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Crema Pasticcera: storia, preparazione e abbinamenti di una preparazione fondamentale della pasticceria

La crema pasticcera rappresenta uno dei pilastri della pasticceria classica europea. Questo composto, a base di tuorlo d’uovo, zucchero, latte e un addensante come farina o amido, ha una consistenza vellutata e un sapore delicato, che lo rendono adatto a una molteplicità di utilizzi: può essere gustata al cucchiaio, come dessert semplice, oppure impiegata come farcitura per torte, bignè, cannoli, pan di Spagna e altre preparazioni dolciarie. La sua versatilità ha contribuito a diffonderla rapidamente in tutta Europa, diventando uno degli elementi più apprezzati nelle cucine professionali e domestiche.

La crema pasticcera ha origini antiche, riconducibili alla tradizione francese del Seicento, quando le prime ricette di crema a base di latte e uova iniziarono a circolare tra i cuochi delle corti nobiliari. L’uso del latte caldo per cuocere una miscela di tuorli e zucchero garantiva una consistenza morbida, che poteva essere utilizzata sia come dessert autonomo sia come farcitura. Nel corso dei secoli, la preparazione si è diffusa in Italia, dove ha trovato spazio nelle diverse scuole regionali di pasticceria, arricchendosi di varianti locali come la crema aromatizzata agli agrumi in Sicilia o la crema al cacao nel Nord Italia.

Il termine “crema pasticcera” riflette l’uso tradizionale di questo composto nella pasticceria classica: “crema” indica la consistenza morbida e vellutata, mentre “pasticcera” ne specifica l’impiego come ingrediente fondamentale nella produzione di dolci elaborati. Nel tempo, il ruolo della crema pasticcera è cresciuto fino a diventare uno standard nella formazione professionale dei pasticceri, insegnando la precisione nelle dosi, il controllo della temperatura e l’equilibrio tra sapori e texture.

La crema pasticcera si distingue per la sua versatilità. La ricetta di base prevede tuorli d’uovo, zucchero, latte e un addensante, tradizionalmente farina o amido di mais. La cottura delicata a fuoco moderato permette di ottenere una consistenza liscia e cremosa, senza grumi né retrogusti di uova cotte. La crema può essere aromatizzata in vari modi: scorze di agrumi come limone o arancia, vaniglia naturale o vanillina, cacao, liquori leggeri, e persino spezie delicate come cannella o cardamomo.

La consistenza della crema pasticcera deve essere sufficientemente densa da sostenere strati di pan di Spagna o pasta sfoglia, ma anche abbastanza morbida da poter essere servita al cucchiaio senza risultare troppo compatta. Per ottenere questo equilibrio, è fondamentale rispettare i tempi di cottura e incorporare l’addensante in modo uniforme, evitando grumi e assicurando una distribuzione omogenea.

Le varianti più conosciute includono:

  • Crema diplomatica: ottenuta amalgamando panna montata alla crema pasticcera, conferendo leggerezza e volume.

  • Crema alla vaniglia: aromatizzata con baccelli di vaniglia o estratto, dalla fragranza delicata e costante.

  • Crema aromatizzata agli agrumi: realizzata con scorze di limone, arancia o mandarino, che aggiungono freschezza e un profumo intenso.

  • Crema inglese: simile alla pasticcera ma priva di addensanti, più fluida e delicata, spesso servita come salsa per dolci al cucchiaio.

  • Crema al cacao: versione più corposa, con aggiunta di cacao amaro o cioccolato fuso, utilizzata come farcitura per torte e bignè al cioccolato.

La preparazione della crema pasticcera richiede attenzione alla tecnica, al bilanciamento degli ingredienti e al controllo della temperatura. Ecco i passaggi fondamentali:

  1. Scaldare il latte: versare il latte in un pentolino, aggiungere eventuali aromi come scorza di limone o baccello di vaniglia e portare quasi a ebollizione, evitando il bollore completo che potrebbe compromettere la consistenza finale.

  2. Montare i tuorli con lo zucchero: in una ciotola, sbattere i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Questo passaggio è fondamentale per incorporare aria e garantire una crema soffice.

  3. Incorporare l’addensante: setacciare la farina o l’amido scelto e unirlo al composto di tuorli, amalgamando con cura per evitare grumi.

  4. Unire il latte caldo: versare lentamente il latte aromatizzato sui tuorli, mescolando continuamente per temperare le uova e prevenire la coagulazione immediata.

  5. Cottura: riportare il composto sul fuoco basso, mescolando costantemente con una frusta fino a raggiungere la densità desiderata. È importante non interrompere la miscelazione per evitare che la crema si attacchi al fondo della pentola.

  6. Raffreddamento: trasferire la crema in un contenitore pulito, coprire con pellicola a contatto per evitare la formazione della pellicina superficiale e lasciare raffreddare. Se necessario, conservare in frigorifero fino al momento dell’uso.

Ricetta Completa

Ingredienti per 6-8 porzioni:

  • 500 ml di latte intero

  • 4 tuorli d’uovo

  • 120 g di zucchero semolato

  • 40 g di farina 00 (oppure amido di mais)

  • Scorza di 1 limone non trattato o baccello di vaniglia

Procedimento:

  1. Scaldare il latte con la scorza di limone o il baccello di vaniglia fino a sfiorare l’ebollizione, quindi togliere dal fuoco.

  2. Montare i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.

  3. Setacciare la farina e incorporarla al composto di tuorli.

  4. Versare lentamente il latte caldo sui tuorli, mescolando con una frusta.

  5. Trasferire il composto sul fuoco basso e cuocere, mescolando costantemente, fino a ottenere una crema densa e liscia.

  6. Trasferire la crema in un contenitore, coprire con pellicola a contatto e lasciare raffreddare.

La crema pasticcera è estremamente versatile anche negli abbinamenti. Può essere gustata al cucchiaio con una spolverata di cacao o zucchero a velo, oppure accompagnata da frutta fresca come fragole, lamponi o pesche. Nei dolci più elaborati, si abbina perfettamente con torte di pan di Spagna, millefoglie, bignè e cannoli, arricchendo la preparazione con morbidezza e dolcezza equilibrata.

Dal punto di vista delle bevande, la crema pasticcera si sposa bene con vini dolci italiani come il Moscato d’Asti o il Vin Santo, che ne esaltano le note di latte e vaniglia. Per chi preferisce opzioni analcoliche, tè delicati o caffè leggermente tostati completano l’esperienza gustativa senza sovrastare la delicatezza della crema.

La preparazione accurata, la scelta degli ingredienti freschi e la possibilità di personalizzare aromi e consistenza rendono la crema pasticcera un elemento imprescindibile della pasticceria classica, capace di valorizzare sia dolci semplici sia preparazioni elaborate, offrendo al contempo un’esperienza sensoriale equilibrata e raffinata.



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Torta Diplomática: storia, preparazione e abbinamenti di un dolce tradizionale italiano


La Torta Diplomática, conosciuta anche come dolce dei diplomatici, rappresenta una delle creazioni più raffinate della pasticceria italiana. Caratterizzata dall’alternanza di strati di pasta sfoglia croccante e soffice pan di Spagna, farcita con crema diplomatica e talvolta confettura o frutta, questa torta unisce leggerezza e ricchezza di sapore in un equilibrio molto apprezzato. Il termine “diplomatica” non si riferisce soltanto alla complessità della preparazione, ma storicamente richiama la figura dei diplomatici o, secondo alcune fonti, la crema diplomatica utilizzata come farcitura, ottenuta miscelando crema pasticcera e panna montata o crema chantilly.

Le origini della torta diplomatica sono avvolte in un alone di incertezza, come capita a molte preparazioni storiche della pasticceria italiana. Le prime tracce risalirebbero al Quattrocento, periodo in cui la pasticceria cominciava a consolidarsi presso le corti e le famiglie nobili. Una delle teorie più diffuse indica come inventore il Duca di Parma, che avrebbe creato la torta per omaggiare Francesco Sforza, figura di spicco della nobiltà italiana del tempo. Secondo questa versione, la torta nasce come dessert di rappresentanza, destinato a feste e occasioni solenni.

Altre fonti attribuiscono la nascita della torta diplomatica alla Campania, in particolare a Napoli, dove il dolce è conosciuto anche con il soprannome “zuppetta”, probabilmente per via della sua morbidezza e della cremosità degli strati che si impregnano di liquore. La diffusione in tutta Italia è stata graduale, con varianti locali che hanno aggiunto ingredienti tipici del territorio, come l’uso di ricotta in Sicilia o di particolari confetture nella zona di Roma e dell’Italia centrale.

La denominazione “diplomatica” può riferirsi sia alla professione dell’aristocrazia sia alla crema che ne costituisce il cuore: una miscela equilibrata di panna e crema pasticcera, dalla consistenza morbida e setosa. Questa combinazione ha permesso al dolce di mantenere una posizione di rilievo nella pasticceria italiana, sia come torta intera che in porzioni singole, i cosiddetti “diplomatici”, quadrati o rettangolari, serviti come pasticcini raffinati.

La torta diplomatica si distingue per la stratificazione di pasta sfoglia e pan di Spagna, due elementi fondamentali che contribuiscono a creare un contrasto tra croccantezza e morbidezza. La pasta sfoglia viene spesso cotta fino a doratura completa, talvolta caramellata, per resistere all’umidità della crema e mantenere una consistenza compatta. Il pan di Spagna, soffice e leggero, funge da supporto agli strati di crema, aggiungendo leggerezza alla struttura complessiva.

La farcitura principale è costituita dalla crema diplomatica, ottenuta miscelando crema pasticcera e panna montata. Questo procedimento conferisce una consistenza morbida, vellutata, capace di armonizzare i sapori di pasta sfoglia e pan di Spagna. In alcune varianti, viene aggiunta confettura di albicocche o un altro tipo di composta di frutta, mentre liquori come il maraschino o l’alchermes arricchiscono ulteriormente il profilo aromatico. La superficie della torta può essere spolverata con zucchero a velo per un effetto visivo elegante o completata con frutta secca tritata, come mandorle, che aggiunge texture e un sapore delicatamente tostato.

Le due principali varianti si distinguono per ingredienti e origine: la versione più diffusa nel Nord Italia combina pan di Spagna e pasta sfoglia con crema diplomatica e confettura di albicocche, aromatizzata con maraschino; la versione tipica di Roma e dell’Italia centrale prevede l’uso di pan di Spagna e pasta sfoglia caramellata, farcitura di crema pasticcera e un tocco di alchermes, completata da una spolverata abbondante di zucchero a velo. In Sicilia, invece, è diffusa una variante con ricotta, che conferisce al dolce una nota più intensa e cremosa, tipica della tradizione locale.

La preparazione della torta diplomatica richiede attenzione e precisione. È consigliabile suddividere la lavorazione in tre fasi principali: preparazione della pasta sfoglia e del pan di Spagna, realizzazione della crema diplomatica, assemblaggio e decorazione del dolce.

  1. Pasta sfoglia: può essere acquistata pronta o preparata in casa, stesa in strati sottili e cotta in forno fino a doratura uniforme. Per le versioni che richiedono caramellizzazione, si cosparge la superficie con zucchero semolato prima della cottura.

