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Cosa mangiavano greci e romani in epoca romana?



I romani consumavano tre pasti durante il giorno, a cui partecipavano anche le donne.

La mattina tra le otto e le nove, i romani facevano colazione, quindi, a metà giornata tra le undici e le mezzogiorno, mangiavano il prandium (seconda colazione, cena) e infine il pasto più importante era la cena, tra la terza e la quarta ora.

I primi due pasti erano leggeri e veloci. A quel tempo venivano mangiati pane, frutta, verdura, formaggio e resti della cena precedente.

Spesso questi pasti venivano consumati in piedi. Il più importante pasto della giornata, la cena (cena) veniva consumato prima nel nell'atrio delle famiglie, dove si tenevano le feste, poi ci spostammo stanza speciale chiamata cenacolo, che nel tempo è diventato il triclinium, quando i romani e gli italici delle classi sociali superiori adottarono l'abitudine di mangiare il proprio pasto sdraiata sui divani (klinai) dei Greci.

Da allora, mangiare in piedi è diventato un simbolo di semplicità. Nel mezzo del triclinum c'era un tavolo quadrato o rotondo (mensa), attorno al quale c'erano i divani, su cui giacevano gli invitati, appoggiati sul lato sinistro in modo da avere la mano destra libera e poter così mangiare.

Il tavolo era in marmo o avorio. Nel I secolo a.C. appare una tovaglia (mantele). Sul tavolo c'erano piatti, vino e salumi.

I piatti liquidi venivano consumati con un cucchiaio (cocleare), mentre altri cibi venivano consumati con la mano.

Le stoviglie, a seconda della situazione, erano fatte di argilla o bronzo per i più poveri, mentre erano in argento con decorazioni per i patrizi.

Esistevano due tipi di stoviglie: patina (piatti e castinus) o profondi. I bicchieri da vino, ovvero pocula, erano fatti di cristallo o oro, decorati con pietre preziose.

Il vino era bevuto diluito con acqua.


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Qual è la differenza tra marmellata e confettura?



In Italia non si differenziano molto, se non sulle confezioni, per un fatto di legge.

In inghilterra, invece, si usa il termine jam, per indicare tutte le confetture di frutta; invece, il termine marmelade, si usa esclusivamente per tutte le marmellate di agrumi: limoni, arance amare, pompelmi, mandarini e chi più ne ha, più ne metta. Poi ci sono anche varianti come lemon curd, che è però una crema al limone, composta da marmellata di limone, tuorli, zuccheri e scorze di agrumi. C’è la jelly, che è la gelatina; e per ultima, c'è la fruit preserve, che è sempre marmellata/confettura, però lasciata con i pezzettoni.






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Marmellata di castagne



La marmellata di castagne (o confettura di marroni, o marronata, o marronita) è una crema dolce spalmabile ottenuta da una lunga lavorazione delle castagne.
Spesso è aromatizzata alla vaniglia e può anche contenere alcune tracce di liquore.
È in genere conosciuta anche come crema di marroni, nome però che secondo alcuni indicherebbe piuttosto la crema ottenuta da una lavorazione di pezzettoni di marron glacé.

Riconoscimenti

La marmellata di castagne è stata registrata come prodotto agroalimentare tradizionale dal Lazio. Le Marche hanno invece registrato la composta di castagne.


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In che anno è nato il Pandoro?

 


Il pandoro insieme al panettone è uno dei dolci natalizi più tipici in Italia.

Le origini della ricetta sono da ricercare ai tempi dell'antica Roma e se ne fa menzione in uno scritto minore che risale al primo secolo d.C., ai tempi di Plinio il Vecchio, che cita un cuoco di nome Vergilius Stephanus Senex che preparò un "panis" con fiori di farina, burro e olio.

La nascita della ricetta moderna, almeno come la intendiamo oggi, risale all'Ottocento, come evoluzione del nadalin, un dolce tipico della cucina veronese.

Il 14 ottobre 1894 Domenico Melegatti, depositò all'ufficio brevetti la ricetta di un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte.


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Marron glacé

Marrons glacés


I marron glacé sono una particolare lavorazione pasticcera della castagna (in particolare della varietà denominata marrone) sciroppata e poi coperta da una glassa di zucchero. La realizzazione dura più giorni durante i quali il frutto viene immerso in sciroppi di concentrazione crescente, La lavorazione è complicata dal rischio di rompere il dolce durante i vari passaggi.


