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Flantze

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La Flantze è un dolce tipico della Valle d'Aosta.

Descrizione
Veniva preparato nei paesi durante la panificazione (che avveniva una o poche volte l'anno e di solito era caratterizzata dalla produzione del pane nero cotto nei forni comuni dei villaggi) a partire dallo stesso impasto di base del pane, come regalo per i bambini che partecipavano al procedimento collettivo e tradizionale. Oggi viene preparato dai panifici con lavorazione artigianale.
Tradizionalmente di forma rotonda, può essere confezionato anche a forma di animale per i bambini. Gli animali rappresentati vengono scelti tra quelli della simbologia valdostana.

Ingredienti
Gli ingredienti di base sono la farina integrale, di solito di segale o di frumento, la frutta secca e un po' di burro.
È un pane lavorato con lo zucchero e arricchito da uvetta, mandorle, noci e scorza d'arancia candita. Oggi le aziende arricchiscono la ricetta anche con farina bianca e cacao.



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Lo Chef Pâtissier

 

Dolci come opere d'arte Photo Unsplash Brooke Lark


Quando si va in un ristorante stellato o si è ospiti di un albergo di una catena di lusso un dolce squisito è fondamentale per suggellare in modo positivo il successo di una buona cena/pranzo. Un ottimo dessert è come una ciliegina sulla torta di quello che di buono è stato cucinato e servito fino a quel momento. Ecco che entra in gioco la figura professionale di riferimento: lo chef pâtissier che a differenza del pasticcere tradizionale, il quale riempie le vetrine e i banchi di dolci vari per altro con gran maestria, parte da un piatto bianco per creare un opera d'arte come un pittore farebbe difronte ad una tela bianca.

A differenza del pasticcere tradizionale è un pasticcere detto "da ristorazione e d'albergo": unisce passione per l'arte dolciaria e conoscenze base della cucina tradizionale. Lo chef pâtissier si tratta di una grande opportunità di lavoro anche e soprattutto internazionale per i giovani diplomati all'alberghiero. Anche se non ha le competenze e conoscenze approfondite della pasticceria tradizionale si adatta con versatilità alle esigenze del grande ristorante o della struttura alberghiera in cui lavora in un gioco di squadra. Prepara dolci che seguono in primis il gusto dello chef con cui stabilisce la carta dei dessert ma anche in base ai prodotti che seguono le tradizioni del luogo secondo precisi ingredienti spesso a km 0.


Soufflés, gelati e creme, budini e charlotte e sorbetteria.


Non solo dolci. Questo chef anche se non lavora in una pasticceria sa preparare una vasta gamma non solo di dolci ma anche "panetteria dolce" come le torte salate, pane e lievitati per la colazione, i biscotti fino ad arrivare alle praline, ai confetti e ai sorbetti. Poi c'è la pasticceria salata per accompagnare gli aperitivi; usa spezie e verdure e guarnisce con cura i cestini del pane con schiacciata e grissini. Rispetto al pasticcere tradizionale il suo pubblico è più limitato: il suo pubblico è quello dei posti a sedere della sala e dunque i dolci preparati non conoscono la varietà e il fasto di quelli delle vetrine delle pasticcerie delle città.

Piu' precisamente lo Chef pâtissier, che significa responsabile di pasticceria è un cuoco della brigata di cucina che prepara

le paste salate, vol au vent, tartelletta ed altro;

gli entrements (soufflé, crepes, budini, charlotte, ecc.);

la piccola pasticceria;

la pasticceria vera e propria;

negli alberghi si occupa anche dei cornetti e altri prodotti da forno e di pasticceria per la colazione.

È spesso aiutato dallo chef glacier e dallo chef confiseur.


Colazioni a Km 0 con prodotti Bio


I dolci che prepara richiedono molto tempo e pazienza e ovviamente precisione fino a rasentare la perfezione; si giostra dunque tra le giuste e perfette dosi di zucchero per evitare le facili défaillance dei dolci. Lo pastry chef o pasticcere da ristorazione e d’albergo lavora in modo defilato dietro le quinte. Spesso perde ore a cucinare un dolce che nessuno magari ordinerà.

