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GIURGIULÈNA – IL TORRONCINO DI SESAMO TRA SICILIA E CALABRIA


Tra le delizie della tradizione dolciaria siciliana e calabrese, la giurgiulèna si distingue per la sua semplicità apparente e la complessità della sua preparazione. Conosciuta anche come giuggiulena o cubàita, è un dolce natalizio che fonde storia, cultura e gusto, capace di raccontare secoli di influenze mediterranee e di arte dolciaria araba. Inserita tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali siciliani, la giurgiulèna è molto più di un semplice torroncino: è un simbolo di festa, di condivisione e di memoria collettiva.

Il nome stesso, giurgiulèna, deriva dal termine siciliano per il sesamo, ingrediente principale di questo dolce. La sua storia si intreccia con quella della pasticceria araba in Sicilia: il termine arabo ǧulǧulān o ǧulǧalān indicava infatti i semi di sesamo, utilizzati in molte preparazioni dolciarie e in ricette che ancora oggi costituiscono l’identità gastronomica mediterranea.

Diffusa lungo tutta la fascia tirrenica della Sicilia e nella vicina Calabria, la giurgiulèna era originariamente preparata nelle case durante il periodo natalizio, come dolce di festa destinato a essere condiviso tra parenti e amici. Nel tempo, il dolce ha mantenuto la sua forma tradizionale: blocchi tagliati a rombi o a rettangoli, talvolta decorati con confetti colorati o adagiati su foglie di arancio aromatiche.

La giurgiulèna è un dolce di consistenza compatta, leggermente croccante, che racchiude la fragranza dei semi di sesamo e la dolcezza del miele. Gli ingredienti principali sono:

  • Semi di sesamo tostati

  • Miele

  • Zucchero

  • Mandorle (opzionale, per una versione arricchita)

  • Scorzette di arancia candite (facoltative)

La combinazione di sesamo e miele crea un impasto legato, simile a un torroncino, che necessita di una lunga preparazione e di un tempo di riposo di almeno 24 ore per consolidare consistenza e aromi. Il risultato è un dolce denso, aromatico, con un equilibrio tra la tostatura dei semi e la caramellizzazione dello zucchero.

Preparazione tradizionale della giurgiulèna

Ingredienti per 8-10 porzioni

  • 250 g di semi di sesamo

  • 150 g di miele millefiori

  • 100 g di zucchero

  • 50 g di mandorle tostate

  • Scorzette di arancia candite q.b.

  • Foglie di arancio per la presentazione (opzionale)

Procedimento

  1. Tostatura dei semi
    In una padella ampia, tostate i semi di sesamo a fuoco basso, mescolando continuamente per evitare che brucino. Devono diventare dorati e sprigionare il loro aroma intenso.

  2. Preparazione del caramello
    In un pentolino, unite miele e zucchero e scaldate fino a ottenere una consistenza fluida e leggermente densa. Evitate di farlo scurire troppo, altrimenti risulterebbe amaro.

  3. Incorporazione dei semi e della frutta secca
    Aggiungete i semi tostati e le mandorle tritate grossolanamente, mescolando rapidamente per distribuire uniformemente il miele caramellato. Se desiderate, inserite anche le scorzette d’arancia candite.

  4. Formatura del dolce
    Versate l’impasto su un piano leggermente oliato o su carta forno, livellandolo con una spatola fino a ottenere uno spessore uniforme di circa 1–2 cm.

  5. Riposo e taglio
    Lasciate raffreddare e riposare per almeno 24 ore. Solo dopo il riposo potrete tagliare il dolce a rombi o rettangoli, operazione che ne preserva la compattezza e la croccantezza.

  6. Decorazione e servizio
    Per un tocco tradizionale, servite i pezzi di giurgiulèna su foglie di arancio o cosparsi con piccoli confetti colorati.

La giurgiulèna si abbina magnificamente a vini dolci e aromatici, come il Moscato di Pantelleria o un Passito di Noto, che ne esaltano le note di miele e frutta secca. Per chi preferisce bevande calde, un tè speziato o una tisana all’arancia e cannella accompagnano perfettamente la tostatura del sesamo, creando un’esperienza gustativa completa.

Oltre al gusto, la giurgiulèna è un simbolo di tradizione e comunità. La preparazione richiede tempo e pazienza, trasformando il dolce in un rituale familiare: la tostatura dei semi, la mescolatura con il miele, la formatura dei blocchi diventano momenti di condivisione e apprendimento intergenerazionale. È un dolce che racconta la storia della Sicilia e della Calabria, la fusione di culture mediterranee e arabe e il valore della pazienza e della cura nella cucina artigianale.

Nelle festività natalizie, la giurgiulèna non è mai assente nelle tavole di famiglia: ogni fetta rappresenta un piccolo gesto di accoglienza, un dono di sapore e memoria che lega il presente alle antiche tradizioni. La croccantezza del sesamo, la dolcezza del miele e il profumo degli agrumi sono un invito a ricordare che la cucina è anche custodia della storia e del territorio.



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FRITTELLA – IL DOLCE UNIVERSALE CHE UNISCE IL MEDITERRANEO DALL’ANTICA ROMA A OGGI


C’è un profumo che attraversa i secoli, un’aroma che risveglia la memoria di feste popolari, di strade animate e di cucine familiari: è quello delle frittelle. Piccole, dorate, leggere o compatte, dolci o salate, le frittelle rappresentano uno dei piatti più diffusi e amati della tradizione italiana — un vero archetipo gastronomico, simbolo di convivialità e piacere immediato. Dall’antica Roma alla Serenissima di Venezia, fino alle sagre contemporanee di paese, la frittella è rimasta immutabile nel suo fascino, pur cambiando mille volti e sapori.

