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Csenta

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La csenta (termine originario dal piemontese che significa torta) è un tipico dolce della provincia di Vercelli, anche se la ricetta autentica per eccellenza appartiene alla tradizione del paese di Palazzolo Vercellese, che si trova a circa 24 km sud-ovest rispetto alla città di Vercelli.

Storia
Da quanto raccontano le fonti scritte ritrovate in Palazzolo durante il corso dei secoli, le origini della csenta si possono collocare già verso l'ultima parte del Medioevo, quando i forni presenti in paese erano riforniti delle materie prime necessarie alla creazione di questa torta tipica.

La ricetta originaria
La ricetta originaria di questo dolce, quella più antica, è legata ad ingredienti semplici e di facile acquisto, cosa molto scontata oggi per via dei moderni negozi e supermercati, ma altrettanto così per il passato. Fra le materie prime principali, per via dell'importanza del gusto finale, vi è lo strutto di maiale, il quale un tempo non si acquistava perché nelle proprie case ogni famiglia aveva a disposizione un maiale, da cui trarre carne e grasso. Oltre allo strutto, la ricetta da "manuale" per fare una torta di dimensioni normali prevede come base la pasta frolla unita ad aromi. Il tutto disposto in una teglia e messo a cuocere in forno. Attualmente, al posto dello strutto, per via della digeribilità, si utilizza il burro o la margarina.

La tradizione di Palazzolo Vercellese
Essendo un dolce tipico del paese di Palazzolo Vercellese, ogni anno, per tradizione all'ultima domenica di ottobre, si organizza la Festa di fine raccolto, per ringraziare Dio per il buon raccolto del riso ma anche per l'anno lavorativo concluso. Dopo una solenne processione per le vie del borgo, con la statua raffigurante la Madonna portata sulle spalle degli uomini, avviene L'incanto delle torte: ogni agricoltore devolve un'offerta in denaro alla parrocchia e in cambio riceve una tradizionale csenta.



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Cubeletto

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I cubeletti sono dei dolci di pastafrolla ripieni di confettura di frutta, in genere di mele cotogne. Hanno la forma di piccoli panieri, composti in speciali stampi. Specialità tradizionale di alcune cittadine liguri quali Cogoleto, Finalborgo, Finale Ligure e Rapallo che ne reclama una qualche paternità, coniando appositamente la denominazione “cubeletto di Rapallo” che dal 2012 ha ottenuto la denominazione comunale d'origine.

Storia
Il suo nome subisce variabili, a seconda dell'esatta collocazione geografica in cui ci si trova, viene chiamato cubeletto, cobeletto, gubeletto o gobeletto. Questi biscotti di pasta frolla riempiti di confettura, avevano un tempo una forma che ricordava dei panettoncini in miniatura, forma assai diversa da quella che si trova spesso in commercio attualmente: un disco concavo farcito e coperto da un cappello di frolla. La forma originale si ottiene da uno stampo in metallo a forma di tronco di cono rovesciato, completata da un piccolo cappello di pasta (da cui per assonanza il nome cubeletto), con bordo smerlato. La tradizione li vuole presenti sulla mensa per la festa di Sant'Agata, che ricorre il 5 febbraio.
Rapallo ne reclama la paternità, in quanto nello storico locale "Caffe Pasticceria Canepa1862" il cubeletto viene prodotto sin dal 1862.

Cubeletto di Rapallo
Il cubeletto di Rapallo si differenzia dagli altri per la sua forma particolare e ben definita nonché per l'uso della caratteristica confettura di mele cotogne.
Dal 2012 il “Cubeletto di Rapallo” ottiene la Denominazione Comunale d'Origine, o DE.CO.
Tale disciplinare nella dichiarazione definitiva degli ingredienti e della forma tradizionale.
Ingredienti:
  • Per l'impasto della frolla: farina di grano tenero - farina di farro (facoltativo, dose massima 30%) - burro italiano di panna fresca - uova fresche di categoria A - zucchero semolato - buccia grattugiata di limone in foglia - non trattato - sale fino marino.
  • Per il ripieno: confettura italiana di mele cotogne.
  • Forma a cono tronco di circonferenza esterna 6,5 cm, e interna 5,5 cm e altezza massima 2 cm.



