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Perché il panettone si chiama così?

Perché il panettone si chiama così?



Lo spiega una leggenda, praticamente deriva dalla frase Pan di Toni.

Il panettone è uno dei dolci tipici del Natale, ma pochi conoscono la sua vera storia. In realtà le origini di questa delizia si perdono nel tempo e la nascita del panettone è legata a numerose leggende. La più famosa narra che il panettone sarebbe nato alla corte di Ludovico il Moro, signore di Milano nel lontano XV secolo. Era la Vigiliaa di natale quando, in occasione del banchetto, il cuoco ufficiale della famiglia Sforza bruciò inavvertitamente un dolce. Per recuperare la situazione Toni, lo sguattero che lavorava in cucina, decise di utilizzare un panetto di lievito che aveva tenuto da parte per Natale. Lo lavorò aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un impasto particolarmente lievitato e soffice.

Il dolce venne apprezzato così tanto che la famiglia Sforza decise di chiamarlo 'pan di Toni" da cui deriverà nei secoli a venire il termine “panettone”. Questa però non è l’unica leggenda legata a tale dolce natalizio, perché secondo altre storie ad inventarlo sarebbe stata suor Ughetta oppure Ughetto degli Atellani.

L’unica certezza è che il panettone è nato nel medioevo ed è legato alla tradizione, che vigeva all’epoca, di preparare in occasione del Natale dei pani molto ricchi, che venivano serviti dal capofamiglia ai commensali.
Per gli storici le prime prove documentali sull’esistenza del panettone risalgono al 1606. In quel periodo infatti il Dizionario milanese-italiano parla del “panaton de danedaa”. A quell’epoca era molto basso e non lievitato, simile al pandolce di Genova. Nell’Ottocento la ricetta venne perfezionata e il dolce prese il nome di “panattón o panatton de Natal”.

La forma attuale del panettone venne infine ideata negli anni Venti, quando Angelo Motta, prendendo ispirazione dal kulic, un dolce ortodosso che si mangia a Pasqua, decise di aggiungere nella ricetta anche il burro e di avvolgere il dolce nella carta paglia rendendolo come lo vediamo oggi.


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Cos'è la cottura alla cieca o cottura in bianco e come si fa?

È una cottura in due fasi che si usa per certe torte salate o crostate, ad esempio quelle con crema pasticcera da forno o altre creme a base di uova.

Nella prima fase si porta la cottura del guscio di frolla a metà, e per evitare che la base si deformi si riempie con riso o fagioli… per questo motivo si chiama "alla cieca" perché non vedi il fondo.

Nella seconda fase la base si porta a cottura completa con la crema dentro. La crema deve essere ancora abbastanza liquida, perché la sua cottura si completerà in forno.

A cosa serve spezzare il processo in due fasi? Nella prima fase ci assicuriamo la cottura completa della frolla, che è più lunga e necessita un ambiente più "arieggiato". Nella seconda fase completiamo la cottura della crema a base di uovo (versata liquida si stende meglio) ma senza avere quel retrogusto di frittata tipico delle creme troppo cotte.

Ecco qui la foto di uno dei miei cavalli di battaglia, la tarte aux pommes alla francese, un tipo di crostata che richiede la cottura alla cieca… perché sotto le mele c'è uno strato di crema pasticcera!!




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Laciada

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La laciada è una ricetta tipica lombarda, diffusa in tutto il territorio comasco. Sebbene sia propriamente una merenda, può essere anche considerata un dolce. È una frittella composta da latte, farina bianca, sale, olio (solitamente di semi), zucchero. Si tratta di una variante povera di un'altra ricetta tipica, la cutizza, in cui all'impasto si aggiungono uova e scorza di limone.



