La pasticceria è una parte
dell'arte culinaria, dedicata esclusivamente alla preparazione di
alimenti dolci quali paste farcite, pasticcini, torte, biscotti,
praline, cioccolatini, canditi e simili. La pasticceria è un'arte
che appartiene specificamente alla tradizione culinaria europea e
alle tradizioni che da essa si sono generate, come quella
statunitense o creola.
Miele o zucchero? La
nascita del concetto di portata dolce
Questa arte ha visto una notevole
espansione negli ultimi quattro secoli e in concomitanza con una
maggiore reperibilità di alcuni ingredienti sul mercato, primo fra
tutti lo zucchero. L'elemento dolce, infatti, rimase per secoli
derivato dalla frutta, dal mosto e soprattutto dal miele, che veniva
aggiunto come ingrediente di complemento a molti altri. Il miele
viene affiancato intorno all'anno 900 d.C. dallo zucchero di canna,
importato come spezia dai territori arabi. Solo a partire dal 1500 lo
zucchero viene importato dalle Americhe divenendo un ingrediente più
comune. Lo zucchero di barbabietola renderà l'Europa autonoma nella
preparazione di dolci rispetto alle importazioni. Questo taglierà
nettamente i costi e darà un impulso considerevole alla produzione
dolciaria, che conobbe una vera e propria esplosione definendo la
propria autonomia rispetto alla gastronomia globalmente intesa.
Cenni storici: il
problema delle fonti
Trattare l'argomento cucina (e con esso
la pasticceria) da un punto di vista storico presenta notevoli
problemi determinati dalle fonti. Gli scritti che riguardano la
cucina sono pochi e l'argomento fu considerato minore nelle epoche
passate. Con l'avvento del Cristianesimo, inoltre, sulla buona tavola
gravò la disapprovazione del peccato di gola e questo contribuì a
limitare la produzione di testi in merito, spesso visti come l'oziosa
perdita di tempo di ghiottoni sfaccendati. In particolare troviamo un
vuoto dalla caduta di Roma sino all'anno 1000 e le poche indicazioni
reperite trattano soprattutto dell'aspetto morale del cibo (digiuni e
astensioni nei giorni di magro) o dell'aspetto dietistico: quali
ingredienti assumere o meno per restare in salute e curarsi. Ricette,
tuttavia, non sono riportate o ci sono pervenute. Solo attorno all'XI
secolo, nei monasteri, si inizia a stilare ricettari veri e propri,
il primo dei quali ci risulta essere quello della badessa Ildegarda
di Bingen, figura di spicco dell'epoca e molto famosa per la sua
cultura, la sua morale e i suoi manuali di medicina.
Ricostruire ricette tanto antiche nel
dettaglio è, tuttavia, oggettivamente molto complesso sia per la
mancanza di uniformità di termini e soprattutto per quella di unità
di misura: zone diverse parlavano lingue diverse e misuravano in modi
del tutto differenti, che talvolta convivevano persino nel medesimo
territorio. Oltre a queste poche fonti sono giunti a noi rari testi
nei quali la cucina fosse analizzata come strumento di salute e di
cura, piuttosto che di piacere. Queste opere, di medici europei o
arabi e talvolta di monaci contribuiscono a darci uno spaccato della
dietistica nei secoli.
L'argomento comincia a venire trattato
con una certa cura e metodo solo a partire dal 1200 e conoscerà un
interesse particolare dal 1400-1500. Tuttavia si deve tenere presente
che l'analfabetismo era la norma per la maggior parte della
popolazione e persino tra i professionisti di alto livello cui molti
cuochi e pasticceri appartenevano. Questo aspetto sarà destinato a
perdurare anche in epoche più recenti, limitando ulteriormente i
testi che trattano di cucina e pasticceria. In tal senso i testi in
nostro possesso furono scritti da persone colte e benestanti quando
non decisamente ricche, pertanto trattano in larga parte di cucina
per ricchi. La tradizione culinaria delle popolazioni è
sopravvissuta solo in via empirica passando, diciamo così, da cuoco
o cuoca al suo successore.
