi cotto nel forno a legna per essere quindi finalmente gustato, magari accompagnato da un bicchiere di vino cotto, in tutta la sua antica fragranza evidentemente ancora ben gradita, visto che questo rustico dolce natalizio è diffuso -seppur con nomi diversi - su tutto il territorio regionale sino a sconfinare nell'Abruzzo. Il frustingo è inserito ufficialmente fra i prodotti tradizionali della regione quale tipicità da salvaguardare, tutelare e promuovere.
Ingredienti di un tipico frustingo: fichi, uva sultanina, farina tipo "0" (o, più spesso, come a Ripatransone e nei paesi vicini, farina di tritello), zucchero o miele, olio extra vergine, canditi, cedro, noci, mandorle, cacao, cioccolato extra-fondente, caffè in polvere e liquido, liquori misti.




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Gianduia

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L'impasto oggi conosciuto come gianduia nasce in Piemonte nel 1806.
La sua creazione si attribuisce ai pasticcieri torinesi che sostituirono con la più economica nocciola tonda gentile delle Langhe una parte dell'ormai costosissimo cacao: il blocco economico ordinato da Napoleone per i prodotti dell'industria britannica e delle sue colonie, che rimase in vigore fino al 1813, aveva reso difficile il reperimento del cacao.
Il chocolatier Michele Prochet, in società con Caffarel, perfezionò nel 1852 l'impasto tostando le nocciole e macinandole finemente. Secondo la leggenda, da un “colpo di cucchiaio” dato sapientemente a questo impasto soffice nasce il gianduiotto (o Giandujot) con la sua tipica forma, che verrà presentato come primo cioccolatino incartato in occasione del Carnevale del 1865, distribuito dalla maschera popolare di Torino, Gianduja (da cui il nome dell'impasto).
Oltre che per la preparazione dei gianduiotti, il gianduia si gusta anche in tavolette, in tazza, in crema spalmabile (la Nutella ne è una celebre variante), come ripieno di altre preparazioni dolciarie. Negli anni tutti i grandi cioccolatieri torinesi – De Coster, Domori, Venchi, Baratti & Milano, Caffarel, Gobino, Peyrano, Guido Castagna, G. Pfatisch, Streglio, Stratta – hanno dosato i semplici ingredienti in loro personalissime formule.


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Gianduiotto

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Il gianduiotto o giandujotto (in piemontese giandojòt, IPA [ʤandʊ'jɔt]) è un cioccolatino a forma di barca rovesciata composto con cioccolata denominata gianduia che si produce a Torino. Solitamente è avvolto in carta dorata o argentata.
Viene ottenuto impastando il cacao e lo zucchero con la famosa nocciola Tonda Gentile del Piemonte, rinomata per la sua qualità. È stato incluso tra i prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) piemontesi (cod.:292).

Storia
Il gianduiotto fu prodotto per la prima volta dalla nota società dolciaria torinese Caffarel nello stabilimento situato in Borgo San Donato e presentato al pubblico nel carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja, da cui prende il nome, che distribuiva per le strade della città la nuova bontà.
Le sue origini si riconducono a motivazioni storico-politiche ben precise: con il blocco napoleonico, le quantità di cacao che giungevano in Europa erano ridotte e con prezzi esorbitanti ma ormai la richiesta di cioccolato continuava ad aumentare. Michele Prochet decise allora di sostituire in parte il cacao con un prodotto molto presente nel territorio: la nocciola tonda gentile delle Langhe, una nocciola con gusto deciso e delicato. L'impasto è dunque composto da nocciole tostate e macinate (con la raffinatrice la nocciola diventa una crema perché contiene olio), cacao, burro di cacao e zucchero.

La produzione
Poiché l'alta quantità di nocciole nell'impasto non permetteva che il cioccolatino fosse prodotto in forme, per lungo tempo il gianduiotto veniva tagliato a mano. A Leinì, in provincia di Torino, ci sono ancora tre laboratori che producono gianduiotti tagliandoli e incartandoli a mano.
Oggi esistono due metodi contrapposti per la produzione del gianduiotto: l'estrusione ed il concaggio.
Il gianduiotto prodotto per estrusione è colato direttamente su piastre senza uso di stampi, con macchine progettate e realizzate ad hoc. Tale tecnica permette di produrre Gianduiotti dalla consistenza particolare: né troppo fluida né troppo solida.
Il gianduiotto stampato è molto più industriale, con una percentuale minore di cioccolato ed è, per necessità, più duro, dovendosi staccare dallo stampo.
Il gianduiotto fu il primo cioccolatino impacchettato singolarmente.