  2. Pan di Spagna: le uova vengono montate con zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. La farina setacciata viene incorporata delicatamente per non smontare l’impasto. Dopo la cottura in forno, il pan di Spagna viene lasciato raffreddare e tagliato in strati sottili, pronti per essere assemblati con la crema.

  3. Crema diplomatica: la crema pasticcera si prepara scaldando latte, zucchero e tuorli, aromatizzando con scorza di limone o vaniglia. Una volta raffreddata, viene incorporata panna montata con movimenti delicati, ottenendo una crema soffice e omogenea. In alcune versioni, si aggiunge un goccio di liquore per esaltare l’aroma.

  4. Assemblaggio: il primo strato di pasta sfoglia viene adagiato sul piatto di portata, seguito da uno strato di crema diplomatica e, se previsto, confettura di frutta. Successivamente si alternano strati di pan di Spagna e crema, terminando con uno strato di pasta sfoglia. La superficie viene livellata e decorata secondo le preferenze: zucchero a velo, mandorle tritate o altra frutta secca.

  5. Riposo: è consigliabile lasciare riposare la torta in frigorifero per alcune ore prima di servire. Questo passaggio permette alla crema di stabilizzarsi e agli strati di amalgamarsi, migliorando la consistenza complessiva e il bilanciamento dei sapori.

Ricetta Completa

Ingredienti per 8-10 porzioni:

  • 250 g di pasta sfoglia

  • 150 g di pan di Spagna

  • 500 ml di latte intero

  • 4 tuorli d’uovo

  • 120 g di zucchero

  • 40 g di farina 00

  • Scorza di limone

  • 250 ml di panna fresca da montare

  • 3 cucchiai di confettura di albicocche (facoltativo)

  • 2 cucchiai di liquore maraschino o alchermes

  • Zucchero a velo q.b.

  • Mandorle o pistacchi tritati per decorazione

Procedimento:

  1. Preriscaldare il forno a 180°C. Cuocere la pasta sfoglia fino a doratura.

  2. Preparare il pan di Spagna, montando uova e zucchero e incorporando la farina setacciata. Cuocere in forno e raffreddare.

  3. Realizzare la crema diplomatica: scaldare il latte con scorza di limone, mescolare tuorli e zucchero, unire la farina setacciata e amalgamare sul fuoco fino a ottenere crema densa. Raffreddare e incorporare panna montata delicatamente. Aggiungere il liquore.

  4. Assemblare la torta alternando strati di pasta sfoglia, crema diplomatica e pan di Spagna. Se desiderato, inserire confettura tra uno strato e l’altro.

  5. Completare con pasta sfoglia in superficie, livellare, spolverare con zucchero a velo e decorare con mandorle o pistacchi tritati.

  6. Lasciare riposare in frigorifero per almeno due ore prima di servire.

La torta diplomatica si accompagna con bevande che ne esaltano la delicatezza senza sovrastarne i sapori. I vini dolci italiani, come il Moscato di Asti o il Passito di Pantelleria, offrono un contrasto armonioso con la crema e la pasta sfoglia, evidenziando le note di vaniglia, limone e frutta secca. Per chi preferisce bevande analcoliche, tè delicati, infusi a base di fiori o succo di frutta leggermente aromatico rappresentano un abbinamento elegante e bilanciato.

Oltre agli abbinamenti classici, la torta può essere servita con una crema leggera al mascarpone o con una coulis di frutti di bosco, che aggiunge freschezza e colore alla presentazione. L’obiettivo è mantenere il dolce al centro dell’esperienza gustativa, valorizzandone gli strati e la complessità senza introdurre sapori eccessivamente invasivi.

La torta diplomatica resta così un esempio significativo della pasticceria italiana tradizionale: ogni strato racconta la storia della tecnica artigianale, della selezione degli ingredienti e della capacità di combinare leggerezza e ricchezza in un equilibrio raffinato. La varietà di versioni regionali e le possibilità di personalizzazione rendono questo dolce adatto a ogni occasione, dalle feste familiari ai ricevimenti più eleganti.



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Torta Fedora: il dolce tradizionale siciliano tra ricotta, cioccolato e frutta secca

La Torta Fedora, conosciuta anche come torta di ricotta, rappresenta una delle preparazioni dolciarie più raffinate e radicate nella tradizione gastronomica siciliana. Questo dessert nasce come celebrazione della semplicità degli ingredienti locali, combinando la morbidezza della ricotta di pecora con la leggerezza del pan di Spagna, l’intensità delle gocce di cioccolato e la croccantezza di pistacchi e mandorle. La sua fama deriva non solo dal sapore equilibrato ma anche dalla capacità di rappresentare la ricchezza della cultura culinaria dell’isola, dove prodotti freschi e di qualità si uniscono in ricette capaci di resistere alla prova del tempo.

La torta Fedora affonda le sue radici nella Sicilia del XIX secolo, in un contesto in cui la pasticceria era strettamente legata alle festività religiose e alle ricorrenze familiari. La scelta della ricotta di pecora come ingrediente principale riflette la lunga tradizione ovina della regione, dove il latte di pecora è stato a lungo un prodotto cardine per formaggi e dolci. Il pan di Spagna, leggero e spugnoso, è stato integrato successivamente nelle preparazioni siciliane per dare struttura ai dolci e consentire l’inserimento di farciture ricche e morbide senza compromettere la leggerezza complessiva.

L’aggiunta di gocce di cioccolato, pistacchi e mandorle rappresenta un’evoluzione più recente, probabilmente legata agli scambi culturali e commerciali della Sicilia con il Mediterraneo, che portarono cacao e frutta secca in tutta l’isola. La combinazione di questi ingredienti ha permesso alla torta di assumere un carattere distintivo: la dolcezza delicata della ricotta viene equilibrata dalle note amare del cioccolato e dalla consistenza croccante della frutta secca, creando un dessert armonioso e complesso al palato.

Nel tempo, la torta Fedora è diventata protagonista di numerose festività locali, soprattutto durante le ricorrenze pasquali e natalizie. In Sicilia, è consuetudine prepararla in casa per condividere momenti di convivialità, rendendo la sua presenza non solo un piacere per il gusto, ma anche un simbolo di ospitalità e cura della tradizione familiare.

La Torta Fedora si distingue per la qualità degli ingredienti, che devono essere freschi e selezionati con attenzione:

  • Ricotta di pecora: zuccherata e setacciata, costituisce la base cremosa della farcitura. La sua consistenza morbida e il gusto leggermente acidulo conferiscono alla torta una freschezza caratteristica.

  • Pan di Spagna: soffice e leggero, è utilizzato sia per gli strati della torta sia come supporto per la crema di ricotta. Deve essere preparato con uova fresche e montato con attenzione per ottenere una consistenza spugnosa senza grumi.

  • Gocce di cioccolato: distribuite uniformemente nella crema di ricotta, offrono un contrasto aromatico e una leggera nota amara che bilancia la dolcezza complessiva del dolce.

  • Pistacchi e mandorle: tritati o interi, vengono utilizzati per decorare la superficie della torta. Oltre a conferire croccantezza, aggiungono un aroma intenso che completa il profilo sensoriale della preparazione.

La preparazione della torta Fedora richiede precisione e attenzione ai dettagli per valorizzare ogni ingrediente. La sequenza di passaggi principali è la seguente:

  1. Preparazione del pan di Spagna: montare le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Setacciare la farina e incorporarla delicatamente con movimenti dal basso verso l’alto per mantenere l’aria inglobata durante la lavorazione. Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e cuocere a forno preriscaldato fino a doratura uniforme. Una volta cotto, lasciare raffreddare completamente prima di tagliarlo a strati.

  2. Farcitura di ricotta: setacciare la ricotta per eliminare eventuali grumi e mescolarla con zucchero a velo fino a ottenere una crema liscia e omogenea. Aggiungere le gocce di cioccolato distribuendole uniformemente nella crema. Alcuni artigiani siciliani consigliano di lasciare riposare la crema in frigorifero per alcune ore, in modo da ottenere una consistenza più compatta e facile da spalmare.

  3. Assemblaggio della torta: disporre il primo strato di pan di Spagna sul piatto di portata e spalmare uno strato generoso di crema di ricotta. Adagiare sopra il secondo strato di pan di Spagna e coprire l’intera superficie della torta con la crema rimasta, uniformando con una spatola.

  4. Decorazione: completare il dolce con una spolverata di pistacchi tritati e mandorle, creando motivi decorativi a piacere. Alcune versioni prevedono anche l’aggiunta di cioccolato grattugiato o scaglie di cioccolato fondente per un contrasto visivo e gustativo più marcato.

  5. Riposo: lasciare la torta in frigorifero per almeno due ore prima di servire, in modo che i sapori si amalgamino e la crema si rassodi leggermente. Questo passaggio è fondamentale per garantire una texture armoniosa tra pan di Spagna e ricotta.

Ricetta Completa

Ingredienti per una torta da 8-10 porzioni:

  • 250 g di ricotta di pecora fresca

  • 150 g di zucchero a velo

  • 3 uova

  • 120 g di farina 00

  • 50 g di fecola di patate

  • 1 bustina di lievito per dolci

  • 50 g di gocce di cioccolato fondente

  • 30 g di pistacchi tritati

  • 30 g di mandorle a lamelle

  • burro e farina q.b. per la teglia

Procedimento:

  1. Preriscaldare il forno a 180°C.

  2. Montare le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.

  3. Setacciare la farina con la fecola e il lievito, incorporandoli delicatamente al composto di uova.

  4. Versare l’impasto in una teglia imburrata e infarinata e cuocere per 25-30 minuti, controllando la cottura con uno stecchino.

  5. Lasciare raffreddare il pan di Spagna e tagliarlo a due strati.

  6. Setacciare la ricotta, unirla allo zucchero a velo e aggiungere le gocce di cioccolato.

  7. Farcire la torta con la crema di ricotta, assemblando gli strati e ricoprendo la superficie con la crema rimanente.

  8. Decorare con pistacchi e mandorle.

  9. Lasciare riposare in frigorifero per almeno due ore prima di servire.

La Torta Fedora, con il suo equilibrio tra dolcezza, cremosità e note di frutta secca, si abbina perfettamente a bevande leggere e aromatiche. Un vino passito siciliano, come il Moscato di Noto o il Passito di Pantelleria, esalta le note della ricotta e del cioccolato senza sovrastarle. Per chi preferisce un abbinamento analcolico, tè verde delicato o infusi a base di fiori e agrumi possono offrire un contrasto armonioso e rinfrescante.

Inoltre, per occasioni particolari, la torta può essere servita con un filo di crema di liquore dolce, come limoncello o mandorlato, per aggiungere ulteriore complessità al profilo gustativo. La scelta dell’accompagnamento deve sempre rispettare la delicatezza della ricotta e la texture soffice del pan di Spagna, evitando abbinamenti troppo intensi o speziati che rischierebbero di sovrastare il dolce.

La Torta Fedora rappresenta così un esempio eccellente della pasticceria siciliana, in cui semplicità e qualità degli ingredienti si fondono per creare un dessert dall’equilibrio perfetto, capace di raccontare la storia e la cultura di un’intera regione attraverso sapori autentici e riconoscibili.