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Lingue di gatto

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Le lingue di gatto sono biscotti della tradizione europea che accompagnano spesso creme, macedonie e gelati.
La loro forma stretta ed allungata ricorda la lingua di un gatto. In Italia si trovano comunemente nelle pasticcerie e nei forni. A differenza di altri paesi, come Germania e Austria, la ricetta italiana non prevede l'uso di cioccolato. Esiste una variante chiamata "Lingue feline arrotolate", sono lingue di gatto arrotolate appena uscite dal forno (quando sono ancora morbide) e riempite di crema di cioccolato.

Ricetta
Ingredienti
  • 100 g di burro
  • 100 g di farina 00
  • 100 g di albumi
  • 100 g di zucchero

Procedimento
Lasciare ammorbidire il burro un paio d'ore fuori dal frigorifero e montare 2 albumi a neve. Lavorare con un cucchiaio di legno il burro, lo zucchero e la vaniglina fino ad ottenere un impasto omogeneo e cremoso, aggiungere l'albume rimasto, mescolare e versare la farina a setaccio. Per ultimo incorporare gli albumi montati a neve. Con l'aiuto di una siringa da pasticcere formare delle striscette di 5 o 6 cm su una placca ricoperta di carta forno. Cuocere a 200 °C per pochi minuti (i bordi devono colorarsi).



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Lonzino di fico



Il lonzino di fico anche chiamato lonza di fico, lonzetta di fico o salame di fico è un dolce tipico marchigiano, prodotto principalmente nella provincia di Ancona.
Il lonzino di fico è riconosciuto prodotto agroalimentare tradizionale delle campagne marchigiane dove un tempo si coltivavano fichi in grande abbondanza e che erano divenuti una vera rarità: per salvaguardare e rilanciare questa produzione tradizionale nel 1999, Slow food ha deciso di costituire un Presidio.


Caratteristiche

Di forma cilindrica con una lunghezza tra 15 e 20 centimetri e circa 6 di diametro, si presenta avvolto da foglie di fico legate con fili proprio come una lonza. Al taglio il prodotto mostra un colore bruno-dorato con inserti chiari di frutta a guscio disseminati nella pasta. Il sapore è gradevole e dolce, si percepisce nettamente il gusto del fico essiccato, con un forte sentore di frutta a guscio.


Metodo di ottenimento

Si ottiene macinando insieme fichi "dottati" oppure "brogiotti", seccati, con piccoli pezzi di noce, mandorle, semi di anice stellato e spesso anche pezzetti di cedro. Talvolta può essere aggiunta della sapa o del mistrà. L'impasto così ottenuto viene modellato finché non assume la forma di una lonza e viene poi avvolto nelle foglie.
Il lonzino va degustato a fine pasto, tagliato a fettine o accompagnato con un formaggio abbastanza stagionato e abbinandolo a un vino passito.



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Baxin d'Albenga

Baxin.jpg

Il Baxin d'Albenga è un dolce tipico della zona albenganese, in Liguria. Sono dei dolci fatti con farina e zucchero e aromatizzati da chiodi di garofano, cannella, e scorza di limone.
È un dolce molto antico, già in epoca settecentesca veniva prodotto e venduto dai frati benedettini liguri. L'origine dei Baxin si perde nel passato. Sono nati da un errore di ricetta di un altro dolce simile, attorno appunto alla fine del Settecento.
I Baxin sono composti da pochi ingredienti. Non contengono burro, uova, conservanti. La loro semplicità li ha resi abbastanza famosi. Il loro aroma risulta di zucchero, miele, limone, con un accento marcato di finocchio selvatico.
I Baxin possono essere accompagnati con vino bianco, rosso oppure marsalato.

Vengono comunemente scambiati coi Baci di Alassio, cui differiscono in tante caratteristiche. I Baci di Alassio sono costituiti infatti da farina di nocciole e cioccolato, e hanno un colore nero, a differenza dei Baxin che sono bianco-giallognoli.


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Perché molti detestano il periodo natalizio?