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Cuneese al rum

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Il cuneese al rum è un tipo di cioccolatino formato da due cialde di meringa che racchiudono una crema pasticcera al cioccolato fondente e rum, il tutto rivestito da uno strato di cioccolato fondente, che si produce a Cuneo. Solitamente è avvolto in carta rossa con scritte dorate.

Storia
Il cuneese al rum venne inventato da Andrea Arione, primo proprietario dell'omonimo negozio-bar, il quale decise di proteggere la sua creazione registrandola con il Brevetto per Marchio d’Impresa. Oggi, tale cioccolatino viene imitato in tutta la provincia, ma la ricetta originale è custodita dai proprietari del negozio-bar Arione.
L'8 maggio 1954 Ernest Hemingway sostò a Cuneo circa un'ora per recarsi nel negozio-bar Arione per acquistare i Cuneesi al rum per la moglie in vacanza a Nizza.

Leggenda
All'inizio del XX secolo, Pietro Galletti voleva inventare un dolce di cioccolata al sapore di liquore. Dopo vari tentativi inventò un dolce alla crema pasticciera con rum e ricoperto di cioccolato. Una leggenda vuole che con la crema avanzata preparò altri dolci, ma la crema non sembrò finire mai, così Galletti realizzò delle meringhette al cioccolato cui, mediante un foro inserì la crema pasticcera aromatizzata al rum. Il mattino seguente notò che le meringhe si erano imbevute completamente del rum, così, deluso pensò di buttare via tutto. Tuttavia non si scoraggiò: ideò così la struttura del cuneese come lo conosciamo oggi, inventò un pasticcino racchiuso in una copertura di cioccolato. Dapprima fece fare una degustazione agli amici e con un passaparola andò agli amici degli amici. Così la fama del cioccolatino al rum arrivò anche nella vicina Cuneo. La città lo volle come proprio dolce, così il cioccolatino fu chiamato cuneese al rum.

Versioni
Nonostante il principale e storico cioccolatino sia il Cuneese al rum, è possibile trovarlo in diverse versioni, con e senza liquori. Esso è, infatti, disponibile anche ai gusti Grand Marnier, nocciola, crema di marroni, cremino.

Abbinamenti consigliati
Il Cuneese al rum si può abbinare con:
  • Alta Langa spumante rosato: ha un sentore che ricorda il lievito, la crosta di pane e la vaniglia, di sapore secco, sapido ben strutturato, perciò può esser servito come spumante da dolci e da dessert a tavola, fresco, ad una temperatura di 9-11 °C.
  • Monferrato Chiaretto (o Ciaret): vino da dessert.
  • Malvasia di Casorzo d'Asti: potrebbe essere bevuto a 12° C, in abbinamento con biscotti, dolci cremosi e gelati.
  • Malvasia di Castelnuovo Don Bosco.



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Cupeta

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La cupeta (dal termine arabo qubbayt, che significa conserva dolce) è un dolce simile al Mandorlato veneto, tipico di alcune zone della Calabria, della Campania, della Puglia e della Sicilia.

Preparazione
Si ricava da una miscela di ingredienti, quali sesamo, mandorle, miele e zucchero. Un prodotto analogo è la giuggiulena, la cui etimologia, sempre araba, riporta però in modo specifico al sesamo.
Il prodotto è individuato tra i Prodotti agroalimentari tradizionali calabresi e i Prodotti agroalimentari tradizionali Pugliesi.
In Campania la copeta viene prodotta nelle provincie di Avellino, Benevento e Salerno ed è un torrone bianco molto compatto insaporito con nocciole, mandorle e, molto spesso, pistacchi.