Va, inoltre, ricordato che le cene e i
banchetti solenni erano occasioni mondane, in cui andava ostentata la
ricchezza e la potenza del signore: le portate erano nell'ordine
delle decine e, poiché molte non venivano quasi toccate, la festa si
allargava anche alla servitù che dimorava presso il Signore e che
mangiava ciò che era avanzato. Per contro il cibo quotidiano era
sobrio e molto moderato; scendendo di classe sociale dal sobrio
passava rapidamente al misero. Da tutto questo consegue che i dolci
erano effettivamente una portata di lusso, quasi sconosciuta tra la
gente comune, se non nelle forme più rustiche. Oggi sono in corso
diversi studi filologici sulla cucina delle diverse zone europee che
cercano di rintracciare l'origine e sviluppo di alcune preparazioni,
perché facenti parte della cultura, dello sviluppo e della storia
delle popolazioni.
In epoca Greca e Latina
È improbabile che si possa parlare di
dolci nel senso moderno del termine, e questo perché i dolcificanti
come lo zucchero non avevano ancora fatto la loro comparsa. Tuttavia,
venivano utilizzati in sua vece prodotti naturali come il miele e la
frutta. Nelle epoche antiche le pietanze contenevano spesso una nota
dolce, mischiata ad arte con il salato, l'affumicato e l'agro. In tal
senso frutti molto comuni, come i fichi e le pere, venivano cotti,
fermentati o ridotti in salsa per condire pietanze molto spesso in
abbinamento con uova, formaggi, carne arrosto e persino pesce. Un
tocco sontuoso veniva fornito dall'aggiunta di spezie come il pepe, i
ceci, le ghiande e i comuni frutti di bosco.
Tuttavia possiamo rintracciare
preparazioni più vicine al nostro gusto attuale. Cicerone cita, a
proposito della Sicilia, di avervi mangiato un Tubus farinarius,
dulcissimo, edulio ex lacte factus, e cioè un rotolo di pastella di
farina, molto dolce, preparato con latte buono da mangiare,
descrizione che fa pensare al diretto antenato del cannolo siciliano.
Lucullo presenta una ricetta di ova
sfongia ex lacte, un'omelette aromatizzata di pepe e spalmata di
miele, non diversa dalle omelette dolci al miele, marmellata o panna
del nord Europa, in uso tutt'oggi.
Tra la gente comune erano reperibili
focacce con i fichi e obleidos, cialde simili ai nostri biscotti
cotte al momento, frequentemente spalmate di miele. Inoltre si
mangiavano quotidianamente i semi dolci come corniole, nocciole,
noci, datteri; i semi venivano spesso canditi con miele caramellato
in modo non diverso da quanto oggi si fa con lo zucchero per
preparare il croccante.
La frutta (uva, prugne, bacche, mele,
pere, melegrane) veniva cotta e usata come salsa, come è ancora in
uso nei paesi anglosassoni per accompagnare la carne, o spalmata
sulle focacce di farina, come oggi spalmiamo la marmellata.
I dolcetti casalinghi più frequenti
sembrano essere stati i datteri ripieni di noci o mandorle, che
tutt'oggi si regalano nel sud Italia e nel bacino del mediterraneo
specie in occasione del Natale. Questi venivano rifiniti da una
caramellatura di miele cotto. Altre ricette riportano preparati
inequivocabilmente vicini alla crema pasticciera e a flan o budini,
dove si mischiavano uova, latte, miele, noci e spezie, prima fra
tutte il pepe. Il composto, talvolta con aggiunta di farina, veniva
poi cotto sino a addensarsi.
Il dolce, inoltre compariva
frequentemente nelle bevande. Una delle più comuni, infatti, era
l'idromele. Composto da acqua e miele e variamente fermentato rimase
in uso per secoli, tanto da essere bevuto ancora oggi in alcune zone.