Storia



Marrons glacés



Le origini del marron glacé sono a tutt'oggi poco chiare: secondo alcuni la nascita del marron glacé avviene intorno al Cinquecento (grazie ad una maggiore disponibilità dello zucchero) nel Cuneese, dove si raccoglievano (e si raccolgono tuttora, per essere esportati in tutt'Europa) grandi quantità di castagne. Sembra, secondo questa tesi, che i marron glacé furono inventati da un cuoco di corte del Duca di Savoia Carlo Emanuele I (1562-1630). La ricetta compare nel trattato Confetturiere Piemontese, stampato a Torino nel 1790.
La seconda teoria afferma che il marron glacé potrebbe aver avuto origine, sempre nel XVI sec., a Lione.


Preparazione

La preparazione del marron glacé dura svariati giorni. I frutti, già selezionati in base al diametro, vengono inizialmente immersi in acqua per nove giorni (novena) al fine di completare la maturazione e di facilitare la successiva pelatura. Questa avviene praticando una piccola incisione sulla buccia e sottoponendo il frutto a un getto di vapore.
Il marrone viene quindi cotto in acqua, e l'acqua di cottura (insieme a saccarosio e vaniglia) farà da base per la successiva canditura con sciroppo di zucchero scaldato progressivamente fino a raggiungere i 70 °C. Affinché il risultato acquisti una morbidezza adeguata, la canditura deve durare una settimana circa. Quando il marrone è candito (ovvero saturo di zucchero), esso viene posto a scolare per almeno 24 ore su griglie.
La fase finale, la glassatura, prevede di stendere la glassa (preparata con zucchero a velo e acqua e lasciata riposare per 24 ore) sul marrone candito, e di trasferire il dolce in forno per breve tempo al fine di far cristallizzare la glassa e darle il tipico aspetto traslucido.




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Basìn de Sundri

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I basìn de Sundri nascono in Valtellina nel '800 come versione economica della bisciola (tipico pane dolce valtellinese con fichi secchi e noci), hanno forma e peso ridotti (grandi quanto un odierno panino mignon). Gli ingredienti sono ancora molto poveri, solo dopo la prima guerra mondiale vengono prodotti come biscotti secchi da pasticceria. Non riscontrando successo commerciale i basìn de Sundri vennero accantonati. È solo negli ultimi decenni che viene recuperata la ricetta originale da parte di un forno di Sondrio che ne arricchisce gli ingredienti ai gusti odierni registrandone poi il prodotto e il marchio.

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Mastazzoli

Mastazzoli dolce tipico della Cucina siciliana.


I mastazzoli detti in dialetto mastazzola, sono dei tipici dolci siciliani, più precisamente della zona etnea e della provincia di Catania


Cenni storici

Dolce consumato già all'epoca del Regno delle Due Sicilie. Veniva servito in occasione di feste, da quella del Santo Patrono arrivando al matrimonio, ma anche . Veniva consumato anche come rito propiziatorio del raccolto annuale. Si tramandano le sue proprietà salutari.


Preparazione

Viene tritata la polpa dei ficodindia dell'Etna, il tutto amalgamato e poi fatto bollire fino ad ottenere un impasto caramellato, il preparato viene fatto essiccare al sole per alcuni giorni. Si serve con noci tritate e zucchero a velo vanigliato da versare sopra.


Varianti

Esistono numerose varianti, alcune di esse sono presenti nella regione salentina e prendono il nome di mustazzoli e nella regione campana con il nome di mustaccioli.



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Miacetto

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Il miacetto è un dolce natalizio tipico della città di Cattolica (provincia di Rimini) a base di frutta secca, zucchero, cruschello (o farina) e miele.
In origine era un dolce confezionato per le feste natalizie, ma col passare del tempo ha finito con l'essere preparato anche durante tutto il resto dell'anno.


Preparazione

La ricetta è la seguente:
  • Tre etti di miele,
  • Due etti di zucchero,
  • Due etti di mandorle,
  • Due etti di uva passa e due di noci,
  • Tre etti di crusca,
  • Due etti di farina e un po' di sale,
  • Due bucce di arancia e di limone tagliate fini,
  • Un bicchiere di olio
Amalgamare con un po' di acqua finché l'impasto sarà morbido.

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Miele della Lunigiana

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Il Miele della Lunigiana è un prodotto di origine animale italiano a Denominazione di origine protetta. La denominazione è riservata a due tipologie: miele di acacia e miele di castagno.