La storia
Alcuni siti, anche ministeriali, riferiscono che il termine derivi dal latino cupedia, ma trattasi di una incorretta etimologia creata da Matteo Camera nel 1838. I termini latini somiglianti (cuppedia e copadia) in realtà indicano rispettivamente le "ghiottonerie" in senso lato ed i pezzi di carne. Il dolce, così come noto oggidì, è di origine araba: il termine corrispondente qubbayt significa "conserva dolce" e viene registrato per la prima volta in un documento palermitano del 1287, in cui compare un cubaydario, ossia un produttore di cubaita, un dolce di mele, mandorle, ceci tostati e sesamo. Il termine viene poi ritrovato nella letteratura napoletana seicentesca: Giambattista Basile la nomina due volte, ne Lo cunto de li cunti overo lo trattamento de peccerille e ne Le cinco figlie, Giulio Cesare Cortese una volta nel Micco Passaro nnammorato, poema eroico.
La ricetta è tenuta gelosamente segreta dai "maestri copetai" e si tramanda da padre in figlio. La preparazione del dolce è laboriosa ma semplicissima dal punto di vista esecutivo.
Il dolce è tipicamente natalizio, in quanto la presenza del miele non consente il perfetto mantenimento del dolce durante il periodo estivo.
Fa anche parte dei tradizionali dolci durante il banchetto nuziale di Bona Sforza e Sigismondo I di Polonia.

Curiosità
Nel dialetto di Ascoli Satriano (FG) e di molti altri centri della Capitanata, la parola cupeta significa torrone, nel Salento invece può essere sinonimo di croccante.





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Cuzzupa

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La Cuzzùpa, o Sguta, o Angùta, o Vuta, o Pizzatola, o Cullùra, è un dolce tipico pasquale calabrese, viene chiamato con nomi diversi e forme anche in maniera diversa, con la caratteristica dell'uovo simbolo della Pasqua, prodotto su tutto il territorio della Calabria, simile anche ai Cuddhuraci, prodotto nella provincia di Reggio Calabria, nella parte meridionale della provincia di Catanzaro e nella provincia di Crotone.
Questo dolce pasquale è di origine orientale e simboleggia la fine del digiuno di quaresima: l'uovo è il simbolo della risurrezione di Gesù.

Preparazione
Può avere varie forme, a discrezione di chi la prepara; solitamente riguarda un tema pasquale: gallina, pesce, cuore o altro. Al centro della cuzzupa è posto un uovo sodo che la tradizione vuole porti fortuna.
La lievitazione deve avvenire in ambienti caldi e poco aerati per evitare che il processo si interrompa.
Si usa amalgamare l'impasto nei primi giorni della settimana Santa in modo tale da poter gustare il dolce per il venerdì Santo o per la domenica di Pasqua.
Normalmente gli si dà la forma di lettere dell'alfabeto, soprattutto le iniziali dei nomi dei bambini, di uccelli o di altri animali, Nel caso in cui in una famiglia ci sia una coppia di fidanzati, di solito la suocera, nei confronti del futuro genero usa fare una grande cuzzupa a forma di cuore, all'interno della quale vi incastona alcune uova. Una volta pronta la teglia, si inforna a 180° C per 20-25 minuti.
A fine cottura, alcuni usano cospargere la cuzzupa con l'annaspero, una cremina bianca fatta con zucchero, bianco d'uovo e succo di limone, che va sbattuta continuamente per non farla solidificare. L'operazione va effettuata subito dopo la cottura, altrimenti l'annaspero non si lega alla cuzzupa. Si possono aggiungere dei granelli di cioccolata colorata.

Ingredienti
Gli ingredienti sono: latte, farina, uova, olio o strutto, lievito, zucchero.

Altri nomi
  • Sguta nella Locride;
  • Cozzupa a Cirò Marina (KR).
  • Cuzzupa a Squillace, Lamezia Terme e Soverato (CZ); Crotone
  • Pizzatola a Belvedere Marittimo (CS)
  • Vuta a Delianuova (RC)






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Ferratella

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Il termine ferratella si riferisce a dolci tipici dell'Abruzzo, del Molise e di quella parte del Lazio abruzzese fino al 1927.