Presso Etruschi e Germani era in uso il vino di frutta. Ottenuto da
una leggera fermentazione di frutti vari (bacche, pere, mele) fu, di
fatto, il diretto antenato del sidro dolce, tutt'oggi comunemente
prodotto e bevuto in paesi quali Germania, Francia, Belgio, Paesi
Bassi, Inghilterra che lo esportano in molti paesi.
Il gelato: un dolce
antichissimo
Un discorso a parte merita, invece, una
preparazione che si ritiene usualmente recente ed è invece molto
antica: il sorbetto, da cui deriverà il gelato odierno. L'uso di
mescolare neve fresca o ghiaccio tritato e frutta o latte è noto da
secoli, persino a popolazioni che non sempre avevano facilità a
reperire le materie prime. L'Antico Testamento riporta che Isacco
dicesse ad Abramo di ristorarsi dal sole violento mangiando un misto
di latte di capra e neve.
Numerose testimonianze riportano come
fosse diffuso nei banchetti di Cina, India e Giappone.
Diffuso massicciamente in Asia Minore,
si ritrova in antichi documenti che riportano come lo stesso
Alessandro Magno ne fosse molto goloso. In Egitto e Palestina era in
uso sia tra i nobili, che servivano coppe di neve o ghiaccio tritato
e succhi di frutta. In Palestina, tuttavia, veniva offerto in
versione più rustica anche ai braccianti che lavoravano nei campi.
Di lì giunse in Grecia e in Italia, dove divenne un piatto
fondamentale dei banchetti romani, e del quotidiano della gente
comune: veniva infatti venduto in bancarelle per le strade grazie
alle nevi che si ricavavano dall'Etna e dal Terminillo.
Non sappiamo con certezza se davvero
questo dolce sia, come sembra, scomparso durante i secoli delle
invasioni, per la già citata mancanza di fonti. Sappiamo però con
certezza che rimase in uso nei territori arabi, dove si cominciò a
gelare non più solo acqua (per poi aggiungervi frutta in pezzi), ma
direttamente frutta in purea o in succhi.
È altamente probabile che il sorbetto
sia ritornato in Italia grazie ai contatti commerciali con quei
paesi. Infatti il termine sorbetto deriva dal turco şerbat, a sua
volta derivato dall'arabo. Alcuni studiosi ne indicano il significato
in dolce neve, altri lo fanno derivare dal verbo sorbire.
Può destare curiosità il fatto che
popoli tanto antichi potessero ovviare alla deperibilità di
ingredienti come la neve fresca o il ghiaccio. Diversi documenti,
tuttavia, riportano le tecniche utilizzate per l'approvvigionamento.
La neve veniva raccolta nei mesi invernali e conservata, anche molto
a lungo, in sotterranei, ben avvolta nella paglia. In mancanza di
neve si provvedeva a tritare finissimamente acqua che si fosse fatta
ghiacciare in sotterranei profondi o si usava vapore acqueo
condensato in luoghi gelidi, che erano comunque già in uso per la
conservazione dei cibi.
Nei secoli XI-XIII
Dalle fonti in nostro possesso si
delinea, a partire da questo periodo, un'abitudine che resterà
invariata per diversi secoli: i banchetti, tutti di numerose portate,
iniziavano con pietanze e bevande dolci, e proseguivano con il
salato, al contrario di ciò che accade oggi. Si riteneva infatti che
il dolce allargasse lo stomaco e l'animo dei commensali, ben
disponendoli verso gli altri presenti e verso le altre portate. Tra
il 1000 e il 1200 i piatti dolci sembrano essere stati pochissimi e
estremamente rustici.
Nelle zone del nord Italia, della
Francia e in parte dell'Inghilterra, ad esempio, si aprivano
banchetti con Ippocrasso, vino dolce speziato accompagnato da
frittelle di castagne e nespole cotte sotto le braci. I cibi,
inoltre, assumevano una valenza simbolica religiosa e mitologica. Il
pane e il vino, in particolare, commemoravano la passione di Cristo,
ma la simbologia si estendeva anche alla frutta, che veniva cotta
sotto le braci per ricordare la rinascita del sole dopo il lungo buio
dell'inverno. Rimangono in certa misura ricette di derivazione
romana, quali budini e creme, cialde accompagnate da frutta o miele,
sformati di farina di castagna in tutto simili al nostro
castagnaccio.