 




Perchè è una pagliacciata di convenzione sociale in cui tutti diventano frenetici e isterici che sembra debba finire il mondo… una recita in cui tutti fanno finta di fare qualcosa animati da uno spirito positivo mentre invece lo fanno solo perchè devono… una cosa che ormai ha perso qualunque significato… personalmente poi, io ho sempre lavorato durante il periodo natalizio e ho sempre avuto a che fare con una marea di gente che (essendo a casa) veniva in preda all'isterismo, quindi arrivavo al 2 gennaio completamente distrutto e immediatamente ricominciava tutto da capo… inoltre si sono chiuse 2 relazioni importanti durante il periodo natalizio, dunque ragione in più per avere solo ricordi negativi legati a questo periodo… per non parlare del freddo e del buio alle 4 del pomeriggio, io che adoro l'estate e vivrei al mare con 30° tutto l'anno… veramente detesto questo periodo.


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Lu serpe

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La Serpe, anche chiamata Lu serpe o il serpe è un dolce natalizio tipico marchigiano, noto in particolare nel fermano e nel maceratese, composto da una frolla esterna ed un ripieno di cioccolato, estesi in modo da ricordare la forma di un serpente.
Questo dolce è preparato in modo del tutto artigianale seguendo due varianti principali: nella prima è di colore bianco (versione tipica del paese di Monte San Pietrangeli e dintorni), nella seconda è di colore scuro (versione tipica del paese di Falerone e dintorni). È tipico anche della cittadina di Cingoli.

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Macafame

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Il Macafame (anche chiamato Maccafame o Bacafame) è una preparazione solitamente dolce tipica della zona di Vicenza a base di ingredienti “poveri” come pane, latte, uova e miele.
Come il nome stesso fa intuire "ammacca la fame" perché una fetta è più che sufficiente per una colazione o un corposo spuntino.
Cotto nelle stufe delle case contadine e venduto nelle osterie, il dolce nasce principalmente dall'esigenza di un ambiente rurale povero di utilizzare gli avanzi al meglio, ed è preparato in numerose varianti: si possono aggiungere svariati ingredienti come ad esempio uvetta, mandorle, nocciole, pinoli o gocce di cioccolata.



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Maccheroni con le noci



I maccheroni dolci con le noci, nella cucina viterbese e umbra, sono un tipico dolce festivo natalizio (dalla vigilia di Natale all'Epifania), talvolta preparato anche per Tutti i Santi e per la festa dei Morti.
Si tratta di una normale pastasciutta condita, però, in modo da avere un deciso sapore dolce e da consumarsi fredda. Può essere pasticciata oppure compressa in una sorta di timballo preparato quando la pasta è ancora molto calda.
Viene preparata con maltagliati, lasagne, reginette, strangozzi o con una pasta comunque lunga non all'uovo. Dopo la lessatura si condisce con un impasto a base di gherigli di noci tritati, pangrattato, zucchero e cannella a cui si possono aggiungere rum, mistrà o cacao.
Presenti anche nella cucina marchigiana, sono però tipici della Tuscia, dove vengono conditi, oltre ai prodotti di base già detti, anche nei modi più fantasiosi, p.es. con pane al miele o ciambelline al vino grattati, scaglie di cioccolato fondente, caramelline decorative ecc. Il durissimo pane al miele, di più antica tradizione e appositamente preparato con farina, olio d'oliva e miele quanto basta ad ottenere un impasto, ha oggi un uso più limitato rispetto alle ciambelline e sono state introdotte anche paste lunghe all'uovo.




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Mandorla riccia di Francavilla Fontana


La Mandorla riccia di Francavilla Fontana è un dolce prodotto esclusivamente nel territorio del comune di Francavilla Fontana, riconosciuto Prodotto Agroalimentare Tradizionale pugliese dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Inoltre nel 1912 ha meritato la Medaglia d'Oro alla "Fiera dei Sapori" di Parigi e da allora, soprattutto in questi ultimi anni, gli artigiani francavillesi auspicano di ottenere ulteriori e maggiori riconoscimenti per la qualità e genuinità del loro prodotto.
La ricetta è stata recentemente registrata con atto pubblico e otterrà a breve la denominazione d'origine.