Produttori
La Caffarel depositò il marchio "Gianduia" e tuttora è l'unica azienda a poter stampare il volto della maschera sull'incarto Anche altre ditte di cioccolato producono gianduiotti, quali Pernigotti, Streglio, Peyrano, Ziccat, Feletti, Novi, Venchi, La Suissa, Borgodoro, e tutte le piccole cioccolaterie torinesi, come la Ballesio Cioccolato e la Chocoleini, che producono ancora i gianduiotti tagliati a mano.

Curiosità
  • Il gianduiotto più grande del mondo fu realizzato dalla Novi per essere esposto a Torino durante la manifestazione Eurochocolate del 2001: misurava 2 metri di altezza per 4 metri di lunghezza per 1 metro di larghezza con un peso di quaranta quintali, frutto di 150 ore di lavoro.

Abbinamenti consigliati
  • L'Alta Langa spumante rosato, ha un sentore che ricorda il lievito, la crosta di pane e la vaniglia, di sapore secco, sapido ben strutturato, perciò può esser servito come spumante da dessert a tavola, ben freddo, ad una temperatura di 9 °C. È necessario dire che i due prodotti, i Gianduiotti e lo spumante rosato dell'Alta Langa, si abbinano in un insieme di gusti raffinati e complementari.
  • Monferrato Chiaretto (o Ciaret): vino da dessert.
  • Barolo chinato.



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Graffe napoletane

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Le graffe napoletane sono ciambelle fritte ricoperte di zucchero con una base di farina e patate. Tipiche della cucina campana, vengono preparate nel periodo del carnevale anche se reperibili durante tutto l'anno.

Storia
L’arrivo di questi dolci in Campania si fa risalire al periodo della dominazione austriaca, in seguito al trattato di Utrecht, nel corso del XVIII secolo. Le graffe, infatti, sono una rielaborazione dei Krapfen austriaci, piccoli impasti fritti ripieni di confettura.

Etimologia
Da non confondere con il krapfen austro-tedesco, i due dolci hanno comunque una parentela etimologica. Secondo dizionari quali DELI e Gradit, il termine graffa (o grappa) deriva infatti dal longobardo krapfo (krappa in gotico) ovvero uncino. Termine che, precedentemente a un mutamento fonetico, in tedesco antico era utilizzato per indicare l'aspetto che la frittella di pasta dolce assumeva in origine.

Lievitazione
La lievitazione dell'impasto delle graffe napoletane è scomposta in quattro momenti diversi, di due ore circa ciascuno. Il rispetto di questi tempi è fondamentale per ottenere la consistenza soffice finale delle ciambelle.





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Grano cotto

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Il grano cotto (u grane cuutt in dialetto) è un dolce tipico della città di Foggia, e Canosa di Puglia che viene preparato mescolando assieme grano bollito, vin cotto, chicchi di melograno, noci, cannella. Alcune ricette prevedono anche l'aggiunta di cioccolato.
Il dolce è il simbolo culinario cittadino della Commemorazione dei defunti, tant'è che ve viene anche chiamato Grano dei morti.


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Come si fa la torta barozzi?

Per esercizio di stile specifico che non si può fare in casa la torta barozzi ma solo la torta tipo barozzi, in quanto si tratta di un marchio registrato e la ricetta "segreta" è custodita dalla Pasticceria Gollini di Vignola.

La vera torta barozzi si trova solo in pochissime pasticcerie/negozi di gastronomia e costa più o meno come il platino.
L'ho sentita in un paio di occasioni e posso dichiarare apertamente che alcune "copie" reggono il confronto tranquillamente (e non è necessario accendere un mutuo prima di mangiarle).

Tornando alla domanda, ci sono moltissime ricette su internet da cui si può attingere, francamente non mi sono mai cimentato.