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Macafame: il dolce contadino di Vicenza che “ammacca la fame”


Il macafame, noto anche come maccafame, è un dolce della tradizione veneta che ha radici profonde nella cultura contadina della provincia di Vicenza. La sua storia affonda le radici in un ambiente rurale caratterizzato dalla scarsità di risorse e dalla necessità di sfruttare al massimo ogni ingrediente disponibile. Il nome stesso, “macafame”, suggerisce chiaramente la sua funzione principale: una fetta è sufficiente a soddisfare la fame, diventando così ideale per colazioni abbondanti o spuntini robusti. Questo dolce rappresenta un perfetto esempio di come la cucina povera abbia saputo trasformare ingredienti semplici in preparazioni capaci di resistere al tempo e di entrare nel patrimonio gastronomico locale.

Il macafame nasce in un contesto rurale, dove le famiglie dovevano affrontare giornate lunghe e faticose nei campi. La necessità di utilizzare al meglio ogni risorsa ha portato a ideare ricette che potessero sfruttare gli avanzi, in particolare il pane raffermo, ingrediente principale di questo dolce. Nelle case contadine, le stufe erano il centro della vita domestica, e cuocere il macafame direttamente sul fuoco o nelle stufe a legna permetteva di ottenere una consistenza morbida e un aroma intenso, con il vantaggio di scaldare la casa durante la cottura.

Storicamente, il macafame veniva anche venduto nelle osterie locali, offrendo ai viandanti e ai lavoratori delle campagne un dolce nutriente ed economico. La versatilità degli ingredienti consentiva di adattare la ricetta in base alla disponibilità stagionale: si aggiungevano uvetta, mandorle, nocciole, pinoli o, in tempi più recenti, gocce di cioccolato, per arricchire la preparazione. Questa capacità di trasformazione ha permesso al macafame di sopravvivere e adattarsi alle esigenze della cucina moderna, pur mantenendo intatta la sua identità originaria.

Il macafame si distingue per la sua semplicità e per la capacità di trasformare ingredienti poveri in un dolce sostanzioso e saporito. La preparazione tradizionale prevede alcuni passaggi fondamentali:

  1. Preparazione del pane: Il pane raffermo, di solito casereccio, viene tagliato a pezzi e immerso nel latte, lasciando che assorba completamente il liquido. Questa fase è cruciale per ottenere una consistenza uniforme e morbida. Il latte può essere intero o parzialmente scremato, a seconda delle preferenze.

  2. Aggiunta degli altri ingredienti: Una volta ammorbidito il pane, si incorporano le uova, lo zucchero e il miele. Questi ingredienti conferiscono al macafame la sua struttura leggera e il gusto dolce, senza appesantirlo eccessivamente. Tradizionalmente, si aggiungeva anche un pizzico di sale, per esaltare il sapore complessivo del dolce.

  3. Arricchimento con frutta secca o altri aromi: In base alle disponibilità, venivano aggiunti pinoli, nocciole o mandorle, mentre in alcune varianti moderne è possibile utilizzare gocce di cioccolato o scorza di agrumi per aggiungere complessità al gusto. L’uvetta, precedentemente ammollata, contribuisce a donare dolcezza naturale e una consistenza più interessante.

  4. Impasto e amalgamazione: Tutti gli ingredienti vengono mescolati fino a ottenere un composto omogeneo, dalla consistenza morbida ma lavorabile. La corretta amalgamazione è essenziale affinché il dolce mantenga la sua struttura durante la cottura, evitando zone troppo umide o troppo asciutte.

  5. Cottura: Il composto viene trasferito in una teglia imburrata o leggermente infarinata. La cottura avviene in forno preriscaldato a temperatura moderata, fino a ottenere una superficie dorata e leggermente croccante, mentre l’interno rimane morbido e avvolgente. La durata della cottura varia a seconda della grandezza della teglia e della quantità di impasto, ma solitamente si aggira intorno ai 40-50 minuti.

  6. Raffreddamento e servizio: Una volta cotto, il macafame va lasciato raffreddare completamente prima di essere tagliato a fette. Il dolce può essere consumato a temperatura ambiente o leggermente riscaldato, accompagnato da bevande calde o fredde a seconda della stagione.

Oggi il macafame è oggetto di sperimentazioni che ne ampliano la gamma di sapori senza snaturarne l’essenza. Alcune versioni prevedono l’aggiunta di aromi come cacao amaro, caffè o scorza di limone, mentre altre sperimentano l’uso di farine alternative come quella integrale o di cereali misti, per conferire un gusto più rustico e una maggiore densità nutrizionale.

La scelta della frutta secca può cambiare in base alla disponibilità stagionale: in autunno si preferiscono noci e nocciole, mentre in primavera mandorle e pinoli. L’uvetta può essere sostituita da albicocche secche o datteri, offrendo diverse sfumature di dolcezza naturale.

Nonostante le varianti, la regola fondamentale rimane la stessa: mantenere un equilibrio tra morbidezza e compattezza, dolcezza e aroma, per garantire che ogni fetta sia sufficiente a “ammaccare la fame” e fornire una sensazione di appagamento autentico.

Ricetta dettagliata

Ingredienti:

  • 200 g di pane raffermo

  • 300 ml di latte

  • 2 uova

  • 100 g di zucchero

  • 2 cucchiai di miele

  • 50 g di uvetta (opzionale)

  • 30 g di mandorle tritate (opzionale)

  • 30 g di nocciole tritate (opzionale)

  • Un pizzico di sale

Procedimento:

  1. Tagliare il pane raffermo a cubetti e metterlo in una ciotola con il latte, lasciando ammorbidire per almeno 15-20 minuti.

  2. In una ciotola separata, sbattere le uova con lo zucchero e il miele fino a ottenere un composto omogeneo. Aggiungere un pizzico di sale.

  3. Unire il pane ammollato al composto di uova, mescolando bene. Aggiungere frutta secca e uvetta, amalgamando uniformemente.

  4. Versare il composto in una teglia imburrata e livellare la superficie.

  5. Cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 40-50 minuti, fino a doratura superficiale.

  6. Lasciare raffreddare completamente prima di tagliare a fette e servire.

Il macafame si abbina perfettamente a bevande calde come caffè espresso, caffè d’orzo o tè nero leggermente aromatico, che ne esaltano la dolcezza e la cremosità del composto. In alternativa, bevande fredde come latte fresco o latte di mandorla possono creare un contrasto piacevole con la consistenza densa del dolce.

Dal punto di vista gastronomico, è interessante abbinare il macafame a frutta fresca di stagione, come mele, pere o frutti di bosco, che aggiungono una nota acidula capace di bilanciare la dolcezza del pane e del miele. Anche una spolverata di zucchero a velo o una leggera grattugiata di cioccolato fondente possono completare la presentazione senza alterare il profilo originale del dolce.

Il macafame resta un simbolo della cultura contadina vicentina, testimonianza della creatività e della resilienza dei contadini nel trasformare ingredienti poveri in preparazioni nutrienti e appaganti. La sua diffusione nelle case e nelle osterie locali, unita alla possibilità di arricchirlo con frutta secca e aromi, ne ha garantito la sopravvivenza fino ai giorni nostri, rendendolo un dolce capace di raccontare storia, tradizione e gusto in ogni fetta.



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Latteruolo: il dolce al cucchiaio della tradizione romagnola

Il latteruolo, noto anche come casadello, rappresenta una delle espressioni più raffinate della pasticceria tradizionale della Romagna, con radici profonde nella provincia di Forlì-Cesena. Questo dolce al cucchiaio si distingue per la sua struttura a strati: una base di pasta matta, semplice e rustica, che funge da contenitore per uno strato generoso di crema a base di latte, uova e zucchero. La sua composizione essenziale e l’equilibrio tra la croccantezza della pasta e la morbidezza della crema lo rendono un dessert capace di raccontare la cultura gastronomica della regione, preservando tradizioni che risalgono al XIX secolo.

Il latteruolo è citato nel celebre ricettario di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, con la ricetta numero 649. Secondo Artusi, questo dolce veniva preparato in occasione del Corpus Domini, momento in cui i contadini romagnoli portavano il dessert in dono ai padroni terrieri, come gesto di gratitudine e di devozione. La sua diffusione storica è dunque strettamente legata alle celebrazioni religiose e alle pratiche sociali della Romagna contadina.

Il termine "latteruolo" fa riferimento al principale ingrediente della crema: il latte fresco, che un tempo rappresentava una risorsa preziosa nelle case rurali. La semplicità della pasta matta, composta esclusivamente da acqua e farina, senza uova o burro, riflette la cucina povera ma ingegnosa dei contadini, che sapevano valorizzare ingredienti essenziali per creare dessert elaborati ma accessibili.

La ricetta tradizionale è considerata un simbolo della capacità della cucina romagnola di combinare ingredienti umili in preparazioni raffinate, capaci di durare nel tempo e di mantenere viva la memoria gastronomica locale. Il dolce non è solo un dessert, ma un vero e proprio legame culturale che unisce celebrazione, comunità e gusto.

La preparazione del latteruolo richiede attenzione e cura nei dettagli, soprattutto per quanto riguarda la cottura della crema e la gestione della pasta matta.

  1. Preparazione della pasta matta: In una ciotola, acqua e farina vengono mescolati fino a ottenere un impasto elastico e uniforme. La semplicità di questo impasto lo rende versatile, ma la giusta consistenza è fondamentale: troppo liquido rischierebbe di non sostenere la crema, troppo duro comprometterebbe la morbidezza finale del dolce. La pasta viene quindi stesa e utilizzata per foderare una teglia, creando una base uniforme e senza crepe.

  2. Preparazione della crema: Il latte viene portato a ebollizione in una casseruola capiente, mentre in una ciotola a parte le uova vengono sbattute con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Tradizionalmente, al composto veniva aggiunto coriandolo macinato, che conferiva una nota aromatica distintiva. Alcune varianti moderne prevedono aromi aggiuntivi come scorza di limone, noce moscata o un pizzico di sale.

  3. Unione degli ingredienti: Il latte caldo viene versato lentamente sul composto di uova e zucchero, mescolando continuamente per evitare la coagulazione. La crema risultante deve essere liscia e priva di grumi, con una consistenza leggermente densa che permetta di mantenere la forma all’interno dello stampo.

  4. Cottura: La crema viene versata sopra la base di pasta matta nella teglia. La cottura avviene in forno preriscaldato a temperatura moderata, fino a quando la crema si rassoda e assume una leggera doratura superficiale. La cottura lenta è fondamentale per preservare l’aroma del latte e degli eventuali aromi aggiunti, garantendo una consistenza uniforme.

  5. Raffreddamento e servizio: Una volta cotto, il latteruolo viene lasciato raffreddare completamente prima di essere tagliato a spicchi e servito. Tradizionalmente, veniva consumato freddo, per permettere alla crema di consolidarsi e alla base di pasta di mantenere croccantezza e consistenza.