Nella pasticceria si misura tutto alla perfezione non è come nel resto della cucina ai fornelli dove si può sempre aggiustare il tutto con un pizzico di sale e un mestolo di brodo. La pasticceria è chimica e un grammo in più può rovinare il tutto. E' impossibile che crei da zero un piatto ex novo a differenza degli chef, nella pasticceria esistono dolci dagli ingredienti prestabiliti.

Lo Chef Pâtissier è uno chef defilato che sa stare dietro le quinte e prepara ogni cosa minuziosamente spendendo molto più tempo rispetto agli altri addetti in cucina: un semplice cestino del pane è frutto di una curata preparazione come anche una glassatura o raffinata decorazione. Si serve di strumenti come piccole spatole, taglierini e…..la fiamma ossidrica. Ovviamente non stiamo parlando di semplici ristoranti ma di grandi strutture con brigate di cucina.


Mantiene la calma mentre tutti urlano


Suoi alleati sono il forno a convezione vapore, l'abbattitore e la planetaria strumenti indispensabili per fare impasti, pasta fresca, focaccia. pane, pasta sfoglia che serve per brioche e croissant (usati negli alberghi): poi sa fare anche i gelati (ci vuole il mantecatore per questo), i biscotti e la pralineria e infine la crema pasticcera usando gli apposito cuocitori.

Può essere coadiuvato dallo chef glacier, il gelatiere e dallo chef confiseur, chef che lavora zucchero e cioccolato. Il dolce deve essere di ottima qualità a suggellare dei pranzi in genere importanti in cui si è speso gia per antipasto e primo e si vuole concludere (senza aspettare) con una carta dei dolci di qualità. Si aspettano dunque un dessert non di quelli confezionati ma una specie di "dolce a riconferma" di quella buona impressione avuta fin d'ora.


Colazioni da sogno


Uno sbocco lavorativo dopo l'alberghiero?

Si, decisamente, se si sceglie questo mestiere secondo la Federalbeghi dal I° trimestre 2018 risulta, infatti, che nel decennio 2006/2016 il numero di alberghi in Italia è aumentato in percentuale dell’81,1% per gli hotel a 5 stelle (totale 460) e del 45% per quelli a 4 stelle (totale 5.726) - Media annua 2016 - Fonte Istat . Gli occupati nel settore sono 987.802 di cui 233.849 nel solo ricettivo


Quanto guadagna? Dipende in che struttura lavora e dall'inquadramento come potete leggere in questa risorsa che fa riferimento all'anno 2019–2020.

Per concludere per diventare pastry chef occorre essere di base molto precisi, pazienti, avere molta creatività e senso estetico ed essere disposti ad aggiornarsi continuamente in futuro. Servono, come visto delle buone basi di pasticceria ma anche padroneggiare quelle tecniche della cucina e sapersi relazionare bene con gli altri della brigata. In parole povere avere spirito di squadra. Esistono molte opportunità di lavoro anche all'estero nelle catene alberghiere di lusso e nei ristoranti stellati.


Opere d'arte in tavola


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Focaccia veneta

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La focaccia veneta (in lingua veneta fugassa, o fugassin) è un pane pasquale lievitato dolce analogo alla colomba.
In origine era il dolce dei poveri. In occasione delle feste veniva preso l'impasto base del pane e gli venivano aggiunte uova, burro e zucchero (tutto in quantità moderata dati i costi). Poi il dolce veniva cotto nei forni a legna.
In seguito questo dolce è stato 'adottato' dalle pasticcerie fino a diventare più raffinato ed elaborato.
Dovendosi adeguare alle sofisticazioni e complicazioni del palato del mondo moderno, ha perso la semplicità di un tempo. Lo stesso dolce lo si ritrova in diverse versioni spostandosi di paese in paese. Ogni zona o paese del Veneto applica delle varianti che lo rendono unico di posto in posto.
La ricetta è a base di farina, uova, burro e alcuni aromi fondamentali (marsala, cedro, vaniglia). Data la bassa quantità di burro risulta come un dolce leggero.