Abruzzo
La ferratella (o pizzella o cancellata o neola o nevola o nivola) è un dolce tipico abruzzese creato con pasta da biscotto cotto tramite una doppia piastra arroventata sul fuoco, che stringendo la pasta sopra e sotto, dà al dolce la forma caratteristica di cialda percorsa da nervature. Tra le varie varianti di disegno, la trama a rombi, o cancello, dà origine al nome ferratelle. Preferibilmente di forma rettangolare, ma alla festa di San Valentino vengono preparate anche a forma di cuore. In alcune province abruzzesi viene chiamato anche nuvola o neola (Teramo) o nevola o nivola.
In alcuni casi questo dolce viene arrotolato come un cannolo con ripieno di marmellata, tradizionalmente d'uva, ma anche con crema pasticcera o cioccolata. La variante con due cialde sovrapposte farcite prende il nome di coperchiola, dalla copertura della prima cialda con la seconda, il coperchio. Viene preparato perlopiù in inverno, a Pasqua e in occasione delle feste patronali, rivestendo un ruolo centrale nei palmentieri, particolare dono preparato in onore del santo patrono.
La piastra usata per cuocere questo dolce, detto "lu ferre" o "jo fèrro", veniva spesso portato in dote dalla donna, e pertanto, nella parte centrale, recava talvolta incise le iniziali della futura sposa.

Molise
In Molise le ferratelle sono chiamate anche "cancelle". Sono fatte risalire a un dolce degli antichi Romani detto Crustulum. Anch'esse, come le ferratelle abruzzesi, sono prodotte mediante uno stampo di acciaio o ghisa che imprime la propria forma ai dolci, spesso con scanalature incrociate che ricordano certi cancelli, da cui il nome. Fino agli anni sessanta erano servite ai matrimoni.

Lazio
Con lo stesso nome si indica anche un Prodotto agroalimentare tradizionale laziale: testimonianze orali raccontano che da oltre cinquant'anni è prodotto tale dolce nei paesi dell'ex Circondario di Cittaducale (fino al 1927 territorio abruzzese), che attualmente risulta a rischio di estinzione.



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Finocchini

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I finocchini sono un tipo di biscotto riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Vengono prodotti in Piemonte ed in particolare a Refrancore, nel Monferrato.

Descrizione
Si tratta di un biscotto che per la sua forma ricorda la fetta biscottata. Si presenta rettangolare con una lunghezza di circa 10 cm e una colorazione dorata. Il tipo di cottura e gli ingredienti utilizzati lo rendono di facile digeribilità.

Il nome
Il nome dei biscotti deriva dai semi di finocchio che vengono aggiunti all'impasto. Sono anche noti localmente come fenoglietti o maggiorini.

Cenni storici
I finocchini sono un biscotto che in origine veniva prodotto solo a Refrancore (AT). Pare che siano nati quando un pasticcere del paese per errore aggiunse anice all'impasto che stava preparando per la produzione di biscotti all’uovo cotti e tostati. Il risultato della cottura fu però apprezzato dagli abitanti del paese, e la produzione dei finocchini quindi continuò nel tempo fino a diventare delle specialità gastronomiche della zona.
Oltre che a Refrancore i finocchini vengono oggi prodotti in altre zone del Piemonte e, in particolare, nel Torinese e nell'Astigiano.

Preparazione
La base della preparazione è un impasto di uova intere, farina e zucchero al quale vengono aggiunti miele, semi di finocchio e poche gocce di essenza di anice. Il tutto viene cotto al forno in uno strato alto una decina di cm. Dopo una prima cottura di circa mezz'ora l'impasto viene tolto dal forno e tagliato verticalmente in piccoli rettangoli, i quali vengono nuovamente passati in forno per farli tostare.






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Qual è la differenza tra budino e mousse?

 



1) La consistenza

La mousse è una crema o spuma che si ottiene da una base composta di albumi montati a neve, panna montata e tuorli montati con lo zucchero a velo; durante questo procedimento la crema incorporerà l’aria che darà la caratteristica consistenza schiumosa alla mousse.

Anche il budino ha una consistenza morbida ma ha come ingredienti di base uova, latte, zucchero e un addensante che darà l’aspetto compatto al dolce. L’addensante potrà essere la farina bianca, il semolino, la fecola di patate, il riso o una gelatina animale tipo la colla di pesce.


2) cottura

La mousse non prevede cottura nel forno e finirà la sua preparazione direttamente nel frigorifero mentre il budino è sempre cotto nel forno o a bagnomaria e, una volta freddo, si metterà a riposare in frigorifero.


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