Nel corso del tempo, il latteruolo ha subito alcune modifiche rispetto alla ricetta originaria di Artusi, che arricchiscono o modificano leggermente il profilo gustativo. Alcune versioni moderne prevedono l’aggiunta di pangrattato alla crema, per migliorarne la consistenza, oppure scorza di limone o succo di agrumi per un tocco fresco. Altre varianti includono l’uso di parmigiano grattugiato o noce moscata, che conferiscono alla crema un aroma più complesso e leggermente speziato.

Nonostante le differenze, il principio fondamentale rimane lo stesso: una base semplice e resistente, capace di sostenere uno strato di crema ricco e aromatico. Questo equilibrio tra semplicità e raffinatezza rappresenta l’essenza del latteruolo, un dolce che continua a mantenere intatta la sua identità storica pur adattandosi ai gusti contemporanei.

Ricetta dettagliata

Ingredienti:

  • 200 g di farina

  • 100 ml di acqua

  • 500 ml di latte fresco

  • 150 g di zucchero

  • 3 uova intere

  • 1 cucchiaino di coriandolo macinato (opzionale)

  • Scorza di limone (facoltativa)

  • Un pizzico di sale

Procedimento:

  1. Preparare la pasta matta mescolando farina e acqua fino a ottenere un impasto liscio ed elastico. Stendere la pasta e foderare una teglia da forno.

  2. In una casseruola, portare il latte a ebollizione.

  3. In una ciotola, sbattere le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro. Aggiungere coriandolo e scorza di limone se desiderato.

  4. Versare lentamente il latte caldo nel composto di uova, mescolando continuamente.

  5. Versare la crema sopra la base di pasta matta nella teglia.

  6. Cuocere in forno preriscaldato a 170°C per circa 40-45 minuti, fino a quando la crema si rassoda leggermente.

  7. Lasciare raffreddare completamente, quindi tagliare a spicchi e servire freddo.

Il latteruolo si accompagna perfettamente a bevande calde come tè nero delicato o caffè tostato, che ne esaltano la dolcezza e la cremosità. Per chi desidera un abbinamento alcolico, un bicchierino di vin santo o di liquore a base di mandorle può completare l’esperienza gustativa.

Sul piano dei cibi, frutti freschi come lamponi o mirtilli creano un contrasto gradevole con la dolcezza della crema, mentre biscotti secchi o cantucci aggiungono una nota croccante che valorizza la consistenza della base di pasta matta. Anche una leggera spolverata di zucchero a velo o cacao amaro può rendere la presentazione più elegante senza alterare il sapore originale del dolce.

Il latteruolo continua a essere un punto di riferimento della cucina romagnola, non solo per la sua ricetta, ma per il valore culturale e storico che rappresenta. Ogni fase della preparazione, dalla scelta degli ingredienti alla cottura, riflette la sapienza artigianale delle generazioni passate. La sua capacità di resistere al tempo e di rimanere un dessert apprezzato in tutta la regione testimonia l’attenzione dei romagnoli verso le tradizioni gastronomiche, che sanno unire gusto, storia e convivialità.



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Latte brulè: tradizione e dolcezza dalla Romagna


Il latte brulè rappresenta una delle eccellenze dolciarie tradizionali della Romagna, una regione italiana che vanta una lunga storia di preparazioni artigianali a base di latte e uova. Questo dolce al cucchiaio, caratterizzato da un sapore delicato e una consistenza vellutata, è legato a secoli di pratiche culinarie domestiche e viene tuttora celebrato durante le festività e le grandi occasioni. Il termine "lat brulè" deriva dal dialetto romagnolo e si riferisce alla leggera caramellizzazione superficiale che contraddistingue il dessert, conferendogli una nota amara e zuccherina allo stesso tempo.

Il latte brulè ha radici profonde nella cucina tradizionale dell’Emilia-Romagna, e le sue origini sono strettamente legate alla disponibilità di ingredienti di qualità come latte fresco, uova e zucchero, che storicamente erano a disposizione soprattutto delle famiglie più abbienti. La preparazione di questo dolce era considerata un gesto di celebrazione, spesso riservato a momenti importanti come matrimoni, battesimi e festività religiose.

Il dolce è attestato nel celebre ricettario di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, con la ricetta numero 692, nella quale viene proposto come tipico del mese di aprile. Artusi specifica che, a differenza di alcune versioni moderne, il latte brulè prevede l’utilizzo non solo dei tuorli, ma anche degli albumi, contribuendo a una struttura più ariosa e leggera.

La lunga cottura del latte a fuoco basso è uno degli elementi distintivi di questo dolce, e ne determina la concentrazione dei sapori. Tradizionalmente, il latte veniva portato quasi a ridursi della metà del volume iniziale, procedimento che esalta la dolcezza naturale del latte e ne intensifica l’aroma. Il tocco finale del caramello, versato sul fondo dello stampo, conferisce al dolce un colore dorato intenso e una lieve nota amara, bilanciando perfettamente la dolcezza della crema.

La preparazione del latte brulè richiede attenzione ai dettagli e una certa dimestichezza con la cottura lenta. Il processo si articola in diverse fasi, ciascuna fondamentale per ottenere una consistenza perfetta e un sapore armonioso.

  1. Cottura del latte: il latte fresco viene versato in una pentola e portato a fuoco basso insieme a una stecca di vaniglia o a semi di vaniglia, fino a ridurre il volume della metà. Questa fase richiede attenzione costante, mescolando di tanto in tanto per evitare che il latte attacchi sul fondo. La lenta evaporazione concentra gli zuccheri naturali e crea un aroma intenso.

  2. Preparazione della crema: in una ciotola separata, i tuorli e gli albumi vengono sbattuti insieme allo zucchero fino a ottenere un composto omogeneo e leggermente spumoso. La temperatura del latte è fondamentale: deve essere calda ma non bollente, per evitare di cuocere le uova troppo rapidamente e formare grumi.

  3. Assemblaggio: sul fondo dello stampo, spesso caratterizzato dalla forma ad anello con il buco al centro, viene versato il caramello liquido, preparato separatamente facendo sciogliere zucchero in una piccola casseruola fino a ottenere una tonalità ambrata. Sopra il caramello si versa il composto di latte e uova, livellandolo delicatamente.

  4. Cottura a bagnomaria: lo stampo viene posto in una teglia più grande riempita d’acqua calda, in modo che la cottura avvenga uniformemente senza bruciare la crema. Il forno viene impostato a temperatura moderata e il dolce cuoce fino a quando la crema si rassoda leggermente, mantenendo la sua morbidezza interna.

  5. Raffreddamento e servizio: una volta cotto, il latte brulè viene lasciato raffreddare completamente prima di essere sformato. La delicata caramellizzazione sul fondo, una volta capovolto lo stampo, crea una superficie lucida e leggermente amara che contrasta con la dolcezza cremosa della crema. Tradizionalmente, il dolce viene servito freddo, rendendo evidente il contrasto di consistenze e sapori.

Nel corso dei decenni, la ricetta del latte brulè ha subito leggere modifiche in base alle disponibilità locali e ai gusti personali. Alcune versioni prevedono l’aggiunta di aromi come scorza di limone, arancia o un tocco di rum per arricchire il profilo aromatico. Altri cuochi prediligono l’uso esclusivo dei tuorli, ottenendo una crema più densa e vellutata, mentre alcuni cercano una consistenza più leggera incorporando più albumi.

È importante sottolineare che il latte brulè si distingue da preparazioni simili come la crème brûlée o la crème caramel. A differenza della crème brûlée, il latte brulè non prevede l’uso di panna, e la caramellizzazione non avviene tramite torcia o ferro rovente, ma viene creata direttamente sul fondo dello stampo. Rispetto alla crème caramel, il latte brulè richiede una cottura prolungata del latte e viene preparato in uno stampo unico ad anello, mentre la crème caramel può essere suddivisa in più stampini singoli.

Artusi cita inoltre preparazioni analoghe come il latte alla portoghese e il latteruolo, ma con differenze nella scelta degli aromi e nella cottura. Il latte alla portoghese, ad esempio, utilizza zucchero fuso non caramellato e talvolta aromi insoliti come coriandolo o caffè, mentre il latteruolo prevede un involucro di pasta che contiene la crema e l’aggiunta di noce moscata.

Ricetta dettagliata

Ingredienti:

  • 1 litro di latte fresco intero

  • 150 g di zucchero semolato

  • 4 uova intere

  • 2 tuorli

  • 1 bacca di vaniglia o semi di vaniglia

  • 100 g di zucchero per il caramello

Procedimento:

  1. Versare il latte in una pentola e aggiungere la bacca di vaniglia aperta longitudinalmente. Portare a fuoco basso e far ridurre il volume di circa metà. Mescolare di tanto in tanto.

  2. In una ciotola, sbattere le uova e i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e omogeneo.

  3. Preparare il caramello sciogliendo lo zucchero in una casseruola fino a ottenere un colore ambrato chiaro. Versare il caramello sul fondo dello stampo a ciambella.

  4. Eliminare la bacca di vaniglia dal latte, quindi versare lentamente il latte caldo nel composto di uova, mescolando delicatamente.

  5. Versare la crema nello stampo sopra il caramello.

  6. Porre lo stampo in una teglia più grande con acqua calda, creando un bagnomaria. Cuocere in forno preriscaldato a 160°C per circa 45-50 minuti, fino a quando la crema si rassoda leggermente.

  7. Lasciare raffreddare completamente prima di sformare. Servire freddo.

Il latte brulè si presta a numerosi abbinamenti che ne esaltano la dolcezza e la complessità dei sapori:

  • Frutti di bosco freschi o sciroppati: il contrasto tra l’acidità dei frutti e la dolcezza della crema crea un equilibrio armonioso.

  • Biscotti secchi o cantucci: la croccantezza dei biscotti contrasta con la morbidezza del latte brulè, creando un gioco di consistenze piacevole.

  • Bevande calde: tè leggero o caffè tostato accompagnano perfettamente la cremosità del dolce. Per chi preferisce un tocco alcolico, un bicchierino di vin santo o di rum ambrato può arricchire il profilo aromatico.

Il latte brulè continua a essere un simbolo della tradizione dolciaria romagnola, apprezzato sia nelle case private sia nelle pasticcerie artigianali. La sua preparazione richiede cura e rispetto dei tempi, ma il risultato finale ripaga ogni sforzo: una crema vellutata e aromatica, con la giusta nota amara del caramello, capace di conquistare il palato di chiunque lo assaggi. Questo dolce rappresenta non solo una ricetta, ma una vera e propria testimonianza della storia gastronomica dell’Emilia-Romagna, un ponte tra passato e presente che mantiene vive le antiche tradizioni.



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Kirchtagkrapfen: il dolce delle feste tirolesi tra storia, tradizione e gusto



Il mondo della pasticceria regionale custodisce tesori che raccontano non solo il piacere del palato, ma anche la storia e l’identità di un territorio. Tra questi, i Kirchtagkrapfen, conosciuti anche come Festtagskrapfen o Krapfenbetteln, occupano un posto speciale nella tradizione altoatesina e in particolare nella Val Pusteria. Non si tratta di semplici dolci fritti: sono un simbolo di festa, convivialità e legame comunitario, legati a rituali antichi e occasioni collettive come il Kirchtagsmichl o il celebre Törggelen. Preparati con cura e tramandati di generazione in generazione, i Kirchtagkrapfen racchiudono nella loro forma quadrata e nel ripieno di marmellata un mondo di memorie e di cultura gastronomica.