Caratteristiche

Si tratta di un dolce di mandorle dure dolci di 1º grado, dalla forma ovoidale, riccia, della grandezza di circa 2 cm, di colore bianco. Ha un sapore dolce ed una consistenza tenera all'esterno e più dura all'interno.


Preparazione

Si fanno dorare le mandorle in teglia, nel forno a legna. Ancora calde si incamiciano di zucchero oscillandole per 1 ora. Si ottiene la ricciatura oscillandole ancora per 2 ore. Infine si versa la glassa con aggiunta di limone e vaniglia.
È preferibile conservare le mandorle ricce in vasetti di vetro o di ceramica a chiusura ermetica.

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Mandorlato

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Il mandorlato è un dolce prodotto nella zona di Cologna Veneta, tipico delle feste natalizie, prodotto con quattro ingredienti: miele, zucchero, albume d'uovo e mandorle.


Storia

Non è nota la data certa dell'invenzione di questo dolce. È credibile che il mandorlato fosse conosciuto ed apprezzato già al tempo della Serenissima Repubblica: Cologna (dal 1406 al 1797) era considerata parte integrante del 'Dogado' veneziano. Un primo riferimento al mandorlato è contenuto nel testo di Lodovico Dolce nel 1540. Così come nel 1564 un nobile vicentino della famiglia Monza lasciava scritto, nel suo ‘libro-giornale', di aver speso «A dì 21 decembrio, L. 4 e s. 16 in quattro scatole de mandolàto». Alvise Zorzi, scrittore e nobile veneziano, scriveva nel suo libro: La vita quotidiana a Venezia nel secolo di Tiziano: «Nel Cinquecento c'erano altri doni consuetudinari: la focaccia del giorno di Pasqua, il Mandorlato e la mostarda di Natale, i marroni e la cotognata del giorno di S. Martino».
L'autore riferisce che tale notizia proviene da quanto riportava Pompeo G. Molmenti nella sua Storia di Venezia nella vita privata... che a sua volta riprendeva quanto aveva esposto Samuele Romanin, in una nota, nella sua Storia documentata di Venezia: Avea certi cibi in giorni segnalati, come le anguille, il salmone, i cavoli crespi, la mostarda, il mandorlato alla sera della vigilia di Natale; le paste dette raffioli, la gallina d'India, il fior di latte (panna) negli ultimi giorni di Carnovale; la cece il primo giorno di quaresima; l'agnello e la focaccia a Pasqua, l'anitra al primo d'agosto, la pasta detta le fave il dì de' morti ecc. Caratteristica che distingue il mandorlato dagli altri tipi di torrone è l'estrema durezza e friabilità. Queste caratteristiche sono descritte già in una lettera, del 1778, che racconta di un episodio occorso ad un ex-Gesuita. Giulio Cardo, altro noto storico colognese, così annotava: «sec. XIX - Finco dr. Antonio di Giovanni Battista, fu uomo molto versato nella scienza, specialmente nella chimica e nella botanica. Inventò una ricetta con cui si confeziona, ancor oggi, una qualità di Mandorlato ricercatissimo».
La produzione moderna del mandorlato ha avuto inizio nel 1852 con Italo Marani. Nel 1905 il Mandorlato arrivò anche dentro le mura leonine di Roma, nelle mani del Santo Padre Pio X; il fatto è testimoniato da una lettera di ringraziamento che mons. Giovanni Bressan - segretario particolare di Sua Santità - inviava al colognese Garzotto Rocco. La notizia la si trova nella pubblicazione Cologna Veneta: storia, arte, testimonianze - in Appendice - di Leone Simonato. Oggi sono diverse le ditte che lo producono, sia industrialmente che artigianalmente. La presenza sia in Spagna che in Sicilia di dolci con i medesimi ingredienti (zucchero, miele, albume d'uovo e mandorle), ma con modalità di cotture molto differenziate lascia trasparire che potrebbe trattarsi di rielaborazione di antiche ricette arabe; nei luoghi conquistati o frequentati hanno sicuramente lasciato tracce delle loro tradizioni gastronomiche.


