Storia
Al piano terreno del Palazzo Ruspoli
(ex Gaetani), che sorge fra piazza San Lorenzo in Lucina, largo
Goldoni e il Corso Umberto, c'era il Caffè Nuovo: otto sale
affrescate, tra cui la Barchessa con aerei e luminosi
pergolati, dipinta nel 1827 dall'olandese Lindström.
La prima decorazione ad affresco, di
gusto schiettamente arcadico e oggi interamente perduta, era stata
commissionata da Francesco Maria Ruspoli nel 1715 e vi avevano
lavorato Pietro Paolo Cennini, Antonio Bicchierai, Antonio Amorosi,
Christian Reder e Francesco Borgognone (François Simonet). Gli
affreschi resistettero fino al 1838, quando furono distrutti. «Una
memoria la troviamo in un dipinto di Karl Jhoan Linström La sala
boschereccia al Caffè Nuovo a Palazzo Ruspoli, 1827, oggi a
Roma, Museo Napoleone.»
Stendhal descrisse le sale del Caffè
Nuovo in questi termini, nelle sue Promenades dans Rome, alla
data 10 ottobre 1828: «Hanno grandi porte finestre, che si aprono
direttamente su un giardino pieno d'aranci, le cui frutta dorate sono
pronte per essere colte.» Ad aspettare gli avventori, all'ingresso
sul Corso sostava il nano Giovanni Giganti, detto Bajocco
(1792-1834), che faceva un curioso gioco di abilità con una
monetina: la metteva sulla fronte, poi con un volteggio la lanciava
in aria e la riprendeva in bocca. Alla sua morte, Bajocco
meritò una citazione nel sonetto del Belli L'anima der curzoretto
apostolico.
Il Perdono di Pio IX
Il 16 luglio 1846, per la sua
elevazione a pontefice, Pio IX promulgò l'editto del Perdono,
con il quale cancellava i delitti di natura politica, liberava dal
carcere i detenuti politici e troncava i processi per delitti
politici. Un tripudio di feste attraversò l'intero Stato della
Chiesa: luminarie, balli in piazza, odi di ringraziamento. Qui nacque
la speranza illusoria che il Pontefice poteva essere messo a capo di
una Unione politica dell'Italia.
Dal racconto di un cronista del tempo sappiamo che cosa accadde al
Caffè Nuovo: «Nel novero de' domestici tripudii siami lecito
ricordare quello che ebbe luogo nel giardino del caffè sotto il
palazzo Ruspoli, procurato dal proprietario di esso, Vincenzo Ricci.
Ivi furono canti, suoni, fuochi artifiziati; e il tutto procedette
col più bell'ordine, e mantenne la letizia nel popolo. Dirò pure,
come l'esterna parte del caffè che guarda sul corso facesse vaga
mostra per questa iscrizione:Vivi alla felicità de' tuoi popoli
Vivi all'amor de' tuoi figli
Vivi alla venerazione del mondo.
Sulla porta poi, per cui si ha ingresso al giardino del caffè, era lo stemma del Pontefice, colla seguente iscrizione sottostante:
Ti salutino o venerato stemma le genti
Siccome aurora di giorni più avventurosi.
Tanto questa, quanto l'antecedente
epigrafe furono dettate da quel vivace ingegno che è Francesco
Spada.»
Nel 1847 il Caffè Nuovo fu il primo
locale romano ad essere illuminato a gas.
Gli anni dell'attesa
Dopo la caduta della Repubblica romana
i militari francesi furono trattati con scortesia dal personale del
Caffè Nuovo, tanto che fu necessario chiuderlo. Alla riapertura, il
suo nome era mutato in Café Militaire Français. Al contrario, le
vittorie del 1859 furono celebrate in piena concordia, da festanti
avventori francesi e italiani. Una sala del Caffè Nuovo diventò il
luogo d'incontro dei poeti della Scuola romana, un gruppo di poeti e
scrittori, tra cui i fratelli Giovanni Battista e Giuseppe Maccari,
il giovanissimo Domenico Gnoli e il duca Giovanni Torlonia - figlio
di don Marino - poeta, filantropo e collezionista di antiche
iscrizioni latine. Ai tavolini del caffè sedettero Giosuè Carducci,
in visita per esplorare le rovine romane ed Enrico Nencioni. I
discorsi rimbalzavano dalla metrica alla traduzione di liriche
dell'antica Grecia, da Dante a Orazio, da Leopardi a Cicerone. Di
romanticismo, di Berchet, degli Inni di Manzoni, questi poeti non
volevano sentir parlare.
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