Le frittelle affondano le loro radici nell’antichità più remota. Gli antichi Romani le chiamavano frictilia: impasti semplici di farina, uova e miele, fritti nell’olio durante le feste di febbraio dedicate alla dea Giunone. Era un dolce rituale, offerto per propiziarsi la fertilità e la rinascita della natura, e segnava simbolicamente l’inizio della primavera. Con la caduta dell’Impero, la ricetta sopravvisse nelle campagne, trasformandosi secondo gli ingredienti locali e dando origine a infinite varianti.

Nel Medioevo, la frittella si diffuse in tutta l’area mediterranea. In Spagna divenne il progenitore dei buñuelos, in Grecia dei loukoumades, e nel mondo arabo dei dolci al miele fritti che ancora oggi troviamo nei souk. Ma è a Venezia che la frittella trovò la sua consacrazione: qui, nel XIV secolo, nacque la frìtoła, la prima vera “frittella nazionale” della Repubblica Serenissima.

Nel Seicento e Settecento i maestri fritoleri divennero una corporazione ufficiale, con regole severe e territori di vendita assegnati. Nessuno poteva preparare frittelle se non faceva parte dell’arte dei fritoleri, una confraternita che custodiva le ricette e garantiva la qualità del prodotto. La frittella veneziana, ripiena di uvetta e pinoli e spolverata di zucchero, divenne così il simbolo del Carnevale e il dolce più rappresentativo di una città che viveva di festa e abbondanza.

Oggi la frittella è un mosaico di tradizioni regionali. Ogni zona d’Italia la interpreta a modo suo: in Lombardia e in Emilia è nota come tortello dolce, in Toscana prende il nome di frittella di riso, nel Lazio si prepara per San Giuseppe, mentre in Sicilia la ritroviamo nelle celebri sfinci di San Giuseppe, soffici e ricoperte di crema e pistacchi.

Nel Nordest, le frittole veneziane restano un’istituzione, mentre nel Sud si celebrano con sagre dedicate, come quella di Isnello in Sicilia o di Sambuca Val di Pesa in Toscana, dove le frittelle si preparano con i fiori di acacia. Dolci o salate, le frittelle continuano a rappresentare il cibo della festa, della comunità, del sorriso condiviso davanti a una padella che sfrigola.

Ingredienti (per circa 25 frittelle)

  • 250 g di farina 00

  • 2 uova intere

  • 100 g di zucchero

  • 200 ml di latte intero

  • 1 bustina di lievito per dolci

  • 1 bustina di vanillina o i semi di una bacca di vaniglia

  • 1 scorza di limone grattugiata

  • 1 pizzico di sale

  • Olio di semi per friggere (arachide o girasole)

  • Zucchero semolato o zucchero a velo per la copertura

(Varianti): si possono aggiungere mele a cubetti, uvetta ammollata nel rum, pezzetti di cioccolato o riso cotto nel latte.

Preparazione passo per passo

  1. Preparare la pastella
    In una ciotola capiente, rompete le uova e mescolatele con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Unite il latte a filo, la vaniglia, la scorza di limone e il pizzico di sale.

  2. Aggiungere gli ingredienti secchi
    Setacciate farina e lievito e incorporateli poco alla volta, mescolando con una frusta per evitare grumi. L’impasto dovrà risultare morbido e leggermente denso: deve cadere a cucchiai, non colare.

  3. Friggere
    Scaldate abbondante olio in una padella profonda. Quando l’olio raggiunge i 170–180 °C, versate l’impasto a cucchiaiate, poche alla volta, per non abbassare la temperatura. Le frittelle devono gonfiarsi e dorarsi in modo uniforme: bastano 2–3 minuti per lato.

  4. Scolare e zuccherare
    Scolatele con una schiumarola, adagiatele su carta assorbente e, ancora tiepide, cospargetele di zucchero semolato o a velo.

Varianti regionali e creative

  • Frittelle di mele: aggiungete alla pastella fette di mela sottili, leggermente infarinate, e friggetele fino a doratura. Perfette con zucchero a velo e cannella.

  • Frittelle di riso: preparate con riso cotto nel latte, zucchero e scorza di limone. Sono tipiche del Carnevale toscano.

  • Frittelle di San Giuseppe: in onore della festa del 19 marzo, si arricchiscono di crema pasticcera o zabaione.

  • Frittelle salate: sostituite lo zucchero con un pizzico di sale e aggiungete verdure (come zucchine o fiori di zucca), formaggi o baccalà per una versione rustica.

La riuscita di una buona frittella dipende da pochi, ma fondamentali, accorgimenti tecnici:

  • Temperatura dell’olio: troppo bassa rende le frittelle unte, troppo alta le brucia. L’ideale è tra i 170 e i 180 °C.

  • Olio giusto: scegliete oli neutri con punto di fumo alto, come quello di arachide.

  • Riposo dell’impasto: 15 minuti di riposo prima della frittura migliorano la consistenza e la sofficità.

  • Zucchero solo da tiepide: in questo modo aderirà senza sciogliersi.

Le frittelle dolci si sposano perfettamente con vini aromatici e frizzanti come il Moscato d’Asti DOCG o il Prosecco Extra Dry, capaci di esaltare la croccantezza e la leggerezza del dolce. Per chi ama contrasti più decisi, un Vin Santo toscano o un Marsala creano un equilibrio armonioso tra dolcezza e calore.