A differenza dei krapfen classici che troviamo comunemente nelle pasticcerie, soffici e tondeggianti, questi dolci sono sottili, oblunghi o quadrati, costituiti da due strati di pasta sovrapposti che racchiudono una farcia generosa. Vengono fritti e poi cosparsi di zucchero a velo, assumendo così l’aspetto di una piccola delizia croccante all’esterno e morbida all’interno. Ma ridurli a una descrizione tecnica sarebbe un errore: i Kirchtagkrapfen sono, prima di tutto, un dolce che racconta una comunità, le sue feste e i suoi riti conviviali.

Il nome stesso di questi dolci richiama la loro funzione originaria: Kirchtag significa letteralmente “giorno di chiesa”, e infatti erano preparati in occasione delle feste religiose più importanti, quando le famiglie si riunivano e l’intero villaggio condivideva momenti di festa e abbondanza. In queste ricorrenze, la cucina diventava strumento di celebrazione, e i Kirchtagkrapfen erano parte integrante del banchetto collettivo.

Secondo la tradizione, la loro comparsa risale a secoli fa, quando la cucina tirolese iniziava a definire la sua identità intrecciando ingredienti locali e influenze mitteleuropee. Le marmellate utilizzate per il ripieno, come quella di albicocche, di papavero o di castagne, riflettono infatti la varietà agricola e frutticola della regione. Anche la pratica del Krapfenbetteln (letteralmente “elemosina di krapfen”), diffusa in passato, conferisce a questo dolce una valenza sociale: i giovani andavano di casa in casa a chiedere dolci in occasione della festa, ricevendo spesso proprio i Kirchtagkrapfen come segno di ospitalità e partecipazione comunitaria.

Il Törggelen, la tradizionale usanza autunnale in cui si gustano castagne, vino novello e specialità rustiche, rappresenta un altro contesto in cui i Kirchtagkrapfen hanno trovato spazio privilegiato. Qui diventano un dolce conclusivo, da gustare in compagnia, portando a compimento una celebrazione conviviale che affonda le sue radici nella cultura contadina.

Realizzare i Kirchtagkrapfen richiede pazienza e una mano esperta, poiché l’impasto deve risultare sottile ma resistente, in grado di racchiudere il ripieno senza rompersi in cottura. Gli ingredienti di base sono semplici e riflettono la cucina di montagna: farina, latte, burro, zucchero e uova. Il segreto sta nell’equilibrio tra morbidezza ed elasticità dell’impasto, che dopo essere stato lavorato viene steso in sfoglie sottili.

Due strati vengono poi sovrapposti, racchiudendo al centro la marmellata scelta: tradizionalmente si usano confetture locali, come quella di papavero, di albicocche, di mirtilli o di castagne. Una volta sigillati i bordi, i dolci vengono tagliati in forme quadrate o rettangolari e fritti in olio caldo fino a raggiungere una doratura uniforme. La frittura dona loro la consistenza croccante che contrasta piacevolmente con la dolcezza del ripieno. Infine, una spolverata di zucchero a velo completa la preparazione.

Questa ricetta, apparentemente semplice, nasconde in realtà l’arte della giusta proporzione tra impasto e ripieno, della temperatura dell’olio e della rapidità della cottura. Solo l’esperienza, affinata in famiglie e panetterie di montagna, permette di ottenere il risultato autentico che si tramanda da secoli.

Ricetta tradizionale dei Kirchtagkrapfen

Ingredienti per circa 12 pezzi

  • 500 g di farina 00

  • 250 ml di latte tiepido

  • 70 g di burro fuso

  • 2 uova intere

  • 80 g di zucchero

  • 1 pizzico di sale

  • 1 bustina di lievito di birra secco (o 15 g fresco)

  • Marmellata a scelta (albicocche, papavero, castagne o mirtilli)

  • Olio per friggere

  • Zucchero a velo q.b.

Procedimento

  1. In una ciotola capiente sciogliere il lievito nel latte tiepido con un cucchiaino di zucchero e lasciare riposare per 10 minuti.

  2. Aggiungere la farina, lo zucchero restante, le uova e il burro fuso, impastando fino a ottenere un composto liscio ed elastico. Unire un pizzico di sale e continuare a lavorare l’impasto per circa 10 minuti.

  3. Coprire l’impasto con un canovaccio e lasciarlo lievitare per circa 1 ora, fino al raddoppio del volume.

  4. Stendere l’impasto su una superficie infarinata fino a ottenere uno spessore di pochi millimetri.

  5. Tagliare delle strisce e ricavare rettangoli di circa 10 cm di lunghezza.

  6. Distribuire un cucchiaio di marmellata al centro di metà dei rettangoli e coprire con gli altri, sigillando bene i bordi con le dita.

  7. Scaldare abbondante olio in una padella profonda e friggere i dolci pochi alla volta fino a doratura.

  8. Scolare su carta assorbente e spolverare con zucchero a velo prima di servire.

I Kirchtagkrapfen, grazie alla loro dolcezza equilibrata e alla consistenza fragrante, si prestano a diversi abbinamenti. Tradizionalmente vengono serviti con un bicchiere di vino dolce locale o con il vino novello durante il Törggelen. In alternativa, si sposano bene con una tazza di caffè robusto o con tisane alle erbe alpine, che bilanciano la loro ricchezza.

Per chi desidera un abbinamento più ricercato, una grappa fruttata dell’Alto Adige o un liquore alle erbe può completare l’esperienza, esaltando le note aromatiche del ripieno. Nel periodo invernale, gustarli accanto a una cioccolata calda cremosa li rende il perfetto comfort food delle feste.

I Kirchtagkrapfen non sono soltanto un dolce della Val Pusteria: rappresentano un frammento di storia e di vita comunitaria, un simbolo delle feste che hanno scandito il tempo nelle valli alpine per generazioni. Preparati ancora oggi in occasione di celebrazioni e sagre, mantengono viva una tradizione che unisce famiglia, territorio e memoria. Nel loro equilibrio tra semplicità e raffinatezza, raccontano il legame profondo tra la cucina e l’identità culturale, ricordandoci che dietro ogni ricetta si cela un patrimonio immateriale che vale la pena preservare.



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La Focaccia di Susa: il dolce della Valle che unisce storia, tradizione e gusto


La Focaccia di Susa non è soltanto un dolce, ma un tassello fondamentale dell’identità gastronomica piemontese. Riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.), affonda le sue radici nella Valle di Susa, territorio che ha sempre fatto da crocevia tra culture, commerci e sapori. Ancora oggi, questa preparazione mantiene il suo legame con la comunità, celebrata sia nelle case che nelle feste popolari.

Se a prima vista può sembrare una semplice focaccia dolce, in realtà rappresenta un patrimonio che racconta secoli di convivialità e rituali collettivi. La sua fragranza, la leggerezza dell’impasto e la superficie brunita dallo zucchero caramellato sono l’esito di una lunga tradizione che non si è mai interrotta, neppure durante i momenti più difficili della storia.

Le testimonianze più antiche della Focaccia di Susa risalgono almeno alla seconda metà dell’Ottocento, grazie a una ricetta manoscritta del 1870 che certifica la continuità della produzione. Tuttavia, è probabile che le sue origini siano ancora più remote, legate alle grandi festività invernali, quando nei forni di paese si preparava un dolce da condividere con l’intera comunità.

In piemontese, questa focaccia è conosciuta come couroun, ed era in origine un dolce rituale del periodo natalizio e di Capodanno. La sua forma rotonda, che richiama quella di una corona, sottolineava il carattere propiziatorio e celebrativo, simbolo di rinascita e di ciclicità del tempo.

La produzione si è tramandata nei secoli, adattandosi alle disponibilità delle materie prime. Durante la Seconda guerra mondiale, ad esempio, le farine locali furono parzialmente sostituite con il grano Manitoba, di provenienza nordamericana, che garantiva un impasto più elastico e di facile lavorazione. Parallelamente, l’arricchimento con burro e zucchero rese la focaccia ancora più golosa e simile a un dolce da ricorrenza.

Oggi la Focaccia di Susa ha superato il legame esclusivo con le festività ed è presente tutto l’anno nei forni della valle, pur conservando il sapore delle grandi occasioni.

La forza della Focaccia di Susa risiede nella semplicità degli ingredienti e nella precisione della lavorazione. Nonostante la ricetta appaia essenziale, ogni passaggio è fondamentale per ottenere la consistenza morbida e il gusto inconfondibile.

Impasto

Si comincia con farina, uova, burro e zucchero, amalgamati fino a ottenere un composto spugnoso e omogeneo. Il sale viene aggiunto solo in un secondo momento per equilibrare la dolcezza, mentre il lievito di birra, inserito per ultimo, attiva il processo di fermentazione.

Lievitazione

Il composto deve riposare per circa quattro ore, tempo necessario per garantire la leggerezza del dolce. L’attesa è parte integrante della tradizione, perché è proprio la lievitazione lenta a conferire la consistenza morbida e fragrante.

Formatura

Una volta pronto, l’impasto viene suddiviso in dischi di 30-50 cm di diametro e di circa 2 cm di spessore. I bordi vengono leggermente rialzati per trattenere la guarnizione. La superficie è cosparsa con abbondante zucchero, destinato a caramellarsi in cottura, formando quella crosticina brunita e leggermente croccante che contrasta con la morbidezza interna.

Decorazione

Tradizionalmente, sulla superficie vengono tracciate delle scanalature decorative, che variano a seconda del periodo dell’anno e delle occasioni: croci a Pasqua, stelle a Natale, ferri di cavallo come augurio, cuori per le ricorrenze familiari. Questa personalizzazione rende ogni focaccia unica, segno distintivo di un legame stretto con la comunità.

Ricetta tradizionale della Focaccia di Susa

Ecco una versione casalinga che rispetta la tradizione:

Ingredienti

  • 500 g di farina tipo 0 (oppure Manitoba)

  • 3 uova intere

  • 150 g di burro morbido

  • 120 g di zucchero + 50 g per la superficie

  • 1 pizzico di sale

  • 20 g di lievito di birra fresco

  • 100 ml di latte tiepido

Preparazione

  1. Sciogliere il lievito nel latte tiepido.

  2. In una ciotola, montare uova e zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.

  3. Incorporare gradualmente la farina setacciata e il burro morbido.

  4. Unire il sale e, per ultimo, il lievito sciolto. Impastare fino a ottenere una massa liscia ed elastica.

  5. Lasciare lievitare coperto con un panno per almeno 4 ore, in luogo tiepido.

  6. Trascorso il tempo, suddividere l’impasto in due o tre dischi. Disporli su teglie rivestite di carta da forno.

  7. Rialzare i bordi e cospargere la superficie con lo zucchero.

  8. Con un coltello affilato, praticare le decorazioni desiderate.

  9. Cuocere in forno preriscaldato a 180 °C per circa 25-30 minuti, fino a quando la superficie risulta dorata e leggermente caramellata.