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Che differenza c'è tra frappe e chiacchiere?

In realtà con frappe, chiacchiere, bugie, cenci o galani si intende sempre il dolce fatto con strisce di pastella fritta.

Questi dolci sono noti in tutta Italia e, a seconda della zona, vengono chiamati in maniera diversa.

Sempre a seconda della zona (e di conseguenza di come vengono chiamate) ci sono piccole differenze nella preparazione, che di fatto le diversificano.

Per esempio tra Venezia e Verona i galani vengono bagnati con vino bianco, mentre nel resto del Veneto ed in Friuli si preferisce usare la grappa per preparare i crostoli. In altre zone si utilizza l'alchermes mentre in altre il liquore è assente.

Le frappe in Umbria hanno una forma più attorcigliata e vengono servite con il miele.

A Bologna, ovviamente, le sfrappole vengono fritte nello strutto mentre in molte altre zone nell'olio.

A Reggio Emilia per la preparazione degli intrigoni si utilizzano scorze di arancia e di limone, oltre al sassolino.

Come detto, quello che ho scritto non è farina del mio sacco, io ero convintissimo fossero tutti uguali.



Tra l'altro, nonostante sia un modenese emigrato a Reggio Emilia, io non le ho mai sentite con le scorze di limone, non ne ho nemmeno mai sentito parlare.


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Bensone

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Il bensone (bensòun in modenese, nella parte centro-meridionale della provincia detto busilàun) è un dolce di origine modenese, forse il più semplice e antico di queste zone, di forma ovale.
Viene spesso mangiato tagliato a fette imbevute nel vino lambrusco.

Storia

Nel XIII secolo la comunità modenese lo offriva alla corporazione dei fabbri e degli orafi in occasione della festa patronale di questi artigiani. L'etimologia del nome potrebbe derivare dal francese pain de son, ovvero pane di crusca, poiché un tempo, si utilizzava per la preparazione del dolce la farina non setacciata. L'antica ricetta del bensone, rimasta nel tempo quasi immutata, prevedeva un impasto di farina, latte, uova, burro e miele. Quest'ultimo ingrediente è stato successivamente sostituito con lo zucchero.
Il bensone può essere farcito con 100-150 gr di marmellata o di savòr.
Lo stesso impasto del bensone era anche utilizzato per un altro tipico dolce della zona, la ciambella, di forma rotonda con un buco al centro.




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Fregolotta

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La fregolotta o sfregolotta (fregoeota o sfregoeota in veneto) è un dolce tipico della cucina trevigiana.


Storia

Come riporta Giuseppe Maffioli, specialista della gastronomia veneta, fu il forno "Zizzola" di Salvarosa a diffondere la ricetta della fregolotta. Aperto nel 1924 da Angelo Zizzola, nei primi tempi gli fu annessa anche una trattoria dove la sorella Evelina preparava il dolce secondo una ricetta imparata da una vecchia amica; quest'ultima era stata cuoca presso una famiglia nobile proprietaria di una villa lungo il Terraglio.
Assai richiesta dai clienti, fu necessario allestire un piccolo laboratorio. Negli anni seguenti cominciò a diffondersi anche altrove (per esempio nei ristoranti della rinomata catena "Toulà" di Alfredo Beltrame) e in breve tempo divenne uno dei più popolari dolci veneti, probabilmente secondo solo al pandoro.
Questo successo portò Alberto Zizzola, figlio di Angelo, ad aprire un moderno stabilimento a Fanzolo nel quale la fregolotta viene tuttora prodotta a livello industriale.


Descrizione

La fregolotta è costituita da un amalgama di farina bianca e zucchero (500 e 150 g rispettivamente) che viene successivamente sbriciolato tra le dita inumidite con panna fresca. Le fregole (da cui il nome) vengono lasciate cadere su una teglia imburrata sino a formare un unico strato, in seguito uniformato e pareggiato con delicatezza.
Viene cotta in forno a 150 °C per essere servita fredda o tiepida, accompagnata a del vino bianco dolce.
In tempi recenti la ricetta originale è stata arricchita con altri ingredienti quali uova, burro e aromi di bacche esotiche.