Ingredienti e ricetta

Quattro sono gli ingredienti tipici per la sua fabbricazione: mandorle, miele, zucchero e albume d'uovo. Il dosaggio e la precisa osservanza degli intervalli stabiliti per immettere i vari ingredienti, sono indispensabili; nel calderone vanno inseriti con il seguente ordine: miele, zucchero, albume e le mandorle, senza dimenticare, infine, la temperatura che deve essere costante per tutte le otto ore circa occorrenti per una perfetta cottura. Di seguito la ricetta artigianale completa di una delle più antiche famiglie produttrici di mandorlato di Cologna Veneta: "riscaldare il miele a fuoco moderatissimo, sempre rimescolando per circa trenta minuti, lasciare intiepidire per altri trenta minuti, aggiungere una parte degli albumi montati a neve. Far riposare e riscaldare. Ripetere l'operazione con l'altra parte degli albumi montati a neve. Aggiungere le mandorle. Mescolare molto bene e poi versare in un recipiente basso e largo, foderato di cialde (ostie) bianche. A freddo, si spacca a pezzetti."



La festa del mandorlato

Cologna Veneta, ogni anno - a dicembre - in concomitanza con la festa dell'Immacolata Concezione festeggia con una propria fiera la produzione pluricentenaria di questo dolce tipico. L'anno 2014 ha visto la 30ª Festa del Mandorlato.



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Il gelato è nato da un errore?

 


No, il gelato è la stratificazione di esperienze diverse maturate nel corso di alcuni secoli da individui diversi. Ognuna di esse rappresenta un tassello, ma nessuno di questi passaggi deve essere considerato frutto del caso. Inoltre la vera differenza (almeno in origine) era data dalla artificialità del prodotto, diversamente dobbiamo considerare che anche i Neanderthal mangiassero ghiaccio aromatizzato (sorbetto), un antenato del gelato.




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Come è nato il dolce "bûche de Noël" e cosa significa?




La tradizione voleva che si prendesse un tronco o un ramo grosso, in modo che potesse durare, bruciando, il più possibile, veniva scelto da alberi come il ciliegio, il castagno o l’olivo. La preparazione seguiva un rituale preciso, tagliato al levar del sole, veniva decorato con foglie e bacche. Veniva benedetto dal capo famiglia e doveva essere acceso dal più giovane in famiglia, ma il rituale poteva variare da regione a regione in Francia. Doveva bruciare lentamente e durare al limite tutta la notte di Natale. La tradizione è oggigiorno rievocata con il dolce. Come bruciava, il colore delle fiamme potevano avere diversi significati. Le sue ceneri mescolate con vino, sale e miele, come pure con l’acqua benedetta, serviva come portafortuna, come protezione contro il maltempo, per fertilizzare il terreno o per attirare la prosperità. Spariti i camini e con la vita di città la tradizione è andata in disuso. È difficile collocare la data della sua creazione,la storia vuole che un maitre chocolatier di Parigi l’abbia creato nel 1834, ma si attribuisce anche ad un pasticcere di Lione nel 1860. Altri dicono che sia atato un pasticcere Antoin Caradot nel 1879 in rue di Buci a Parigi, altri il pasticcere di Carlo III di Monaco, Pierre Lacam nel 1898. Comunque sia, il dolce simbolizza e sostituisce il tronco il legno, in Francia questi tronchi natalizi erano anche confezionati con della génoiese, la pasta genovese simile al pan di spagna nostrano.