Il risultato sarà una focaccia dolce, fragrante e dorata, pronta per essere gustata ancora tiepida o il giorno successivo.

La Focaccia di Susa è un dolce versatile che si presta a numerosi abbinamenti. Per la sua dolcezza equilibrata e la consistenza soffice, può accompagnare sia momenti conviviali che colazioni intime.

  • Con bevande calde: perfetta con il caffè espresso o il cappuccino, ma si sposa altrettanto bene con il tè nero o con tisane aromatiche.

  • Con vini da dessert: eccellente l’abbinamento con il Moscato d’Asti, lo Chambave Muscat valdostano o un passito piemontese, che esaltano la dolcezza caramellata della superficie.

  • Con creme e confetture: la sua semplicità permette di arricchirla con crema pasticcera, zabaione o marmellata di albicocche, senza snaturarne la tradizione.

  • Con formaggi freschi: sorprendente l’accostamento con formaggi cremosi e leggermente acidi, che creano un contrasto piacevole.

La Focaccia di Susa non è un semplice prodotto da forno, ma una testimonianza della capacità di un territorio di preservare le proprie radici attraverso il cibo. Ancora oggi, la città di Susa celebra questo dolce durante la manifestazione “Focacciando”, un evento autunnale che riunisce forni, artigiani e visitatori attorno alla focaccia e ad altre specialità locali.

La sua storia, intrecciata a quella della valle, dimostra come un dolce semplice possa diventare veicolo di identità collettiva, un simbolo che racconta di feste, famiglie e comunità unite attorno a un forno. Prepararla oggi significa ripetere gli stessi gesti dei segusini di due secoli fa, mantenendo viva una tradizione che ha saputo resistere al tempo.



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Flantze: il dolce della Valle d’Aosta che racconta una comunità

Tra i dolci regionali italiani meno conosciuti, ma di grande valore culturale, la Flantze occupa un posto di rilievo nella tradizione della Valle d’Aosta. Si tratta di una preparazione che unisce la semplicità della panificazione contadina alla ricchezza dei doni simbolici riservati ai bambini durante le giornate di lavoro collettivo. La sua storia è strettamente intrecciata alla vita dei villaggi alpini, ai forni comuni e a quella solidarietà comunitaria che per secoli ha reso possibile la sopravvivenza in un territorio montano tanto affascinante quanto difficile.

Oggi, la Flantze sopravvive come dolce tipico, preparato con cura dai panifici artigianali valdostani, che hanno mantenuto viva la ricetta, aggiungendo talvolta varianti moderne. Al tempo stesso, resta un simbolo della memoria gastronomica alpina, un ponte tra passato e presente che racconta con semplicità la capacità della cucina di trasformare la quotidianità in rituale.

La Flantze nacque come dolce di occasione, legato ai rari momenti della panificazione collettiva. Nella Valle d’Aosta, infatti, la preparazione del pane avveniva una o poche volte l’anno, quando interi villaggi si riunivano intorno al forno comune per cuocere il cosiddetto pane nero, ottenuto da farine di segale e frumento, più adatte a conservarsi a lungo.

Durante queste giornate, segnate dal lavoro e dalla condivisione, i bambini partecipavano attivamente, aiutando nelle piccole incombenze o semplicemente vivendo l’atmosfera comunitaria. Per loro, come gesto di riconoscenza e di festa, veniva ricavata dall’impasto del pane una porzione speciale: una pasta dolcificata e arricchita con frutta secca, canditi e burro. Così nacque la Flantze, che non era un dolce quotidiano, bensì un dono atteso e carico di significato.

Tradizionalmente la Flantze aveva forma rotonda, ma non mancavano versioni sagomate a forma di animali, soprattutto destinate ai più piccoli. Gli animali rappresentati derivavano dalla simbologia locale: cervi, galli, pecore, figure legate al ciclo naturale e al mondo alpino. La creazione non era soltanto un divertimento per i bambini, ma anche un modo per trasmettere valori simbolici, radicati nella tradizione valdostana.

Con il passare dei secoli, la Flantze ha continuato a essere prodotta, ma la sua funzione è cambiata. Non più legata unicamente al forno comunitario, è diventata un prodotto dei panifici artigianali, spesso venduta nelle feste di paese e nelle panetterie locali. Alcuni artigiani hanno introdotto varianti con farina bianca o con l’aggiunta di cacao, modernizzando il gusto senza snaturarne l’essenza.

La Flantze è un pane dolce che conserva nella sua struttura la base della panificazione contadina:

  • Farina integrale, generalmente di segale o di frumento, che garantisce sapore rustico e consistenza compatta.

  • Frutta secca come mandorle e noci, che arricchiscono di aromi e nutrienti.

  • Uvetta, che conferisce dolcezza naturale e morbidezza.

  • Scorza d’arancia candita, elemento che dona freschezza e profumo.

  • Burro, ingrediente prezioso che rende l’impasto più soffice e goloso.

  • Zucchero, aggiunto in piccole quantità per addolcire il pane di base.

Nelle versioni più recenti possono essere presenti farina bianca e cacao, che ammorbidiscono la struttura e intensificano il gusto.

Ricetta della Flantze

Ingredienti per una Flantze di medie dimensioni:

  • 300 g di farina di segale integrale

  • 200 g di farina di frumento integrale (o bianca, per una versione più morbida)

  • 80 g di burro morbido

  • 80 g di zucchero

  • 100 g di uvetta ammollata in acqua tiepida

  • 60 g di mandorle tritate grossolanamente

  • 60 g di noci spezzettate

  • 50 g di scorza d’arancia candita a cubetti

  • 15 g di lievito di birra fresco

  • 200 ml di acqua tiepida

  • 1 pizzico di sale

Preparazione:

  1. Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero e lasciarlo attivare per circa dieci minuti.

  2. In una ciotola capiente mescolare le farine e il sale.

  3. Unire il lievito attivato e l’acqua rimanente, impastando fino a ottenere un composto omogeneo.

  4. Aggiungere il burro ammorbidito e lo zucchero, continuando a lavorare l’impasto finché non risulta liscio ed elastico.

  5. Incorporare l’uvetta ben strizzata, le mandorle, le noci e la scorza d’arancia candita, distribuendole uniformemente.

  6. Formare una palla, coprirla con un panno umido e lasciare lievitare per due ore in un luogo tiepido.

  7. Riprendere l’impasto, dargli la forma tradizionale rotonda o sagomata, disporlo su una teglia rivestita di carta forno e lasciar lievitare per altri 30 minuti.

  8. Cuocere in forno preriscaldato a 180 °C per circa 35-40 minuti, fino a doratura.

  9. Lasciare raffreddare su una griglia prima di servire.

Il risultato è un dolce rustico e profumato, in cui la croccantezza della frutta secca si sposa con la morbidezza dell’uvetta e la freschezza della scorza candita.

La Flantze, essendo un dolce di origine contadina, si presta a numerosi abbinamenti che ne esaltano il carattere genuino. Può essere gustata:

  • A colazione, accompagnata da caffè, latte o tè, come alternativa a pane e marmellata.

  • A merenda, con una tazza di cioccolata calda o con infusi alle erbe di montagna.

  • Con vini da dessert: particolarmente indicati il Moscato d’Asti, la Malvasia dolce o un passito valdostano, che ne completano le note di frutta secca e canditi.

  • Con formaggi stagionati, secondo un abbinamento insolito ma sorprendente, dove la dolcezza del pane contrasta con la sapidità dei prodotti caseari locali, come la Fontina o il Toma.

La Flantze non è soltanto un dolce, ma un frammento di vita comunitaria che sopravvive nel tempo. Prepararla oggi significa mantenere viva una memoria collettiva fatta di gesti semplici, di forni condivisi e di bambini che, nei villaggi della Valle d’Aosta, attendevano con gioia il proprio dono speciale.



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Torta Margherita: leggerezza e tradizione della pasticceria italiana


Tra i dolci più rappresentativi della tradizione dolciaria dell’Italia centro-settentrionale, la Torta Margherita occupa un posto speciale. La sua leggerezza, la consistenza soffice e il sapore delicato la rendono un dolce apprezzato a colazione, a merenda o come base per altre preparazioni più elaborate. La Torta Margherita non è solo un dolce: è simbolo di artigianalità semplice, capace di raccontare la storia della cucina domestica italiana, dove pochi ingredienti ben combinati riescono a generare un risultato sorprendente.

Le origini della Torta Margherita risalgono alla fine del XIX secolo, probabilmente nell’area del centro-nord Italia, dove la pasticceria casalinga cercava dolci leggeri e facilmente digeribili. La particolarità di questa torta sta nel suo impasto arioso, ottenuto montando accuratamente uova e zucchero, e nell’uso della fecola di patate, ingrediente chiave che conferisce morbidezza e leggerezza alla struttura.

Il nome “Margherita” potrebbe derivare dall’aspetto floreale della torta, che ricorda la semplicità e la delicatezza del fiore, oppure dalla tradizione di nominarla in occasione di ricorrenze familiari. Questo dolce ha conosciuto una larga diffusione soprattutto in Emilia, Lombardia, Piemonte e Veneto, diventando un elemento fondamentale della pasticceria domestica e delle colazioni tradizionali.

Nonostante la semplicità degli ingredienti, la Torta Margherita ha ispirato numerose varianti, dalla versione al cacao a quella aromatizzata al limone o alla vaniglia, diventando un punto di partenza versatile per la realizzazione di torte più complesse, farcite con creme, frutta o cioccolato.

La Torta Margherita si distingue per:

  • Sofficezza: l’impasto è leggero e arioso, grazie alla montatura delle uova e all’uso della fecola.

  • Delicatezza del sapore: dolce senza essere stucchevole, con leggere note agrumate se arricchita con scorza di limone o vaniglia.

  • Versatilità: può essere consumata semplice, spolverata con zucchero a velo, oppure farcita con marmellate, creme o ganache al cioccolato.

Queste caratteristiche rendono la Torta Margherita ideale sia per chi cerca un dolce semplice e leggero, sia per pasticceri che vogliono utilizzarla come base per dessert più elaborati.

Ingredienti principali

Per una torta da circa 8 porzioni:

  • 4 uova grandi

  • 150 g di zucchero semolato

  • 100 g di fecola di patate

  • 50 g di farina 00 (opzionale, per maggiore struttura)

  • 1 cucchiaio di succo di limone

  • 1 pizzico di sale

  • Burro e farina per lo stampo

  • Zucchero a velo per decorare (facoltativo)

Preparazione passo passo

  1. Preparare lo stampo: imburrare e infarinare uno stampo rotondo di circa 24 cm di diametro, assicurandosi che la superficie sia ben protetta per evitare che la torta si attacchi.

  2. Montare i tuorli: separare i tuorli dagli albumi. In una ciotola capiente, sbattere i tuorli con metà dello zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.

  3. Montare gli albumi: in un’altra ciotola, montare gli albumi con un pizzico di sale fino a ottenere picchi morbidi. Aggiungere gradualmente lo zucchero restante e continuare a montare fino a quando la meringa risulta lucida e stabile.