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Frustingo

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Il fristingo (o frustingo) è un dolce tipico marchigiano a base di frutta secca e fichi; in ascolano è detto fruštìnghë, in fermano frustingu e nel pesarese bostrengo.
Si racconta che il frustingo sia il più antico dolce di Natale, al punto d'essere più remoto ancora del Natale stesso, e che la sua ricetta, più di duemila anni fa, sia passata dalle mani etrusche a quelle picene. Una ricetta che vedeva l'alica (semolino composto da farro, orzo, grano duro, spelta e grano gentile marzaiolo) impastata con il succo d'uva passita e cotta in olle di creta. Il frustingo era quindi un pane povero e sostanzioso, apprezzato dai romani, che lo chiamarono panis picentinus, ed oggetto dell'interesse di Plinio, che descrisse come veniva consumato ammorbidito nel latte mielato.
La ricetta classica, che si è lentamente e naturalmente evoluta nel tempo, sia per il variare del gusto che per ovviare alla scarsa reperibilità di alcuni ingredienti, prevede quale composto principale il pane raffermo tagliato finemente ed ammorbidito in una sorta di brodo di fichi secchi mescolato a mosto cotto (nelle Marche chiamato sapa) al quale vengono aggiunti frutta secca, cioccolato e spezie (senza dimenticare una spruzzatina di mistrà all'anice, presente in numerosi dolci marchigiani).
Come vuole una tradizione che nella gastronomia non bada ai tempi di preparazione ma alla cura ed alla genuinità delle proprie pietanze, l'impasto si lavora a lungo, con l'aiuto dell'ottimo olio d’oliva locale da aggiungere di tanto in tanto. Dopo un prolungato riposo e posto nelle forme, il frustingo viene quindi cotto nel forno a legna per essere quindi finalmente gustato, magari accompagnato da un bicchiere di vino cotto, in tutta la sua antica fragranza evidentemente ancora ben gradita, visto che questo rustico dolce natalizio è diffuso -seppur con nomi diversi - su tutto il territorio regionale sino a sconfinare nell'Abruzzo. Il frustingo è inserito ufficialmente fra i prodotti tradizionali della regione quale tipicità da salvaguardare, tutelare e promuovere.
Ingredienti di un tipico frustingo: fichi, uva sultanina, farina tipo "0" (o, più spesso, come a Ripatransone e nei paesi vicini, farina di tritello), zucchero o miele, olio extra vergine, canditi, cedro, noci, mandorle, cacao, cioccolato extra-fondente, caffè in polvere e liquido, liquori misti.




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Gianduia

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L'impasto oggi conosciuto come gianduia nasce in Piemonte nel 1806.
La sua creazione si attribuisce ai pasticcieri torinesi che sostituirono con la più economica nocciola tonda gentile delle Langhe una parte dell'ormai costosissimo cacao: il blocco economico ordinato da Napoleone per i prodotti dell'industria britannica e delle sue colonie, che rimase in vigore fino al 1813, aveva reso difficile il reperimento del cacao.
Il chocolatier Michele Prochet, in società con Caffarel, perfezionò nel 1852 l'impasto tostando le nocciole e macinandole finemente. Secondo la leggenda, da un “colpo di cucchiaio” dato sapientemente a questo impasto soffice nasce il gianduiotto (o Giandujot) con la sua tipica forma, che verrà presentato come primo cioccolatino incartato in occasione del Carnevale del 1865, distribuito dalla maschera popolare di Torino, Gianduja (da cui il nome dell'impasto).
Oltre che per la preparazione dei gianduiotti, il gianduia si gusta anche in tavolette, in tazza, in crema spalmabile (la Nutella ne è una celebre variante), come ripieno di altre preparazioni dolciarie. Negli anni tutti i grandi cioccolatieri torinesi – De Coster, Domori, Venchi, Baratti & Milano, Caffarel, Gobino, Peyrano, Guido Castagna, G. Pfatisch, Streglio, Stratta – hanno dosato i semplici ingredienti in loro personalissime formule.