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Migliaccio

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Il migliaccio è un dolce tipico dell'Emilia-Romagna e dell'Umbria, oggi poco diffuso, che si realizzava utilizzando come ingrediente principale il sangue suino cotto in padella con poco olio d'oliva.
Era arricchito di zucchero, pinoli e uvette e guarnito con aroma di vaniglia o zucchero vanigliato.
Ne risultava una specie di torta dolce dello spessore di circa 20 mm e dal gusto gradevole, seppure forte.
Il migliaccio tradizionale di Romagna si presenta come una specie di budino scuro e denso contenuto all'interno di un involucro di pasta molto sottile. Gli ingredienti principali del ripieno sono sangue di maiale, zucchero, mandorle, pangrattato, canditi, burro, cioccolato e aromi vari.
La ricetta completa si può trovare nello storico libro di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene.





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Ministeriale

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Il ministeriale è un cioccolatino fondente a forma di medaglione con ripieno di crema al liquore. Nacque nel 1905 come omaggio del pasticcere Francesco Scaturchio ad Anna Fougez. Il successo del cioccolatino spinse il suo creatore a chiedere il titolo di fornitore della casa reale, per ottenere la quale si sottopose a una estenuante trafila burocratica presso diversi ministeri; da qui il nome del cioccolatino.

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Minna di virgini

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La minna di virgini (in italiano "seno di vergine") è un dolce tradizionale di Sambuca di Sicilia, città siciliana in provincia di Agrigento. È stata inserita dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali.

Storia

La minna di virgini fu ideata nel 1725 da suor Virginia Casale di Rocca Menna, del Collegio di Maria di Sambuca. La suora la creò in occasione del matrimonio del Marchese don Pietro Beccadelli con donna Marianna Gravina.
Ella la descrive in questo modo: - Guardavo questa mattina dalla finestra della mia stanzetta le colline che si susseguono dalla Valle dell' Anguillara sino alla collina del Castellaccio e alla costa della Minnulazza. La forma delle colline mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai marchesi un dolce che abbia la forma e, in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa terra. Insomma un dolce paesano, ma prelibato, fine che susciti nel momento del degusto l'istinto del sentimento, ed elevi al tempo stesso lo spirito -.
Il nome discenderebbe, come narra Alfonso Di Giovanna nel suo libro Per modo di dire, dalla stessa suora che ideò il dolce, Virginia della Menna. Probabilmente invece deriva da un'antichissima tradizione legata a culti femminili preesistenti, sviluppatisi in tutta la Sicilia.

Descrizione

La minna di virgini è un dolce di forno. Ha la forma mammellare con all'apice una protuberanza più scura. È composta da pasta frolla e contiene al suo interno crema di latte, zuccata, scaglie di cioccolato e cannella.

Sagra della minna di virgini
Nel mese di maggio, in concomitanza con i festeggiamenti per Maria SS. dell'Udienza, santa patrona di Sambuca di Sicilia, che avvengono ogni anno la terza domenica del mese, si svolge la sagra della minna di virgini. Fanno da contorno a tale sagra numerosi eventi, spettacoli e iniziative varie.

Citazioni
La minna di virgini è citata da vari autori siciliani. Ecco alcuni esempi:
Alfonso Di Giovanna dedica un intero capitolo nel suo libro Per modo di dire.
Ecco un passo del racconto: - Farina, uova, latte, lievito. Si compone una pinna di pasta tonda come una luna piena; al centro si accumula un po' di tutto: cose, comunque, che debbo studiare con attenzione: non dovrebbero mancare la zuccata, la crema, l'essenza di garofano e di cannella, qualche pezzo di cioccolato e… quant'altro mi ispirerà il Signore… Vedrà che ci riusciremo a fare un dolce sensitivo -.

l'Abate Giuseppe Meli, medico e docente di chimica all'Università di Palermo, nel Settecento ci racconta che: Delle Vergini poi sono i bei seni. Quanto eccellenti sono, tutti lo sanno. Salute a chi spende i suoi spiccioli A chi non ne mangia ci venga un malanno Io per una sola salirei sulla cuccagna O starei dentro incarcerato per un anno! Benedetta la madre che le vende Benedette le mani che le fanno.

Giuseppe Tomasi Di Lampedusa ne Il gattopardo cita, tra i tanti dolci presenti sulla tavola del principe Fabrizio Salina, le impudiche paste di Vergine.






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Mostaccino

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Il mostaccino è un biscotto speziato tipico della città di Crema. Utilizzato principalmente nella preparazione del ripieno dei Tortelli cremaschi, annovera fra gli ingredienti la noce moscata, la cannella, il chiodo di garofano, il macis, il coriandolo, l'anice stellato, il pepe nero e il cacao.

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