In alternativa, per un pomeriggio d’inverno, le frittelle si accompagnano magnificamente a una tazza di cioccolata calda densa o a un tè nero speziato, creando un abbraccio aromatico e confortante.

Le frittelle non sono soltanto un dolce: rappresentano una vera tradizione identitaria. Ogni regione ne ha fatto il proprio emblema, ma tutte condividono la stessa filosofia: ingredienti semplici, condivisione e festa. Sono il dolce dei bambini e dei nonni, delle fiere e dei carnevali, delle cucine in cui l’olio sfrigola e il tempo sembra fermarsi.

La loro universalità risiede nella gioia che evocano: una frittella è un gesto d’amore, una promessa di felicità immediata. Dalla frictilia romana alle frìtołe veneziane, dalle sagre di paese alle pasticcerie artigianali, la frittella continua a unire l’Italia in un rito collettivo che sa di dolcezza, semplicità e tradizione.



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FOCACCIA DI SUSA – IL DOLCE DELLA MONTAGNA PIEMONTESE CHE RACCONTA 150 ANNI DI STORIA E TRADIZIONE



Nel cuore della Valle di Susa, tra le montagne che separano il Piemonte dalla Francia, nasce una delle più raffinate espressioni della pasticceria tradizionale alpina: la Focaccia di Susa. Non si tratta di una semplice focaccia dolce, ma di un simbolo di continuità culturale, di un dolce che ha accompagnato generazioni di famiglie nei giorni di festa, dal Natale al Capodanno, diventando un elemento imprescindibile dell’identità gastronomica della valle. Riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale Italiano (P.A.T.), la focaccia di Susa rappresenta oggi un tassello prezioso del patrimonio culinario piemontese, capace di fondere semplicità contadina e ricchezza di sapori.

Le prime tracce della focaccia dolce segusina risalgono almeno al XIX secolo. Una ricetta manoscritta del 1870, conservata da una famiglia di fornai di Susa, testimonia l’antichità di questo dolce, nato probabilmente come variante festiva del pane quotidiano. All’epoca, la couroun, come veniva chiamata in piemontese, era preparata durante le feste di Natale e Capodanno: un pane arricchito, destinato alle occasioni speciali, simbolo di abbondanza e prosperità.

La tradizione si è tramandata nei secoli, adattandosi ai cambiamenti del tempo. Durante la Seconda guerra mondiale, la scarsità di farine locali portò i panificatori a utilizzare varietà di grano provenienti dal Nord America, come la Manitoba, più forte e adatta alla lunga lievitazione. Nello stesso periodo si aumentarono le dosi di burro e zucchero, rendendo il dolce più soffice e goloso. Da allora, la Focaccia di Susa ha mantenuto questa versione “moderna”, che ancora oggi si trova nei forni artigianali della valle.

Chiunque sia passato per Susa nelle prime ore del mattino conosce quel profumo inconfondibile che si diffonde dai forni storici della città: un misto di burro, zucchero caramellato e lievito dolce. La focaccia, con la sua superficie dorata e leggermente croccante, è l’essenza stessa della tradizione piemontese montana.

La consistenza interna è soffice, spugnosa, e rivela la maestria dei panettieri che, da generazioni, custodiscono i segreti dell’impasto. Ogni famiglia, ogni forno, ha la propria variante: chi la profuma con un tocco di vaniglia, chi aggiunge un accenno di scorza di limone o un filo di miele. Tuttavia, la base rimane sempre la stessa: farina, burro, zucchero, uova, sale e lievito di birra.

Ingredienti (per 2 focacce da 35 cm di diametro)

  • 500 g di farina 00 (oppure una miscela con 100 g di Manitoba per una maggiore elasticità)

  • 150 g di burro morbido

  • 120 g di zucchero semolato

  • 2 uova intere

  • 20 g di lievito di birra fresco (oppure 7 g di lievito secco)

  • 1 pizzico di sale

  • 100 ml di latte tiepido

  • Zucchero semolato q.b. per la copertura

Preparazione passo per passo

  1. Lievitino
    Sciogliete il lievito di birra nel latte tiepido insieme a un cucchiaino di zucchero e 50 g di farina. Lasciate riposare per 30 minuti, finché il composto non avrà formato una schiuma leggera.

  2. Impasto principale
    In una grande ciotola o nella planetaria, versate la farina restante, lo zucchero e il sale. Aggiungete le uova e il lievitino, iniziando a impastare. Unite poco alla volta il burro morbido, fino a ottenere un composto omogeneo, liscio e leggermente elastico.

  3. Prima lievitazione
    Coprite l’impasto con un canovaccio umido e lasciatelo riposare in luogo tiepido per circa 4 ore, finché non avrà triplicato il suo volume.

  4. Formatura
    Dividete l’impasto in due parti uguali e stendetelo su teglie rotonde, leggermente imburrate o coperte da carta forno. L’altezza ideale è di circa 2 cm.

  5. Decorazione e seconda lievitazione
    Rialzate delicatamente i bordi con le dita e, se desiderate, incidete la superficie creando motivi tradizionali come croci, stelle o cuori. Spolverate generosamente di zucchero semolato. Lasciate riposare per altri 30 minuti.

  6. Cottura
    Cuocete in forno statico preriscaldato a 180 °C per 25–30 minuti, fino a ottenere una superficie dorata e leggermente caramellata.

  7. Raffreddamento
    Sfornate e lasciate raffreddare su una griglia. La focaccia di Susa va gustata tiepida o a temperatura ambiente, quando il contrasto tra la crosta zuccherata e l’interno soffice è al suo apice.