  4. Incorporare gli ingredienti secchi: setacciare la fecola di patate (e la farina, se utilizzata) e aggiungerla ai tuorli montati, mescolando delicatamente con una spatola per non smontare il composto.

  5. Unire albumi e tuorli: incorporare gli albumi montati in tre volte al composto di tuorli e fecola, utilizzando movimenti delicati dal basso verso l’alto, per mantenere la massima leggerezza.

  6. Aromatizzare: aggiungere il succo di limone o la scorza grattugiata per conferire freschezza e un aroma delicato all’impasto.

  7. Cottura: versare l’impasto nello stampo preparato e cuocere in forno preriscaldato a 180°C per circa 20-25 minuti, controllando la cottura con uno stecchino che deve uscire pulito.

  8. Raffreddamento: lasciare intiepidire la torta nello stampo per 10 minuti, quindi sformarla su una gratella e lasciarla raffreddare completamente. Decorare con zucchero a velo prima di servire.

La Torta Margherita può essere servita semplice, per apprezzarne la leggerezza, oppure arricchita da una spolverata di cacao o cioccolato grattugiato. È ideale come dolce da colazione o merenda, ma può essere anche la base di dessert più elaborati, come torte farcite con crema pasticcera, marmellata di frutti rossi, ganache al cioccolato o frutta fresca.

Per esaltare la delicatezza della Torta Margherita:

  • Bevande calde: tè neri leggeri, infusi di frutta o caffè lungo, che bilanciano la dolcezza e valorizzano l’aroma del limone.

  • Vini dolci: Moscato d’Asti o Passito di Pantelleria creano un abbinamento armonico con la morbidezza e la delicatezza della torta.

  • Farcie e creme: abbinare con confetture di frutti rossi, crema al cioccolato o chantilly, sfruttando la versatilità della base.

La Torta Margherita offre molte possibilità di variazione:

  • Al limone o arancia: aggiungendo scorza e succo agli ingredienti principali per un aroma più agrumato.

  • Al cacao: sostituendo una parte della fecola con cacao amaro per ottenere un dolce più intenso e scuro.

  • Farcita: tagliata a metà e farcita con crema pasticcera, marmellata o ganache, trasformandola in una torta più elaborata per occasioni speciali.

  • Con frutta fresca: servita con fragole, lamponi o frutti di bosco per un contrasto di dolcezza e acidità.

La Torta Margherita rappresenta l’equilibrio perfetto tra semplicità e bontà. Con pochi ingredienti, un procedimento chiaro e alcune tecniche di base, è possibile ottenere un dolce leggero, soffice e versatile, che ha saputo resistere al tempo e diventare un simbolo della pasticceria domestica italiana.

Preparare la Torta Margherita significa comprendere l’importanza della montatura, della delicatezza nella lavorazione e della scelta degli ingredienti, dimostrando come la maestria in cucina non richieda sempre complessità, ma attenzione, precisione e passione. La sua leggerezza la rende ideale per ogni occasione, dalla colazione alla merenda, e la sua struttura semplice ma elegante permette di utilizzarla come base per dessert più elaborati, celebrando la creatività e la tradizione italiana.


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Torta nera di San Secondo: il sapore profondo dell’Emilia




Nel panorama dolciario dell’Emilia, tra ricette tramandate da generazioni e creazioni più recenti, spicca la Torta nera di San Secondo, un dessert dal colore intenso e dal gusto avvolgente. Originaria del comune di San Secondo Parmense, questa torta si distingue per la sua struttura a doppio strato e per l’uso sapiente di cacao, caffè e mandorle, che insieme creano un equilibrio tra dolcezza e note amarognole.

Nonostante la sua diffusione risalga alla metà del XX secolo, la torta nera di San Secondo è riuscita a entrare nella tradizione locale, guadagnandosi un posto tra le specialità della provincia e venendo citata da autori come Anna Gosetti della Salda nei suoi libri dedicati alla cucina regionale italiana. La sua storia è un esempio di come un dolce relativamente recente possa conquistare fama e identità culturale, diventando simbolo di una comunità.

La paternità della Torta nera di San Secondo è controversa e, sebbene non antichissima, la sua nascita risale agli anni Sessanta e Settanta del Novecento. È stata inizialmente prodotta da piccole attività artigianali e proposta in occasione di feste locali e sagre, dove la sua particolarità e il gusto intenso ne hanno favorito la rapida diffusione.

Diversa da altre torte nere, come la famosa Torta Barozzi di Modena, la Torta nera di San Secondo si caratterizza per la doppia massa: una base di pasta frolla che funge da contenitore e una farcia scura e aromatica a base di cacao, caffè e mandorle, distribuita all’interno. Questa combinazione garantisce non solo una consistenza piacevole, ma anche un contrasto di sapori che rende ogni fetta interessante e completa.

La Torta nera di San Secondo si presenta con una frolla lievitata esterna di colore dorato chiaro, leggermente meno dolce rispetto alla pasta frolla classica, per bilanciare la dolcezza intensa del ripieno. Il ripieno, invece, è di un colore bruno intenso, quasi nero, e combina il sapore del cacao dolce, l’aroma deciso del caffè espresso e la rotondità delle mandorle tostate e macinate finemente.

Ingredienti principali

Per la pasta frolla:

  • 250 g di farina 00

  • 150 g di burro morbido

  • 100 g di zucchero

  • 3 tuorli d’uovo

  • 1 pizzico di sale

  • 8 g di lievito per dolci

Per la farcia nera:

  • 150 g di mandorle tostate

  • 50 g di cacao dolce

  • 50 g di zucchero semolato

  • 2 tuorli d’uovo

  • 100 ml di caffè espresso concentrato

Varianti opzionali: rum o anice per aromatizzare la frolla, sostituzione di parte delle mandorle con noci, inserimento di amaretti sbriciolati o fondi di caffè nel ripieno.

Preparazione passo passo

  1. Preparare la pasta frolla: lavorare il burro morbido con lo zucchero fino a ottenere una crema soffice. Incorporare i tuorli uno alla volta, aggiungere il sale e infine la farina setacciata con il lievito. Impastare velocemente fino a ottenere un composto omogeneo. Formare una palla, avvolgerla in pellicola e lasciarla riposare in frigorifero per almeno 30 minuti.

  2. Preparare la farcia: tostare le mandorle e macinarle finemente. In una ciotola mescolare le mandorle tritate con il cacao, lo zucchero e i tuorli. Aggiungere il caffè espresso fino a ottenere una crema omogenea e densa.

  3. Assemblaggio della torta: stendere la pasta frolla in uno strato sottile e rivestire uno stampo a cerniera imburrato, lasciando un bordo di qualche centimetro. Versare la farcia al cacao e caffè all’interno e livellare con una spatola. Coprire eventualmente con un ulteriore strato sottile di frolla, oppure lasciare scoperto il ripieno per una presentazione rustica.

  4. Cottura: preriscaldare il forno a 170 °C e cuocere per circa 35-40 minuti, fino a quando la frolla appare dorata e il ripieno compatto. Lasciare raffreddare completamente prima di sformare e tagliare a fette.

La Torta nera di San Secondo può essere servita semplice, tagliata a fette, oppure accompagnata da un velo di zucchero a velo o da una leggera glassa al cioccolato per occasioni speciali. Il contrasto tra la frolla croccante e il ripieno morbido e aromatico rende ogni fetta un’esperienza completa.

Per esaltare il gusto intenso e complesso della torta:

  • Bevande calde: un caffè espresso o un caffè lungo valorizzano le note del cacao e del caffè nel ripieno.

  • Vini da dessert: un Passito di Malvasia o un Vin Santo creano un abbinamento armonico con la dolcezza delle mandorle e la nota amara del cacao.

  • Liquori aromatici: rum chiaro, grappa giovane o liquore all’amaretto possono completare il gusto della fetta, sottolineando le sfumature tostate e speziate della farcia.

La Torta nera di San Secondo offre ampi margini di personalizzazione senza snaturare la ricetta originale. Alcune varianti prevedono:

  • Aromatizzare la pasta frolla con rum o anice per un tocco speziato.

  • Sostituire parte delle mandorle con noci, per un sapore più intenso e terroso.

  • Aggiungere amaretti sbriciolati o fondi di caffè nel ripieno, aumentando complessità e texture.

  • Servire con un velo di cioccolato fondente temperato o una spolverata di cacao amaro per un effetto più scenografico.

La Torta nera di San Secondo rappresenta un esempio chiaro di come una ricetta relativamente recente possa entrare rapidamente nella tradizione locale, grazie al sapore distintivo e alla capacità di adattarsi a occasioni festive e sagre. La combinazione di pasta frolla delicata, farcia intensa a base di cacao, caffè e mandorle, e le possibili varianti aromatiche, rendono questo dolce versatile e apprezzabile sia dagli amanti dei sapori classici sia da chi cerca contrasti più complessi.

Preparare la torta a casa richiede attenzione nella gestione della frolla e del ripieno, ma il risultato finale ripaga con una fetta ricca di profumi, consistenze e aromi che raccontano la storia di un territorio e la creatività dei pasticceri emiliani. La Torta nera di San Secondo non è solo un dolce, ma una testimonianza di come tradizione e innovazione possano incontrarsi, dando vita a una specialità amata e riconosciuta a livello regionale.


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Torta Setteveli: l’eleganza del cioccolato e della nocciola


Nel panorama della pasticceria contemporanea, pochi dolci riescono a coniugare complessità tecnica, equilibrio dei sapori e riconoscibilità immediata come la Torta Setteveli. Questo dessert, frutto dell’ingegno di tre maestri italiani, è diventato un punto di riferimento internazionale, celebrato non solo per la sua struttura a più strati ma anche per la capacità di esprimere armonia tra ingredienti di alta qualità: cioccolato, nocciole e gianduia.

La Torta Setteveli nasce nel 1997 dalla collaborazione di tre pasticceri italiani: Luigi Biasetto di Padova, Cristian Beduschi di Belluno e Gianluca Mannori di Prato. La creazione del dolce ha coinciso con la partecipazione della squadra italiana alla prestigiosa competizione internazionale Coupe du Monde de la Pâtisserie a Lione, dove la Setteveli contribuì alla vittoria del team.

Secondo gli ideatori, la torta è stata pensata per rappresentare le qualità femminili, un concetto espresso attraverso l’equilibrio tra delicatezza e struttura, morbidezza e croccantezza, dolcezza e intensità aromatica. Ogni elemento della torta ha un ruolo preciso, dalla base soffice alle mousse setose, fino agli strati di cioccolato che conferiscono eleganza e carattere.

La diffusione della Setteveli è internazionale, pur mantenendo una forte connotazione italiana. Sebbene alcune repliche siano state create in altre regioni – come la Sicilia – la ricetta originale è tutelata da segreto aziendale e marchio registrato, a sottolineare la cura e l’innovazione dietro ogni dettaglio della preparazione.

La Torta Setteveli si distingue per la sua architettura a più strati: sette elementi che si alternano tra consistenze morbide, croccanti e leggere mousse. I principali ingredienti sono:

  • Pan di Spagna alle mandorle pugliesi, privo di farina tradizionale, che conferisce leggerezza e struttura al dolce.