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Gianduiotto

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Il gianduiotto o giandujotto (in piemontese giandojòt, IPA [ʤandʊ'jɔt]) è un cioccolatino a forma di barca rovesciata composto con cioccolata denominata gianduia che si produce a Torino. Solitamente è avvolto in carta dorata o argentata.
Viene ottenuto impastando il cacao e lo zucchero con la famosa nocciola Tonda Gentile del Piemonte, rinomata per la sua qualità. È stato incluso tra i prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) piemontesi (cod.:292).

Storia
Il gianduiotto fu prodotto per la prima volta dalla nota società dolciaria torinese Caffarel nello stabilimento situato in Borgo San Donato e presentato al pubblico nel carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja, da cui prende il nome, che distribuiva per le strade della città la nuova bontà.
Le sue origini si riconducono a motivazioni storico-politiche ben precise: con il blocco napoleonico, le quantità di cacao che giungevano in Europa erano ridotte e con prezzi esorbitanti ma ormai la richiesta di cioccolato continuava ad aumentare. Michele Prochet decise allora di sostituire in parte il cacao con un prodotto molto presente nel territorio: la nocciola tonda gentile delle Langhe, una nocciola con gusto deciso e delicato. L'impasto è dunque composto da nocciole tostate e macinate (con la raffinatrice la nocciola diventa una crema perché contiene olio), cacao, burro di cacao e zucchero.

La produzione
Poiché l'alta quantità di nocciole nell'impasto non permetteva che il cioccolatino fosse prodotto in forme, per lungo tempo il gianduiotto veniva tagliato a mano. A Leinì, in provincia di Torino, ci sono ancora tre laboratori che producono gianduiotti tagliandoli e incartandoli a mano.
Oggi esistono due metodi contrapposti per la produzione del gianduiotto: l'estrusione ed il concaggio.
Il gianduiotto prodotto per estrusione è colato direttamente su piastre senza uso di stampi, con macchine progettate e realizzate ad hoc. Tale tecnica permette di produrre Gianduiotti dalla consistenza particolare: né troppo fluida né troppo solida.
Il gianduiotto stampato è molto più industriale, con una percentuale minore di cioccolato ed è, per necessità, più duro, dovendosi staccare dallo stampo.
Il gianduiotto fu il primo cioccolatino impacchettato singolarmente.

Produttori
La Caffarel depositò il marchio "Gianduia" e tuttora è l'unica azienda a poter stampare il volto della maschera sull'incarto Anche altre ditte di cioccolato producono gianduiotti, quali Pernigotti, Streglio, Peyrano, Ziccat, Feletti, Novi, Venchi, La Suissa, Borgodoro, e tutte le piccole cioccolaterie torinesi, come la Ballesio Cioccolato e la Chocoleini, che producono ancora i gianduiotti tagliati a mano.

Curiosità
  • Il gianduiotto più grande del mondo fu realizzato dalla Novi per essere esposto a Torino durante la manifestazione Eurochocolate del 2001: misurava 2 metri di altezza per 4 metri di lunghezza per 1 metro di larghezza con un peso di quaranta quintali, frutto di 150 ore di lavoro.

Abbinamenti consigliati
  • L'Alta Langa spumante rosato, ha un sentore che ricorda il lievito, la crosta di pane e la vaniglia, di sapore secco, sapido ben strutturato, perciò può esser servito come spumante da dessert a tavola, ben freddo, ad una temperatura di 9 °C. È necessario dire che i due prodotti, i Gianduiotti e lo spumante rosato dell'Alta Langa, si abbinano in un insieme di gusti raffinati e complementari.
  • Monferrato Chiaretto (o Ciaret): vino da dessert.
  • Barolo chinato.



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