La Focaccia di Susa non è soltanto un dolce, ma un racconto di comunità. Nelle famiglie della valle era usanza prepararla insieme la vigilia di Natale: le nonne impastavano, i bambini spolveravano lo zucchero, e il profumo del forno riempiva la casa. Dopo la messa di mezzanotte, si tagliava la focaccia e la si condivideva con il vin brulé o un bicchiere di Barbera dolce.

Oggi, questo rito collettivo sopravvive nella Sagra del Paniere di Susa, ribattezzata “Focacciando”, dove i panificatori locali si sfidano nella preparazione della focaccia più equilibrata e fragrante. È un momento di festa che celebra l’identità gastronomica della valle e la continuità delle sue tradizioni.

Consigli per una riuscita perfetta

  • Utilizzate ingredienti di alta qualità: burro piemontese, uova fresche e farina non sbiancata.

  • Evitate di surriscaldare il latte: deve essere tiepido per non danneggiare il lievito.

  • Lasciate che l’impasto lieviti lentamente; il tempo è l’ingrediente segreto che garantisce la giusta morbidezza.

  • Non lesinate sullo zucchero in superficie: durante la cottura creerà quella sottile crosticina caramellata che rende unica la focaccia di Susa.

Tradizionalmente, la focaccia di Susa si accompagna con vini dolci piemontesi come il Moscato d’Asti DOCG o un Passito di Caluso, che ne esaltano le note burrose e vanigliate. Per un contrasto più deciso, si può optare per un Brachetto d’Acqui, capace di bilanciare la dolcezza con il suo tocco fruttato e aromatico.

Chi predilige le bevande calde può gustarla con un tè nero leggermente affumicato o con una cioccolata densa, in perfetto equilibrio con la caramellatura superficiale.

In un’epoca dominata dalla produzione industriale, la Focaccia di Susa resta una testimonianza di autenticità. Ogni fetta racchiude la storia di un territorio che ha saputo conservare la propria identità senza rinunciare all’evoluzione. È un dolce che non conosce mode né tempo: genuino, semplice e profondamente legato alla terra da cui proviene.

Mentre le prime luci dell’alba si riflettono sulle Alpi e il forno di Susa diffonde il suo aroma inconfondibile, la focaccia continua a raccontare, ogni giorno, una storia di famiglia, tradizione e orgoglio piemontese.



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Flantze: Il Dolce Rustico della Valle d’Aosta tra Tradizione e Gusto

Tra i tesori nascosti della pasticceria regionale italiana, pochi dolci raccontano la storia di un territorio con altrettanta autenticità quanto la Flantze, tipico dolce della Valle d’Aosta. Frutto di tradizioni secolari legate alla panificazione comunitaria, la Flantze incarna il connubio tra sapore rustico, semplicità degli ingredienti e simbolismo culturale, diventando oggi una specialità artigianale apprezzata sia dai locali sia dai visitatori.

La storia della Flantze si intreccia con le tradizioni rurali valdostane, in particolare con il rito della panificazione comunitaria. Nei villaggi, la panificazione non era un’operazione quotidiana: i forni comuni venivano accesi solo alcune volte l’anno, spesso in inverno, per cuocere il pane nero che avrebbe accompagnato le famiglie per settimane. In questo contesto, la Flantze nasce come dolce derivato dallo stesso impasto del pane, arricchito però con zucchero, frutta secca e aromi naturali, destinato in origine ai bambini che aiutavano nella lavorazione collettiva.

La forma tradizionale era rotonda, simbolo di completezza e abbondanza, mentre i panificatori più creativi realizzavano versioni a forma di animale per intrattenere i più piccoli. Gli animali scelti — cervi, lepri o galline — erano spesso legati alla simbologia locale, richiamando il legame profondo tra uomo e natura tipico della vita montana.

Nel corso del tempo, la Flantze ha mantenuto il suo ruolo di dolce simbolico, ma la sua produzione si è evoluta: oggi i panifici e le pasticcerie artigianali della Valle d’Aosta arricchiscono l’impasto originale con farine più raffinate, cacao e nuovi ingredienti, senza perdere la struttura rustica e fragrante che la caratterizza.

La Flantze si distingue per profumo intenso, consistenza morbida e leggermente rustica, dovuta all’uso di farine integrali e all’aggiunta di frutta secca e canditi. La doratura esterna è uniforme e invitante, mentre l’interno rimane soffice, leggermente umido grazie alla presenza di burro e uvetta. La combinazione di sapori — dolcezza dello zucchero, aroma della scorza d’arancia, croccantezza delle mandorle e delle noci — rende questo dolce unico nel panorama delle specialità montane italiane.

Gli ingredienti tradizionali comprendono:

  • Farina integrale di segale o frumento: 250 g

  • Zucchero: 80 g

  • Burro: 50 g

  • Uvetta: 50 g

  • Mandorle tritate: 30 g

  • Noci spezzettate: 30 g

  • Scorza d’arancia candita: 20 g

  • Lievito di birra: 10 g

  • Latte: 50 ml

Le moderne varianti possono includere farina bianca per rendere il dolce più soffice, cacao per un aroma più intenso e ulteriori aromi naturali come vaniglia o liquore d’arancia.

La preparazione della Flantze richiede attenzione ma segue un procedimento lineare, che esalta la qualità degli ingredienti:

  1. Preparazione dell’impasto: Sciogliere il lievito nel latte tiepido con un cucchiaino di zucchero. In una ciotola grande, mescolare la farina con lo zucchero e aggiungere il burro ammorbidito. Incorporare il latte con il lievito e impastare fino a ottenere un composto elastico e omogeneo.