Il dolce è il classico tronco, o tronchetto, da pasticceria, in francese Bûche de Nöel o gâteau roulé, la base è il biscuit roulé che viene sagomato e ricoperto in modo da simulare un tronco d’albero. Il tronco si prepara partendo da un biscuit, o pasta biscotto, che viene stesa su una teglia larga e cotta in forno. La pasta biscuit fa parte delle masse montate, cioè quegli impasti in cui si ingloba aria montandoli con le fruste elettriche o,ancora meglio, con la planetaria,per ottenere una pasta soffice ed alveolata. È la proporzione di zucchero, uova e farina determina le categorie di masse sbattute: pesanti, medie e leggere. La struttura varia in base alla percentuale di liquidi presenti (uova) o di polveri (farina, polvere di frutta secca, come farina di mandorle o pistacchi...). Per esempio una massa montata pesante avrà una quantità inferiore di liquidi e, di conseguenza, più farina. Il biscuit appartiene alle masse leggere, per fare un confronto è più leggero del pan di spagna. Gli ingredienti sono quindi uova, farina e zucchero, nel biscuit su 1 kg di uova si aggiunge la metà di questo peso in zucchero, e circa ¼ del peso delle uova in farina, si montano in planetaria per 6-8 min e si stende con una spatola su una teglia antiaderente o su cui si è messa della carta da forno. e si cuoce in forno a circa 180 gradi per 12 minuti circa. Poi a seconda delle esigenze si possono aggiungere dei tuorli, o montare sepatamente tuorli ed albumi, ma la base è quella.

Il dolce si prepara stendendo la farcitura sul biscuit che può essere una classica crema pasticcera al cioccolato o una ganache. Si arrotola su se stesso il biscuit in modo da dargli la forma di un tronco, la ricopertura può avvenire con glassa al cioccolato o anche più semplicemente con una ganache al cioccolato.


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Qual è l'origine dei marshmallow?

Morbidi al tatto, di forma cilindrica, evoluzione di un dessert amato persino dagli antichi Egizi.



Il nome marshmallow nasce dalla combinazione delle parole inglesi marsh, acquitrino, e mallow, malva. Questa pianta nasce proprio in terreni che costeggiano acque stagnanti. La sua radice era usata nell’antico Egitto per creare dei dolci da offrire alle divinità, ai nobili e ai faraoni.



Furono gli Egizi a creare il primo marshmallow, mettendo insieme una mistura di linfa di malva, miele e cereali, cotti in forno. Successivamente i Greci e i Romani introdussero la malva nelle loro tradizioni culinarie, il primo marshmallow della storia è stato creato dagli egizi con malva, miele e cereali aggiungendo anche una credenza: il mix creato con la malva poteva curare dolori e mal di gola. Tra i sostenitori di questa teoria c’era anche Ippocrate. In Francia, durante l’Ottocento, l’uso della pianta di malva cambiò. Da medicinale divenne l’ingrediente per creare gustosi dolcetti per adulti. Si scoprì che cuocendo e montando la linfa di malva con degli albumi e sciroppo di mais, si riusciva ad ottenere una pasta modellabile. Fu così che l’umanità salutò in Europa – e non in America – la nascita dei marshmallow, chiamati allora Pâte de Guimauve. Col tempo, per creare una preparazione più stabile, i produttori di caramelle francesi rimpiazzarono la linfa di malva con della gelatina, che li aiutava a creare marshmallow più stabili.



Nel 1948 Alex Doumak standardizzò il processo di lavorazione dei marshmallow, rendendolo più veloce. Seguendo la tradizione francese, la malva veniva ancora lavorata a mano e ci voleva da uno a due giorni per creare le morbide spume. Quel processo inventato dal signor Doumak negli Stati Uniti è quello usato ancora oggi: gli ingredienti del marshmallow vengono estrusi, mixati creando un grande tubo di impasto, poi tagliati e impacchettati. Ed è nel Nuovo Mondo che trovano il successo, conquistando anche una città simbolo: la capitale dei marshmallow è Ligonier, Indiana.