  • Mousse di nocciole del Piemonte, dalle note intense e tostate, che garantisce cremosità e sapore deciso.

  • Cioccolato Madagascar, scelto per la sua aromaticità intensa e per le note fruttate tipiche di questa origine.

  • Gianduia croccante ai cereali, che aggiunge un contrasto di texture e un tocco di fragranza.

Il risultato è un dolce elegante, capace di sorprendere non solo visivamente ma anche al palato, dove ogni strato mantiene il suo carattere pur fondendosi armoniosamente con gli altri.

Ingredienti per la ricetta originale

Per una torta da circa 8-10 porzioni:

  • 150 g di mandorle pelate

  • 100 g di zucchero a velo

  • 4 uova intere

  • 150 g di cioccolato fondente Madagascar

  • 200 g di nocciole del Piemonte

  • 200 ml di panna fresca

  • 150 g di gianduia croccante ai cereali

  • 50 g di burro

  • 1 cucchiaio di zucchero semolato per montare le uova

Preparazione passo passo

  1. Base di Pan di Spagna alle mandorle: tostare le mandorle e frullarle finemente. Montare le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto spumoso. Incorporare delicatamente le mandorle tritate e mescolare per ottenere un impasto uniforme. Versare in una teglia foderata e cuocere a 180 °C per circa 20 minuti. Lasciare raffreddare.

  2. Crema bavarese alla nocciola: tritare le nocciole e tostare leggermente. Sciogliere il cioccolato bianco a bagnomaria e mescolarlo alle nocciole frullate fino a ottenere una pasta liscia. Montare la panna fresca a parte e incorporarla delicatamente al composto di nocciole e cioccolato bianco, ottenendo una mousse vellutata.

  3. Mousse al cioccolato fondente Madagascar: sciogliere il cioccolato a bagnomaria. Montare leggermente la panna e unirla al cioccolato fuso raffreddato, mescolando con delicatezza per non smontare la mousse.

  4. Fondo croccante di gianduia ai cereali: sciogliere la gianduia a bagnomaria con il burro e incorporare i cereali tritati grossolanamente. Stendere il composto in uno strato uniforme su carta forno e lasciare raffreddare fino a solidificazione.

  5. Assemblaggio: posizionare il Pan di Spagna come base. Alternare gli strati di mousse al cioccolato, bavarese di nocciole e gianduia croccante, cercando di distribuire uniformemente gli strati e livellare la superficie. Terminare con una sfoglia di cioccolato fondente temperato per ottenere un effetto lucido e uniforme.

  6. Raffreddamento e maturazione: lasciare la torta in frigorifero per almeno 4-6 ore prima di servire. Questo passaggio è fondamentale per permettere agli strati di compattarsi e ai sapori di amalgamarsi.

La Torta Setteveli può essere servita con decorazioni leggere, come scaglie di cioccolato fondente o nocciole tostate, evitando eccessi che compromettano la pulizia visiva. Tagliata in fette regolari, mostra i sette strati che caratterizzano il dolce, invitando chi lo osserva ad assaporarne le consistenze diverse: dal croccante della gianduia alla morbidezza della bavarese, fino al gusto pieno e intenso della mousse fondente.

Per esaltare le note complesse della Setteveli, si possono considerare diverse combinazioni:

  • Vini dolci e liquorosi: un passito siciliano o un Vin Santo toscano bilanciano la dolcezza del cioccolato e delle nocciole, offrendo un contrasto piacevole e armonico.

  • Caffè o espresso: la tostatura e l’amaro delicato del caffè si sposano perfettamente con le note intense della mousse fondente.

  • Liquori aromatici: un calice di grappa o di rum speziato può accompagnare la fetta di torta, sottolineando le sfumature tostate e fruttate del cioccolato Madagascar e delle nocciole piemontesi.

La Torta Setteveli rappresenta un punto di incontro tra tecnica pasticcera e gusto raffinato. Ogni strato è pensato per offrire un’esperienza sensoriale unica, dove consistenze e aromi si equilibrano con precisione. La sua nascita come dolce di competizione internazionale, premiato alla Coupe du Monde de la Pâtisserie di Lione, testimonia l’elevato livello di abilità richiesto per realizzarla, ma la sua diffusione internazionale dimostra come un dolce ben progettato possa diventare apprezzato anche fuori dai contesti professionali.

Preparare la Setteveli a casa richiede pazienza e precisione, ma il risultato ripaga con un dessert elegante e complesso, capace di sorprendere sia visivamente sia al palato. La scelta degli ingredienti, la cura nella preparazione e la presentazione finale trasformano questo dolce in un’esperienza che celebra la pasticceria italiana e l’attenzione ai dettagli, dalla selezione delle nocciole piemontesi al cioccolato di origine Madagascar.


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Treccia mochena: storia e sapori di un dolce trentino


Nel cuore delle valli trentine, tra boschi di conifere e montagne innevate, si trova la Valle dei Mocheni, territorio noto per la sua lingua, le sue tradizioni e una gastronomia che unisce cultura mitteleuropea e creatività locale. Tra le specialità che oggi attirano l’attenzione dei visitatori c’è la Treccia mochena, un dolce dall’aspetto elegante e dal gusto avvolgente, caratterizzato da una pasta lievitata intrecciata e farcita con crema pasticcera e marmellata di mirtilli.

Pur evocando una lunga tradizione, la Treccia mochena è, in realtà, una creazione moderna, frutto di una reinterpretazione artigianale che ha saputo inserirsi nelle abitudini gastronomiche della valle. La sua storia dimostra come la tradizione possa essere dinamica, capace di accogliere innovazioni senza perdere la propria identità.

A dispetto del nome, la Treccia mochena non ha origini antiche nella cucina popolare della valle. Non compare nei ricettari storici né nella memoria delle famiglie locali, e gli ingredienti utilizzati – crema pasticcera, marmellata di mirtilli, burro e uova – non erano propriamente comuni nella tradizione gastronomica mochena, storicamente più legata a prodotti da forno semplici, formaggi e conserve.

Il dolce è stato reinventato dal panificio Osler di Canezza, chiuso nel 2012, sulla base di una presunta “antica ricetta locale”, senza che vi siano prove documentali della sua esistenza storica. Nonostante la contestata autenticità, la Treccia mochena è stata gradualmente accettata dalla comunità, fino a ottenere il riconoscimento ufficiale come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.), simbolo della capacità di una cultura locale di adattarsi e rinnovarsi.

Questa trasformazione mette in luce un fenomeno interessante: un dolce può entrare a pieno titolo nella tradizione di un territorio non perché sia antico, ma perché conquista il favore di chi lo prepara e lo consuma. La Treccia mochena, pur recente, è diventata parte della cultura culinaria trentina, proposta nelle pasticcerie locali e nelle occasioni festive.

La Treccia mochena si distingue per la sua forma intrecciata, simile a una treccia di pane dolce, e per la consistenza soffice dell’impasto. La pasta lievitata è lavorata con farina, burro, zucchero, uova e latte, risultando elastica e delicata. La farcitura interna combina crema pasticcera vellutata e marmellata di mirtilli, creando un contrasto di dolcezza e acidità che bilancia il sapore complessivo del dolce.

La superficie dorata e lucida è spesso decorata con strisce di pasta incrociate, richiamando l’aspetto di una treccia classica. Questa presentazione non è solo estetica: consente di mantenere compatto il ripieno durante la cottura e conferisce al dolce una piacevole texture che alterna morbidezza e leggerezza.

Ingredienti principali

  • 500 g di farina 00

  • 200 ml di latte tiepido

  • 80 g di burro morbido

  • 100 g di zucchero

  • 2 uova intere

  • 10 g di cubetto di lievito di birra fresco

  • 250 g di crema pasticcera pronta

  • 150 g di marmellata di mirtilli

  • un pizzico di sale

  • scorza grattugiata di limone non trattato (facoltativa)

Preparazione passo passo

  1. Preparare l’impasto: sciogliere il lievito nel latte tiepido con un cucchiaino di zucchero e lasciare riposare per circa 10 minuti. In una ciotola capiente unire la farina setacciata, lo zucchero restante e il sale. Incorporare le uova, il burro ammorbidito e il latte con il lievito, lavorando l’impasto fino a ottenere una consistenza liscia ed elastica.

  2. Lievitazione: coprire l’impasto con un panno pulito e lasciarlo lievitare in un luogo tiepido per circa 1-2 ore, fino a quando raddoppia di volume.

  3. Stendere e farcire: su una superficie leggermente infarinata stendere l’impasto in un rettangolo di circa 40x30 cm. Distribuire uniformemente la crema pasticcera lasciando un bordo libero sui lati. Sovrapporre la marmellata di mirtilli, distribuendola in strisce sottili lungo la lunghezza del rettangolo.

  4. Formare la treccia: tagliare l’impasto lungo i bordi laterali a strisce oblique di 2-3 cm. Piegare le strisce centrali verso l’interno alternandole sopra il ripieno, intrecciandole delicatamente fino a formare la tipica treccia. Sigillare bene le estremità.

  5. Seconda lievitazione: trasferire la treccia su una teglia foderata con carta forno e lasciarla lievitare per altri 30 minuti, coperta da un panno.

  6. Cottura: preriscaldare il forno a 180°C e cuocere per 30-35 minuti, fino a ottenere una doratura uniforme. Lasciare raffreddare completamente prima di tagliare e servire.

La Treccia mochena si apprezza meglio a temperatura ambiente, tagliata in fette regolari che mostrino il contrasto tra pasta soffice e ripieno colorato. Per esaltarne ulteriormente l’aspetto, si può spolverare leggermente con zucchero a velo o decorare la superficie con mandorle affettate.

Per valorizzare al meglio i sapori del dolce, è possibile accostarlo a diverse bevande e preparazioni:

  • Bevande calde: tè neri aromatici, infusi ai frutti di bosco o un classico caffè espresso.

  • Vini da dessert: un Moscato Rosa dell’Alto Adige o un passito leggero completano la dolcezza della crema e l’acidità dei mirtilli.

  • Bevande alcoliche: una grappa giovane trentina o un liquore alla frutta possono essere serviti in piccole quantità per chi cerca un contrasto deciso.

La Treccia mochena è versatile: può accompagnare una colazione festiva, una merenda o essere servita come dessert dopo un pranzo di famiglia, rappresentando un elemento di condivisione e convivialità.

La Treccia mochena illustra in maniera chiara come una ricetta recente possa inserirsi nelle tradizioni di una regione. Pur non essendo presente nella memoria storica della Valle dei Mocheni, è diventata un dolce riconosciuto e apprezzato, capace di raccontare la creatività e l’adattamento culturale del territorio. La combinazione di pasta lievitata, crema pasticcera e marmellata di mirtilli offre un equilibrio di sapori che conquista chiunque la assaggi, rendendo la Treccia mochena un dolce che unisce storia, gusto e convivialità.

Prepararla significa non solo realizzare un dessert, ma anche partecipare a un piccolo rito contemporaneo che celebra la gastronomia trentina, la passione artigianale e la capacità della comunità di accogliere novità senza perdere il senso di appartenenza.


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