  2. Aggiunta dei frutti secchi e canditi: Una volta ottenuto l’impasto base, unire uvetta, mandorle, noci e scorza d’arancia candita. Amalgamare bene, distribuendo uniformemente i frutti secchi nell’impasto.

  3. Lievitazione: Coprire l’impasto con un canovaccio pulito e lasciarlo lievitare in un luogo tiepido per circa 1-2 ore, o fino a quando raddoppia di volume.

  4. Formatura: Tradizionalmente, la Flantze viene modellata in forme rotonde o ad animali. La modellatura può essere semplice (dischi o panetti rotondi) o più elaborata (forme animali con piccoli dettagli).

  5. Cottura: Preriscaldare il forno a 180°C. Cuocere le Flantze per circa 25-30 minuti, fino a doratura uniforme. Lasciarle raffreddare su una griglia prima di servire.

  6. Decorazione (opzionale): Alcuni panifici spolverano la superficie con zucchero a velo o aggiungono mandorle intere in superficie per un effetto più scenografico.

La Flantze, grazie al suo profilo aromatico ricco ma equilibrato, si presta a molteplici abbinamenti:

  • Bevande calde: tè nero o verde, infusi di erbe alpine o caffè espresso. Il contrasto tra la morbidezza del dolce e l’amarezza delle bevande calde esalta i sapori naturali della frutta secca.

  • Liquori dolci: perfetta con un bicchierino di vin santo o liquore all’arancia, in grado di esaltare la nota agrumata della scorza d’arancia candita.

  • Frutta fresca: abbinata a mele, pere o frutti di bosco, la Flantze diventa parte di un dessert al piatto elegante ma semplice.

  • Formaggi morbidi: sorprendente accostata a formaggi freschi come ricotta o caprini, per un contrasto tra dolce e leggermente acidulo.

Oltre al valore gastronomico, la Flantze ha un forte legame con la cultura valdostana. Tradizionalmente legata alla panificazione collettiva e alle feste locali, rappresenta un simbolo di comunità e condivisione. La preparazione dei dolci durante la panificazione era un momento sociale, in cui i bambini partecipavano attivamente, ricevendo la Flantze come ricompensa. Ancora oggi, la tradizione viene mantenuta nelle sagre locali e nelle manifestazioni culturali della Valle d’Aosta, dove il dolce è un ponte tra passato e presente.

La Flantze si conserva bene per diversi giorni, soprattutto se riposta in contenitori ermetici. Grazie alla presenza di burro e frutta secca, mantiene morbidezza e fragranza senza diventare secca o dura. Può essere consumata come dolce da colazione, merenda o come snack energetico durante le giornate invernali.

Oggi la Flantze non è più solo un dolce rustico di montagna: pasticcerie artigianali e laboratori regionali sperimentano varianti innovative, aggiungendo cacao, cioccolato fondente o aromi naturali come zenzero e cannella. Queste versioni moderne mantengono l’identità del dolce, esaltando però nuove sfumature aromatiche e visive, rendendolo apprezzabile anche in contesti gourmet.

La Flantze rappresenta l’incontro tra tradizione, territorio e gusto. Ogni morso racconta la storia della Valle d’Aosta, dei suoi villaggi, dei forni comunitari e della creatività delle famiglie che hanno tramandato questa ricetta di generazione in generazione. La sua fragranza, la consistenza soffice e il sapore equilibrato tra frutta secca, burro e scorze d’agrumi ne fanno un dolce unico, capace di accompagnare ogni momento della giornata e di sorprendere chi lo scopre per la prima volta.

Preparare una Flantze oggi significa non solo gustare un dolce genuino, ma anche immergersi in una tradizione secolare, fatta di gesti semplici, ingredienti autentici e passione per l’arte dolciaria artigianale. È un viaggio nel cuore della Valle d’Aosta, dove il sapore diventa memoria, cultura e piacere.



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Ferratella Arrotolata con Crema di Arance e Mandorle: Tradizione Abruzzese in Tavola


La ferratella arrotolata e farcita con crema di arance e mandorle rappresenta uno degli esempi più raffinati della pasticceria tradizionale abruzzese e molisana. Questo dolce, conosciuto con numerosi nomi locali come pizzella, neola, nivola o cancella, è un simbolo di storia, cultura e convivialità che attraversa generazioni, mantenendo intatta la sua identità. Non si tratta semplicemente di un dessert: è un ponte tra le stagioni, le feste patronali e le celebrazioni familiari, in cui ogni dettaglio, dalla cialda alla farcitura, racconta un patrimonio gastronomico antico.

Le radici della ferratella risalgono all’epoca romana, con il dolce chiamato Crustulum, che rappresentava la forma primordiale delle cialde abruzzesi. La preparazione moderna della ferratella è concentrata in Abruzzo, Molise e nelle zone confinanti del Lazio, dove si è consolidata come dolce tipico di matrimoni, festività e occasioni speciali. Il termine “ferratella” deriva dalla caratteristica trama a rombi o a cancellata impressa sulla superficie della cialda dalla piastra arroventata. In Molise, ad esempio, prende il nome di “cancella”, mentre nel teramano è chiamata “neola”.

Nel tempo, questo dolce ha assunto molteplici forme e utilizzi: da semplice cialda a base di farina e uova, a cialda arrotolata a cannolo e farcita, come nel caso della nostra versione con crema di arance e mandorle. Tradizionalmente, la piastra utilizzata per la cottura era un oggetto di dote, spesso incisa con le iniziali della futura sposa, conferendo alla ferratella anche un significato simbolico legato all’unione e alla continuità familiare.