Stiamo comunque parlando di un dolce a base di arachidi, mandorle, cioccolata fondente e caffè.
Il tutto ben amalgamato con uova, zucchero burro e grappa (ebbene si, la grappa si mette nei dolci).

La barozzi ha il peso specifico del piombo e una quantità di calorie tali da uccidere un ippopotamo però è buonissima.




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Grattachecca

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La grattachecca è un alimento rinfrescante tipico e molto comune della città di Roma.
È preparato con ghiaccio grattato a neve al quale vengono aggiunti uno o più sciroppi (amarena, tamarindo, menta, orzata, cocco, limone...) o succhi di frutta. Molti lo gradiscono durante le giornate estive e le calde serate romane.
Deriva il suo nome dal verbo grattare e da checca, termine con il quale un tempo si identificava il grosso blocco di ghiaccio utilizzato per refrigerare gli alimenti quando ancora non esistevano i frigoriferi.
A differenza della granita che viene prodotta con acqua mescolata a sciroppi o succhi e messa a congelare, la grattachecca è composta da ghiaccio grattato da un singolo blocco di grandi dimensioni, anche fino a un metro di lunghezza (si suole dire che più è lungo il blocco di ghiaccio più viene buona), con un apposito raschietto provvisto di una camera vuota posteriore che consente di accumulare il ghiaccio grattato così ottenuto. Il contenuto della camera è generalmente sufficiente per riempire un bicchiere e una volta riempito il bicchiere con il ghiaccio così ottenuto viene aggiunto succo di frutta o sciroppo.
Un tempo alimento molto comune nelle giornate estive in Roma, negli anni è stato sostituito da più semplici granite, realizzate con macchinari che prendono acqua mescolata a sciroppi e la congelano mescolando continuativamente e impedendo all'acqua di formare un blocco unico o da una versione moderna della grattachecca consistente in cubetti di ghiaccio tritati con un tritaghiaccio elettrico ai quali viene aggiunto poi succo di frutta o sciroppo. A Roma solo pochi chioschi oramai preparano la grattachecca con ghiaccio grattato da un singolo blocco e non con cubetti di ghiaccio tritati.
Resta d'uso comune su molte spiagge d'estate, dove è possibile acquistarla da venditori ambulanti muniti di carretto.
Quest'alimento un tempo era molto diffuso in tutta la penisola, il nome corretto in italiano è "ghiacciata", a volte è chiamato impropriamente granatina, a Napoli è chiamato con il nome di "'rattata", a Palermo come "grattatella" e a Bari come "grattamarianna", mentre in Calabria è presente la "scilupetta", molto simile, che però usa neve fresca e succo di fichi.




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Kiachln

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I Kiachln sono un dolce della tradizione culinaria trentina, poco diffuso nel resto dell'Italia, preparato e consumato generalmente in occasione del periodo natalizio.
I Kiachln sono una sorta di ciambelle fatte di pasta lievitata e fritta in olio bollente; (una variante presenta una forma di frittella tonda con una conca al centro da riempire con marmellata) Anche se gli ingredienti e la preparazione sono molto semplici, ci sono enormi differenze di gusto e qualità a seconda del cuoco. Di solito sono fatto solo in occasioni speciali, ma nel periodo di Natale sono sempre di stagione.

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Lacabòn

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Il lacabòn (o lecabòn) è un dolce artigianale tradizionale di Alessandria.
È fatto a forma di bastoncino impastando il miele insieme allo zucchero.
Si vende a Sant'Antonio (17 gennaio), e specialmente a Santa Lucia (13 dicembre) nell'omonima piazzetta.
Facendo un breve viaggio nella storia di questo dolce non si può non ricordare "il decano dei fabbricanti di lacabòn", Leonardo Fortino, scomparso nel 2004, che imparò l'arte dal nonno e dal padre, custode in casa del calderone in cui bollire l'impasto e del chiodo su cui tirarlo e stirarlo.

Riconoscimenti
Il lacabon (chiamato anche leccabon) ha ricevuto la Denominazione comunale d'origine dal comune di Alessandria.

Abbinamenti consigliati
  • L'Alta Langa spumante rosato
  • Monferrato Chiaretto (o Ciaret)
  • Vini da dessert.



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