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“Bonet: L’anima segreta del Piemonte in un dolce di memoria e fuoco lento”

Un dessert antico come la terra che lo ha visto nascere, tra amari nobili, mandorle e cacao.

Il bonet non è semplicemente un dolce da fine pasto. È una dichiarazione d’identità culturale, un sigillo della tradizione gastronomica piemontese, e al contempo un esercizio di equilibrio e profondità aromatica. Incastonato tra le colline delle Langhe e i ricordi dei banchetti di famiglia, il bonet è uno di quei dolci che parlano a bassa voce, ma lasciano un’eco lunga, fatta di consistenze morbide, aromi tostati e un finale vagamente liquoroso che chiude il pasto come un brindisi.

La sua struttura richiama quella del crème caramel, ma il bonet ne amplia il registro: alle uova e al latte si aggiungono amaretti secchi sbriciolati, cacao amaro e una generosa goccia di liquore. Il tutto, avvolto da un velo di caramello che unisce e sottolinea senza sovrastare. Un dessert che non urla per farsi notare, ma conquista con la profondità di chi sa raccontare una storia. E che storia.

La storia del bonet si perde tra le corti sabaude e le cucine contadine. Il nome stesso, “bonet” (o “bunet”), significa berretto in piemontese. Due sono le teorie prevalenti sull’etimologia: una legata alla forma dello stampo in rame in cui veniva cotto il dolce, che ricordava un cappello tondo; l’altra, più poetica, lo descrive come “il cappello del pasto”, ossia l’ultimo piatto che chiude la cena.

Quel che è certo è che il bonet era già in tavola nel Settecento, quando veniva servito nei pranzi aristocratici come dolce conclusivo. Le sue origini, però, sono più umili: probabilmente nacque come variante ingegnosa di dolci al cucchiaio, impreziosita con ciò che offriva la dispensa—uova, zucchero, cacao, liquore e amaretti—ingredienti di facile reperibilità nella società contadina, ma di sorprendente raffinatezza quando sapientemente combinati.

Nel tempo, il bonet si è trasformato da dolce povero a specialità da ristorante, senza mai perdere il legame con la sua terra. Ancora oggi, ogni famiglia piemontese ha una propria versione, tramandata a voce o annotata su vecchi quaderni di ricette.

A differenza di dessert elaborati, il bonet vive di pochi ingredienti essenziali, la cui qualità fa tutta la differenza. Uova freschissime, latte intero, zucchero semolato, cacao amaro di buona intensità, amaretti secchi croccanti e un liquore (solitamente rum, brandy o Fernet). Nulla di decorativo o superfluo: ogni ingrediente ha un ruolo preciso, che contribuisce alla struttura, al profilo aromatico e alla consistenza finale.

Gli amaretti sono un punto nodale: meglio se artigianali, di quelli friabili e profumati di mandorla amara, capaci di fondersi con il composto e di donare quella nota tostata e amarognola che bilancia la dolcezza del caramello. Il cacao, anch’esso fondamentale, deve essere intenso ma non invadente: il bonet non è una mousse al cioccolato, bensì un equilibrio tra amaro, dolce, cremoso e croccante.

Realizzare un bonet eccellente non è complicato, ma richiede attenzione ai dettagli e rispetto per i tempi di cottura e raffreddamento. La cottura a bagnomaria è imprescindibile per garantire una consistenza setosa e uniforme, evitando la formazione di grumi o la coagulazione eccessiva delle uova.

Ricetta tradizionale del bonet piemontese (per 6-8 persone)

Ingredienti:

  • 4 uova intere

  • 100 g di zucchero semolato

  • 500 ml di latte intero

  • 30 g di cacao amaro in polvere

  • 100 g di amaretti secchi sbriciolati finemente

  • 1 cucchiaio di rum scuro (o Fernet, a piacere)

  • Per il caramello: 100 g di zucchero + 2 cucchiai d’acqua

Procedimento:

  1. Preparare il caramello:
    In un pentolino, versare lo zucchero con l’acqua. Far sciogliere a fuoco medio senza mescolare, finché il composto assume un colore dorato intenso. Versarlo immediatamente nello stampo, inclinandolo per distribuire uniformemente il caramello sul fondo e sui bordi. Lasciar raffreddare.

  2. Preparare il composto:
    In una ciotola capiente, sbattere le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro. Aggiungere il cacao setacciato, gli amaretti tritati e il liquore. Versare infine il latte, poco alla volta, mescolando bene per evitare la formazione di schiuma e amalgamare tutti gli ingredienti.

  3. Cottura a bagnomaria:
    Versare il composto nello stampo caramellato. Adagiare lo stampo in una teglia più grande e versare acqua calda nella teglia fino a metà altezza dello stampo. Cuocere in forno statico preriscaldato a 160°C per circa 50 minuti, controllando la consistenza con uno stecchino: deve uscire pulito ma umido.

  4. Riposo e sformatura:
    Lasciar raffreddare completamente a temperatura ambiente, poi coprire e riporre in frigorifero per almeno 6 ore (meglio tutta la notte). Al momento del servizio, passare un coltello lungo i bordi dello stampo e capovolgere con un colpo deciso su un piatto da portata.

Nel tempo, alcune interpretazioni del bonet hanno sostituito il latte con panna per una consistenza più vellutata, o introdotto cioccolato fondente fuso al posto del cacao in polvere per una nota più golosa. Altre versioni omettono il liquore per renderlo adatto ai bambini, oppure utilizzano grappa o amaretto di Saronno come varianti più aromatiche.

I grandi chef contemporanei hanno iniziato a scomporre il bonet: presentandolo sotto forma di mousse, gelato, cremoso o in bicchierini monoporzione, conservandone però sempre il nucleo fondamentale di amaretti, cacao e liquore.

Il bonet è un dessert stratificato, aromaticamente complesso. Per accompagnarlo al meglio occorre scegliere bevande capaci di reggere la sua intensità e di interagire con il cacao e l’amaretto.

  • Vini da dessert:
    Un Barolo Chinato o un Passito di Caluso funzionano perfettamente. Il primo per la sua speziatura balsamica, il secondo per il contrasto tra la freschezza e la morbidezza del dolce.

  • Liquori:
    Il rum agricolo invecchiato o un amaro alle erbe piemontese, come il Rabarbaro Zucca o il Braulio, esaltano le sfumature amare e tostate del dessert.

  • Caffè:
    Un espresso ben estratto, servito senza zucchero, completa idealmente l’esperienza gustativa, rafforzando le note tostate e mitigando la dolcezza residua.

Il bonet non è solo un dolce, ma un lascito. Conserva dentro di sé un patrimonio culturale che parla di case di campagna, di credenze in legno scuro, di pranzi domenicali e di gesti ripetuti nei secoli. Non ha bisogno di rivendicazioni moderniste o interpretazioni forzate: vive nella misura, nella sostanza e nella continuità.

È un dessert che ci ricorda che, a volte, le cose più semplici sono anche le più durature. E che, per lasciare un segno, non serve brillare: basta restare fedeli a sé stessi.


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