Questa variante si distingue per la combinazione tra croccantezza della cialda e morbidezza del ripieno, offrendo un contrasto di consistenze unico. La cialda, sottile e leggermente dorata, trattiene la forma pur essendo flessibile abbastanza da permettere l’arrotolamento. La crema di arance e mandorle, ricca e aromatica, introduce un profumo agrumato che si sposa perfettamente con la delicatezza della cialda.

La preparazione richiede attenzione: la cialda deve essere perfettamente cotta ma ancora lavorabile, e la crema deve essere fredda e densa, in modo da evitare che l’umidità della farcitura comprometta la croccantezza della base. La sua duplice natura, croccante e cremosa, rende la ferratella arrotolata un dolce adatto a essere servito sia come dessert da tavola sia come dolce da buffet o da regalare nelle occasioni festive.

Ingredienti principali

Per la cialda:

  • Farina 00: 250 g

  • Uova: 2 intere

  • Zucchero: 100 g

  • Burro fuso: 50 g

  • Latte: 50 ml

  • Scorza di limone grattugiata: 1 cucchiaino

Per la crema di arance e mandorle:

  • Latte intero: 250 ml

  • Tuorli d’uovo: 3

  • Zucchero: 100 g

  • Farina o amido di mais: 20 g

  • Scorza d’arancia: 1 cucchiaino

  • Mandorle tritate finemente: 50 g

  • Burro: 20 g

Decorazione facoltativa:

  • Zucchero a velo

  • Mandorle intere tostate

  • Fili di scorza d’arancia candita

Preparazione della Crema di Arance e Mandorle

  1. In una casseruola, scaldare il latte con la scorza d’arancia fino a sfiorare il bollore, quindi togliere dal fuoco.

  2. In una ciotola a parte, sbattere i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.

  3. Aggiungere la farina o l’amido setacciato, mescolando con cura per evitare grumi.

  4. Versare lentamente il latte caldo sul composto di tuorli, mescolando continuamente.

  5. Riportare tutto sul fuoco e cuocere a fiamma dolce, mescolando, fino a quando la crema si addensa.

  6. Togliere dal fuoco e incorporare il burro e le mandorle tritate. Lasciare raffreddare completamente.

Preparazione della Ferratella

  1. In una ciotola, sbattere le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto leggero.

  2. Aggiungere burro fuso e latte, mescolando bene.

  3. Incorporare la farina setacciata e la scorza di limone, ottenendo un impasto liscio e senza grumi.

  4. Scaldare la piastra per ferratelle o un’apposita piastra per cialde, ungendola leggermente se necessario.

  5. Versare un cucchiaio di impasto sulla piastra e cuocere fino a doratura leggera.

  6. Appena sfornata, arrotolare la cialda a cannolo e lasciarla raffreddare leggermente prima di farcirla.

Assemblaggio

  1. Riempire un sac-à-poche con la crema di arance e mandorle.

  2. Farcire le ferratelle arrotolate, assicurandosi di distribuire la crema uniformemente lungo tutto il cilindro.

  3. Lasciare raffreddare completamente in frigorifero per stabilizzare la crema e preservare la croccantezza.

  4. Decorare a piacere con zucchero a velo, mandorle intere o fili di scorza d’arancia candita.

La ferratella arrotolata con crema di arance e mandorle si accompagna perfettamente a bevande calde come caffè espresso, tè verde o nero aromatizzato agli agrumi. Per un contrasto più intenso, un bicchierino di liquore agli agrumi o un vino dolce leggero come il Moscato d’Asti esalterà il profilo aromatico del dolce. La freschezza degli agrumi e la croccantezza della cialda creano un equilibrio ideale con bevande più strutturate e aromatiche, rendendo la degustazione un’esperienza completa.

La ferratella arrotolata non è solo un dolce, ma un simbolo di tradizione e identità territoriale. Preparata durante le feste patronali, a Natale, Pasqua o nei matrimoni, rappresenta l’abilità artigianale e la cura dei dettagli. La scelta di aromatizzare con arance e mandorle, ingredienti che richiamano la fertilità e l’abbondanza, conferisce al dolce un significato simbolico aggiuntivo: è un augurio di prosperità, dolcezza e armonia.

In Abruzzo e Molise, esistono numerose varianti della ferratella, che cambiano per forma, spessore della cialda o tipo di farcitura. La coperchiola, ad esempio, prevede due cialde sovrapposte farcite con crema, mentre in alcune zone viene arrotolata con marmellata d’uva o cioccolato. Tuttavia, la combinazione con crema di arance e mandorle rappresenta una delle interpretazioni più sofisticate e amate, bilanciando dolcezza e aromi mediterranei.

La ferratella arrotolata con crema di arance e mandorle incarna perfettamente la filosofia della pasticceria tradizionale italiana: armonia tra semplicità e complessità, tra tecnica e cultura, tra gusto e simbolo. Ogni cucchiaiata è un viaggio nel tempo e nello spazio, tra le colline dell’Appennino abruzzese, le piazze dei paesi molisani e le cucine familiari dove la manualità e la passione si tramandano di generazione in generazione.

Questo dolce non è solo un dessert: è una lezione di equilibrio, un’espressione di maestria artigianale e un omaggio alla storia e al territorio. La sua preparazione richiede attenzione, pazienza e rispetto per gli ingredienti, ma il risultato è un prodotto raffinato, elegante e versatile, capace di trasformare ogni occasione in un momento speciale.

