Ah, le famose colombe di Cova! Costose,
indubbiamente. Ma la qualità, si sa, ha il suo prezzo. Il
tradizionale dolce della Pasqua milanese, prodotto nel laboratorio
della celebre pasticceria di via Montenapoleone, ha indubbiamente
tutt’altro sapore. E giustifica un esborso pari alla notorietà del
marchio. Peccato che la Procura della Repubblica abbia scoperto che i
dolci venduti nel locale con il marchio Cova non erano affatto
prodotti nel glorioso laboratorio, ma in un qualunque forno esterno,
e venivano poi semplicemente marchiati e impacchettati con la storica
griffe. Peccato veniale? Mica tanto, soprattutto visto il pesante
ricarico effettuato su ogni confezione di colomba. Così i vertici
del locale sono finiti sotto inchiesta da parte del sesto
dipartimento della Procura della Repubblica, coordinato dal
procuratore aggiunto Nicola Cerrato. Ipotesi di reato, truffa in
commercio. E, a fronte della evidenza della prova, il pubblico
ministero ha chiesto e ottenuto l’emissione di un decreto penale di
condanna a carico del rappresentante legale di Cova. Ammenda di
quindicimila euro: una stangata, se si pensa che i dolci «farlocchi
» individuati dall’indagine erano solo ventiquattro. Ma la Procura
è convinta che il metodo fosse abbastanza radicato. La disavventura
di Cova conferma la mancanza di rispetto reverenziale da parte della
magistratura milanese nei confronti dei nomi eccellenti della
ristorazione milanese: molti dei quali sono finiti sotto inchiesta
per violazione delle leggi che regolano la salute e i diritti dei
clienti. Anche per loro vale la regola che la Procura si è data:
alla prima infrazione scattano l’incriminazione e il decreto di
condanna, in caso di recidiva si passa al sequestro del locale.
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