Il pane, a differenza che in epoca
romana, era un alimento diffusissimo e con infinite varianti anche
dolci. Veniva ingentilito con spezie, aromi vari, uva, miele, noci
dolci. È l'epoca del Panpepato, del Buccellato, del Pandiramerino,
preparazioni aromatiche, decisamente non soffici, destinate a durare
a lungo e a poter venire trasportate o inviate senza problemi come
regalo a nobili e potenti. Con una certa frequenza si trovano,
inoltre, riferimenti a frutta come le pere, cotte in infusioni di
rose e vino dolce. Frittelle, ravioli, cialde morbide o croccanti e
crispelle fritte si riporta siano state guscio di frutta, formaggi
freschi e miele, accompagnate da spezie nei giorni di festa e sulle
mense dei ricchi. In particolare le frittelle si ritiene siano di
derivazione araba: diversi documenti riportano come fossero in uso
presso i crociati di Gerusalemme e come questi le resero comuni e
famose, specie in Inghilterra, al loro ritorno in patria.
Si noti che, in questo periodo, il
concetto di dolce soffice (come il Pan di Spagna), sembra essere
stato del tutto assente. Compare soltanto in riferimento ai pani
dolci: è probabilmente di quest'epoca l'antenato del famoso
Panettone. Il gelato vede in questo periodo una rinascita in grande
stile, grazie ai traffici commerciali con i paesi arabi. Il dolce,
che loro addizionavano di spezie e di zucchero di canna, risalì
l'Italia a partire dalla Sicilia. Questa era ricca di frutta, specie
di agrumi, e il connubio delle due cose ebbe una enorme fortuna,
diffondendosi in breve nelle corti. I crociati, all'incirca nello
stesso periodo, portarono analoghe ricette scoperte a Gerusalemme nei
paesi del nord Europa, primi fra tutti la Normandia e le contee
inglesi. Marco Polo porterà a Venezia una variante nella
preparazione per cui la refrigerazione veniva controllata mescolando
acqua e salnitro, secondo l'uso orientale.
Nei secoli XIII-XIV
Il Basso Medioevo rappresenta un passo
fondamentale verso il concetto di pasticceria nel senso oggi comune,
grazie ai fiorenti traffici che portavano alcuni ingredienti
fondamentali alle corti dei nobili. Tra questi zucchero di canna,
cannella, zenzero, riso, sesamo, noce moscata, chiodo di garofano.
In particolare il periodo che va dal
1300 al 1400 vede nascere le basi dell'arte culinaria che,
evolvendosi, giungerà sino a noi. In questo periodo vengono scritti
diversi ricettari che, sebbene non esaurienti e lacunosi su molti
punti, evidenziano che mangiare cominciava a diventare un'arte
codificata in tutta Europa e non un semplice "mettersi a
tavola". Viene recuperata l'attenzione alla dietetica
recuperando la teoria degli umori di Galeno, riportata in Europa
dagli Arabi, attenzione che garantì una buona diffusione alle varie
opere culinarie giunte sino a noi.
Il primo ricettario dell'epoca sembra
essere stato il Libro della Cocina, di un anonimo fiorentino, che
riporta una sessantina di ricette di uso comune, da cui si nota
ancora una notevole commistione di dolce con salato. Le ricette
dell'epoca cominciano ad essere per noi più decifrabili, grazie
all'evoluzione della lingua volgare che accenna i caratteri che la
porteranno a diventare lingua nazionale. I dolci assumono tipologie e
caratteristiche che manterranno per i secoli a venire e che verranno
non più sostituite, quanto integrate dalle novità che andranno via
via a formarsi grazie anche all'apporto di nuovi ingredienti.