Provare a prepararla in casa significa non solo gustare un dolce delizioso, ma connettersi con secoli di tradizione, apprezzando la capacità della cucina italiana di fondere sapori, tecniche e significati culturali in un unico gesto: l’arrotolamento di una cialda, farcita con crema di arance e mandorle, che racconta storie di festa, amore e artigianalità.



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Ferratella: la tradizione abruzzese tra cialde e dolcezza

La ferratella, conosciuta anche con numerosi altri nomi come pizzella, neola, nevola, nivola, catarretta o cancella, è un dolce storico dell’Abruzzo e del Molise, diffuso anche in alcune zone del Lazio orientale. Inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.) delle regioni menzionate, la ferratella rappresenta una testimonianza vivente della cultura gastronomica locale.

Le origini del dolce vengono fatte risalire all’antica Roma, dove una preparazione simile era nota come Crustulum, dolcetto a base di pasta da biscotto cotta su piastra arroventata. La tradizione ha attraversato i secoli, consolidandosi come dolce legato alle feste, alle ricorrenze religiose e ai momenti matrimoniali.

Il moltiplicarsi dei nomi — ferratella, cancella, neola, pizzella, catarretta — corrisponde alle diverse aree di produzione e dialetti locali:

  • Ferratella nelle zone interne dell’Abruzzo e del Lazio.

  • Cancella in Molise, pur riportata come ferratella nei registri P.A.T.

  • Neola e varianti nel teramano.

  • Pizzella o catarretta nell’area chietina.

Questa varietà di nomenclatura testimonia l’importanza del dolce come simbolo culturale e identitario, oltre che come prodotto gastronomico.

La ferratella è una cialda sottile e croccante, ottenuta da un impasto simile alla pasta da biscotto. La cottura avviene tramite piastre arroventate, che imprimono alla pasta la tipica trama a rombi o a “cancello”, da cui deriva uno dei nomi più diffusi. La forma tradizionale è rettangolare, ma per occasioni speciali come San Valentino può assumere quella di cuore.

Il dolce può essere consumato da solo, oppure arrotolato come un cannolo con ripieni di marmellata, tradizionalmente d’uva, o con crema pasticcera o cioccolato. Una variante elaborata, detta coperchiola, prevede due cialde sovrapposte con ripieno tra di esse, richiamando l’immagine di un piccolo coperchio.

La piastra di cottura ha un ruolo simbolico: spesso veniva portata in dote dalla sposa e recava le iniziali della donna al centro, diventando così anche oggetto di valore affettivo e testimonianza di legami familiari. Questo dettaglio ha contribuito alla reputazione della ferratella come dolce nuziale tradizionale, in particolare nell’Abruzzo meridionale e in Molise.

Ingredienti (per circa 20-25 ferratelle)

  • 250 g di farina 00

  • 100 g di zucchero

  • 50 g di burro fuso

  • 2 uova

  • 1 cucchiaino di lievito per dolci

  • Scorza grattugiata di 1 limone

  • Marmellata d’uva o crema pasticcera per il ripieno (opzionale)

Procedimento

  1. Preparazione dell’impasto:

    • Montare le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto spumoso.

    • Unire il burro fuso e la scorza di limone, mescolando bene.

    • Incorporare la farina setacciata con il lievito, fino a ottenere un impasto morbido ma compatto.

  2. Formatura:

    • Prelevare piccole porzioni di impasto e stenderle leggermente, modellandole in rettangoli o altre forme desiderate.

  3. Cottura:

    • Cuocere sulle piastre arroventate fino a ottenere una cialda dorata con la caratteristica trama a rombi.

  4. Ripieno e finitura (facoltativo):

    • Farcire con marmellata d’uva, crema pasticcera o cioccolato e arrotolare.

    • Per la variante coperchiola, sovrapporre due cialde con il ripieno tra di esse.

  5. Raffreddamento:

    • Lasciare raffreddare completamente le ferratelle prima di servirle, per preservare la croccantezza e la consistenza.

Le ferratelle possono essere abbinate a diversi accompagnamenti, valorizzandone il gusto delicato e la fragranza croccante:

  • Bevande calde: tè nero, tisane aromatiche o caffè leggero.

  • Vini dolci: un bicchiere di Vin Santo o passito per esaltare i sapori tradizionali.

  • Confetture e creme: marmellata di uva o crema pasticcera, per chi ama il ripieno.

Possono essere anche utilizzate come decorazione per dolci più complessi, aggiungendo un tocco rustico e tradizionale a torte e dessert da buffet.

Oltre al gusto, la ferratella è portatrice di significato simbolico e sociale. Il legame con i matrimoni, con le festività religiose e con le occasioni di festa ne fa un dolce identitario, capace di raccontare la storia delle famiglie e delle comunità locali. La cialda, semplice ma elegante, rappresenta la fusione tra tradizione gastronomica e memoria collettiva, rendendo ogni morso un piccolo viaggio tra Abruzzo, Molise e Lazio orientale.

La trasmissione della ricetta da generazione a generazione ha permesso di mantenere intatto il carattere autentico del dolce, con varianti locali che conservano però l’essenza della preparazione tradizionale. La ferratella, così, non è solo un dolce: è un ponte tra storia, territorio e cultura culinaria.

La ferratella rappresenta un esempio perfetto di come un dolce semplice possa racchiudere storia, tradizione e simbolismo. Dal Crustulum romano alle piastre arroventate delle case abruzzesi e molisane, passando per le festività religiose e i matrimoni, questo dolce racconta l’identità di un territorio e dei suoi abitanti. La sua cialda croccante, la trama distintiva e le possibilità di ripieno rendono ogni ferratella unica, capace di trasmettere attraverso la dolcezza il senso della tradizione e della comunità.