I moderni marshmallow sono fatti con zucchero, acqua, aria e un agente montante, solitamente una proteina in forma di gelatina. Alcuni brand, per replicare l’effetto nostalgia, usano la radice di malva in polvere. Per i vegani, la gelatina è sostituita con l’agar. I marshmallow possono essere kosher solo se la componente gelatinosa deriva da un animale ucciso secondo i precetti religiosi ebraici. Ogni brand ha la sua formula specifica per produrre il marshmallow perfetto.



Ci sono diversi modi di mangiare i marshmallow e, per chi non è nato e cresciuto in America, ci sono stati insegnati e tramandati dalla TV. Ad esempio in The Big Bang Theory, Sheldon mangia piccoli marshmallow nella cioccolata calda. La Boyer, azienda dolciaria americana, è stata la prima negli anni Trenta ad accostare i dolcetti morbidi al cioccolato, vendendoli avvolti in pirottini di carta (per i nostalgici, sono ancora in vendita).



Nelle strisce dei Peanuts i marshmallow sono la componente fondamentale dei pasti intorno al fuoco di Snoopy e della sua compagnia scout composta da Bill, Conrad, Harriet e Oliver, gli amici del piccolo uccello giallo Woodstock. Il traduttore Franco Cavallone inventò il termine toffolette per tradurre l’intraducibile termine americano e introdurre anche nella nostra cultura l’uso più tradizionale dei marshmallow: cotti sul fuoco per essere mangiati da soli. Nel testo della celebre canzone dei Beatles, Lucy in the Sky with Diamonds, si parla di una marshmallow pie. Si tratta di una ricetta facilissima da realizzare, a cui si possono aggiungere anche dei cookies al cioccolato.



I marshmallow sono uno degli ingredienti dello s’more, sandwich dolce in cui il cilindretto di zucchero scaldato viene pressato tra due biscotti di cioccolato sottili.


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Mandorlini del ponte

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I mandorlini del ponte (mandurlin dal pont in dialetto ferrarese) sono un dolce tipico di Pontelagoscuro, frazione di Ferrara. Come suggerito dal nome, sono dolcetti a base di mandorle, albume d'uovo, zucchero e farina che, una volta infornati, prendono la forma di piccoli biscotti irregolari.
La loro origine prevede due interpretazioni: secondo alcuni sono stati creati nel 1857 in onore della visita di Papa Pio IX mentre, secondo altri, sarebbero nati agli inizi del 900 dall'idea di un garzone di una gelateria che pensò di riutilizzare gli albumi d'uovo rimasti per la loro preparazione.
Secondo la tradizione locale la vera ricetta dei mandorlini apparterrebbe ancora oggi a una pasticceria di Pontelagoscuro, sebbene essi vengano prodotti e commercializzati anche a Ferrara e in tutta la provincia.
Essi sono anche stati inseriti nell'elenco dei P.A.T. dell'Emilia Romagna.

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Maritozzo

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Il maritozzo è un dolce tipico del Lazio, in particolar modo della città di Roma. Consiste in una piccola pagnotta impastata con farina, uova, miele, burro e sale che, tagliata in due longitudinalmente, è solitamente farcita con abbondante panna montata. La ricetta avrebbe origini che risalgono sino all'antica Roma. Tradizionalmente, il maritozzo veniva arricchito anche con pinoli, uva e scorzetta d'arancia candita.
Il nome deriverebbe dall'usanza di offrire questo dolce alla propria fidanzata: le future spose che lo ricevevano in dono solevano appunto definire il donante «maritozzo», vezzeggiativo popolare e burlesco di «marito». Il dolce poteva, in tali occasioni, celare al suo interno anche doni per l'amata come un anello o un piccolo gioiello.

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