Una suddivisione semplificata ci porta
a delineare alcune famiglie principali:
Dolci fritti come frittelle, crispelle,
ravioli dolci ripieni di spezie, noci o mandorle, miele, frutta
secca. Da essi derivano le attuali frittelle, i krapfen, i bignè e
le bugie o chiacchiere di carnevale, i doughnuts americani, gli
struffoli napoletani e altri simili.
Biscotti e cialde come le gauffres,
francesi e belghe, i pancakes americani, le crepes francesi, i
pfannkuchen tedeschi, canestrelli italiani, le Offelle
Pandolci lievitati di frutta o spezie,
conosciuto dalla cucina austriaca e tedesca, in Italia come il
panpepato, il buccellato, il pandiramerino. Da essi derivano dolci
come il panettone, il pandolce genovese.
Dolci non lievitati a base di frutta
secca. Molti dolci sono in uso ancora oggi e hanno mantenuto quasi
invariati gli antichi nomi: lo Zelten sudtirolese, la stiaccia briaca
elbana, la Rocciata di Assisi.
Dolci di frutta oleaginosa. Spesso
legati con miele, caramellato o meno, comprendono tutti i dolcetti di
mandorle, antenati degli attuali amaretti, i croccanti di semi dolci,
come il Nucato di noci, il torrone (di origine araba), la pignoccata
umbra, il panforte di Siena ed il Früchtebrot dal Tirolo.
Canditi. Diffusissimi e preparati con
frutta di ogni genere: datteri, pesche, agrumi (particolarmente
apprezzati), meloni, fichi, mandorle, da cui derivano i nostri
canditi nuziali.
Sciroppi, vini aromatizzati e liquori.
È una famiglia molto diffusa e variegata, allora più di oggi.
Comprende preparazioni come il Sidro, il Rosolio, distillati di
frutta varia, vini speziati come l'Ippocrasso, o l'Alchermes, liquori
di bacche come il Biancospino o il Ginepro.
Dolci al cucchiaio, alcuni già diffusi
in epoca romana: creme, budini, flan, polente dolci, sformati di
farine varie, come il castagnaccio.
Crostate, più diffuse nel salato, che
man mano vedranno moltiplicarsi le versioni dolci. Diffuse all'epoca
con ripieni di formaggio fresco e miele, talvolta addizionati di
spezie e canditi. Da esse derivano dolci come la cassata siciliana e
tutta la famiglia del Käsekuchen (torta di "topfen o quark"
(formaggio fresco)).
Si noti che non si presentano ancora
preparazioni deperibili e molto raramente soffici: i dolci restano
beni di lusso fatti per durare e venire trasportati senza problemi
dalle carovane o inviati come doni tra i potenti. Gli unici dolci
soffici sono, come nei secoli precedenti, i pani lievitati.
Nel Rinascimento e
l'umanesimo: 1400-1500
Successivo al Libro della Cocina è il
De Arte Coquinaria di un tale Mastro Martino, che testimonia il
passaggio della gastronomia dell'alto Medioevo a quella
Rinascimentale. Si ritiene che Martino si sia formato a Napoli, ma
abbia operato a Roma presso diversi nobili. Qui il libro avrebbe
visto la luce attorno al 1465. Martino fu citato da numerosi
intellettuali e il suo ricettario ebbe immensa fortuna: l'autore era,
cosa rara, un cuoco raffinato ed istruito. Il libro, scritto in
lingua volgare, è diviso in capitoli e tra essi si comincia a
delineare una maggior identità delle pietanze dolci rispetto a
quelle salate.
Tra le ricette troviamo numerosi
dolcetti fritti: il famoso krapfen, le frittelle dolci, simili ai
moderni doughnuts americani, i bignè di carnevale fritti in uso in
Italia e Francia, le Offelle de lo Palio, ravioli dolci ripieni di
noci, nocciole e mandorle tritate legate con miele e spezie, che si
friggevano in abbondante grasso. Fiori, frutta, spezie e bacche,
infine, erano ingrediente privilegiato per numerosi sciroppi, come
quello di biancospino o per liquori variamente fermentati, come il
Rosolio.