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Zuccherini Montanari: tradizione, aroma di anice e dolcezza appenninica

Gli zuccherini montanari, conosciuti anche come zuccherini di Vernio o zuccherotti, rappresentano un dolce tipico dell’Appennino tosco-emiliano, con radici profonde nelle province di Bologna, Firenze, Modena e Prato. La loro storia affonda le radici nella vita contadina e montanara, dove le famiglie preparavano questi biscotti per le grandi festività: Natale, Pasqua e matrimoni erano momenti in cui la dolcezza degli zuccherini montanari accompagnava celebrazioni e rituali sociali.

La denominazione “montanari” non è casuale: serve a distinguerli dagli zuccherini bolognesi, simili nella forma ad anello ma privi della glassatura e con consistenza più friabile. L’aggiunta del termine richiama l’ambiente d’origine, le colline dell’Appennino, e sottolinea la specificità di una preparazione legata al territorio e alla tradizione locale.

Gli zuccherini montanari si distinguono per il loro aroma intenso di anice, bilanciato dalla dolcezza dello zucchero e dalla consistenza leggermente croccante. L’impasto di base è semplice, simile a una frolla, composto da farina, zucchero, uova, burro o olio, lievito e anice.

La caratteristica principale che li differenzia dai cugini bolognesi è la glassatura: una preparazione a base di zucchero e anice bolliti che viene applicata sui biscotti, creando una superficie lucida e leggermente croccante. Questo procedimento, tramandato dagli antichi montanari, conferisce ai biscotti un profumo unico e una consistenza particolare, che li rende immediatamente riconoscibili.

La realizzazione degli zuccherini montanari richiede attenzione e cura, soprattutto per il momento della glassatura. Ecco la procedura tradizionale:

Ingredienti principali

  • 500 g di farina

  • 150 g di zucchero

  • 150 g di burro o 100 ml di olio vegetale

  • 2 uova intere

  • 1 cucchiaino di lievito in polvere

  • Semi di anice o liquore all’anice a piacere

Per la glassa:

  • 150 g di zucchero

  • 50 ml di acqua

  • 1 cucchiaio di semi di anice o essenza di anice

Procedimento

  1. Preparazione dell’impasto:

    • Lavorare burro o olio con zucchero fino a ottenere una crema omogenea.

    • Aggiungere le uova e i semi di anice, mescolando bene.

    • Incorporare la farina setacciata con il lievito, fino a ottenere un impasto compatto ma morbido.

  2. Formatura dei biscotti:

    • Creare piccoli bastoncini di pasta e ripiegarli ad anello, oppure formare piccole forme secondo tradizione locale.

    • Disporre i biscotti su una teglia foderata con carta da forno.

  3. Cottura:

    • Cuocere in forno preriscaldato a 160-170°C per 20-25 minuti, fino a quando i biscotti risultano leggermente dorati ma non eccessivamente colorati.

  4. Preparazione della glassa:

    • Sciogliere lo zucchero con l’acqua in un pentolino, portando a bollore.

    • Aggiungere semi o essenza di anice e mescolare fino a ottenere una miscela omogenea.

    • Immergere i biscotti nella glassa calda o spennellarli, facendo attenzione a ricoprirli uniformemente.

  5. Raffreddamento:

    • Lasciare raffreddare i biscotti su una gratella, consentendo alla glassa di solidificarsi e creare una superficie lucida e croccante.

Gli zuccherini montanari hanno diverse varianti territoriali, ognuna con sfumature uniche:

  • Zuccherini del Mugello (Appennino fiorentino – Alto Mugello)

  • Zuccherino di Vernio (Appennino pratese – Val di Bisenzio)

  • Zuccherino montanaro bolognese (Appennino bolognese)

Nonostante le differenze di nome e lievi modifiche nella ricetta, la caratteristica distintiva dell’anice e della glassatura rimane costante, rendendoli immediatamente riconoscibili come dolce tradizionale appenninico.

Tradizionalmente, gli zuccherini montanari erano offerti agli ospiti durante le feste, simbolo di buon auspicio e ospitalità. Nei matrimoni, venivano spesso accompagnati da bomboniere e confetti, rappresentando un gesto di condivisione e celebrazione.

Oggi si possono gustare anche come dolce da tè o merenda, grazie alla loro fragranza e alla consistenza leggermente croccante, che si abbina bene a bevande calde o fredde.

Gli zuccherini montanari trovano abbinamenti ideali con:

  • Bevande calde: tè nero o verde, caffè leggero, tisane aromatiche.

  • Vini dolci o liquorosi: Vin Santo, Moscato o altri vini da dessert, che ne esaltano l’aroma di anice.

  • Frutta secca: mandorle, nocciole o pinoli, per creare un contrasto di consistenze.

Grazie alla glassatura aromatizzata, possono anche essere spezzettati e utilizzati per decorare dolci più complessi, come crostate o ciambelle, aggiungendo un tocco tradizionale e fragrante.

Gli zuccherini montanari incarnano la cultura e la tradizione dell’Appennino tosco-emiliano, rappresentando la capacità dei dolci locali di raccontare storie di festa, famiglia e ospitalità. La loro preparazione, semplice ma precisa, unisce ingredienti poveri a una tecnica antica, creando biscotti dal profumo unico e dalla consistenza inimitabile.

Sono il simbolo di un patrimonio gastronomico che unisce territori, famiglie e ricordi, trasmettendo attraverso la dolcezza e il profumo di anice un legame tangibile con la cultura e la storia montanara.



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