L'arte di candire
Un posto di rilievo occupano i canditi.
La pasticceria, in questo periodo, veniva spesso chiamata confetteria
dall'azione di conficere, candire di zucchero fiori, frutti, semi o
frutta passa. I canditi di fiori rimasero in largo uso fino a tutto
l'Ottocento. Quelli di frutta, come meloni, agrumi, albicocche,
pesche, sono in uso ancora oggi nelle zone del Mar Mediterraneo.
Trovano un posto fondamentale in dolci come la cassata alla
siciliana, il panforte di Siena o il panettone. I canditi di semi
quali noci e mandorle erano diffusissimi in dolci come e il nucato,
croccante di noci.
Queste preparazioni hanno sfidato i
secoli e sono diffusissime ancora oggi nelle forme più varie:
confetti di mandorle, croccante di noci, nocciole, sesamo, torroni e
praline. In particolare la mandorla occupa un posto di assoluto
rilievo nella pasticceria medioevale con il marzapane, che veniva
preparato in dolcetti di varie fogge quali bocconotti, morselletti,
calicioni. La pasta di mandorla veniva modellata in forme varie, come
oggi è ancora usanza nel periodo pasquale dove si modella
l'agnellino. Tuttavia nei secoli passati le forme potevano essere
monumentali e rappresentare persino edifici, come il castello del
signore che ospitava il banchetto. Le mandorle entrano in
numerosissime paste, talvolta giunte sino a noi. Tra queste i
mostaccioli, ovali o a forma di dito con miele e mandorle.
Ai pinoli veniva riservato un ruolo
importante in dolci come la pignoccata o pinoccata che si può
gustare tuttora in Umbria. La frutta secca, inoltre, entrava in molte
ricette di crostate dolci, come la Rocciata di Assisi, dolce a
ciambella formato da un guscio di pasta ripieno di uvetta, uva,
canditi e spezie varie. Una curiosità: il termine Rocciata non
indica la consistenza, ma la forma roccia, cioè tonda, secondo il
dialetto locale.
La rivoluzione dalle
Americhe: cacao, caffè, zucchero, vaniglia
A partire dalla metà del Cinquecento
inizia quella che si configurerà come una rivoluzione del gusto.
Paesi come la Spagna, la Francia, l'Inghilterra iniziano
l'esplorazione e lo sfruttamento di territori noti inizialmente come
Indie, che solo dopo qualche anno si compresero essere, invece, le
Americhe.
Di qui gli Europei portano molti
ingredienti del tutto nuovi, tra cui il cacao destinato a trovare un
posto di assoluto rilievo nella pasticceria moderna.
Il Gelato diviene più facile da fare
con la scoperta che miscelando ghiaccio e sale o ghiaccio sale e
ammoniaca o ghiaccio e salnitro si potevano ottenere temperature sino
a -25 °C.
Questo permette di usare per la
preparazione alimenti come uova crude, panna o mascarpone, che senza
un'adeguata conservazione nel freddo avrebbero sviluppato batteri
letali come la salmonella o il botulino.
Grazie a questa scoperta il gelato si
modifica, diventando molto simile a quello attuale. Passa infatti da
neve o ghiaccio addizionato di ingredienti dolci a diversi
ingredienti dolci in forma liquida che vengono congelati per contatto
del contenitore con ghiaccio. Gelando vengono girati
continuativamente per incamerare aria e divenire soffici, esattamente
come avviene oggi.
Questa epoca, ricchissima di scambi
commerciali e diplomatici, vede inoltre la nascita di una
preparazione nuova, destinata ad avere immensa fortuna: la Pâte
Génoise. Con essa si diffonde il dolce soffice, che vedrà un
connubio molto fortunato con ingredienti come il gelato, le creme, il
cacao, le vaniglia. I dolci che derivano da questo incontro vengono
spesso sviluppate in forme elaborate o addirittura monumentali nei
banchetti di gala, ma sono, sostanzialmente, in tutto simili a quelle
attuali.