Il Caffè Pedrocchi è un caffè
storico di fama internazionale, situato nel pieno centro di Padova,
in via VIII Febbraio nº 15. Aperto giorno e notte dal 1916 e perciò
noto anche come il "Caffè senza porte", per oltre un
secolo è stato un prestigioso punto d'incontro frequentato da
intellettuali, studenti, accademici e uomini politici. L'8 febbraio
1848, il ferimento al suo interno di uno studente universitario diede
il via ad alcuni dei moti caratterizzanti il Risorgimento italiano e
che sono ancora oggi ricordati nell'inno ufficiale universitario, Di
canti di gioia.
Storia
(FR)
« C'est à Padoue que
j'ai commencé à voir la vie à la vénitienne, les femmes dans
les cafés. L'excellent restaurateur Pedrocchi, le meilleur
d'Italie. »
|
(IT)
« È a Padova che ho
cominciato a vedere la vita alla maniera veneziana, con le donne
sedute nei caffè. L'eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore
d'Italia. »
|
(Stendhal) |
Tra Settecento e Ottocento il consumo
del caffè si è diffuso anche in Italia e si è andata così
affermando la tradizione del caffè come circolo borghese e come
punto d'incontro aperto, in contrapposizione alla dimensione privata
dei salotti nobili. A Padova la presenza aggiuntiva di oltre tremila
persone tra studenti, commercianti e militari fece sì che, più che
in altri centri cittadini, si sviluppasse questo tipo di attività.
In questo contesto, nel 1772 il
bergamasco Francesco Pedrocchi apre una fortunata "bottega del
caffè" in un punto strategico di Padova, a poca distanza
dall'Università, dal Municipio, dai mercati, dal teatro e dalla
piazza dei Noli (oggi Piazza Garibaldi), da cui partivano diligenze
per le città vicine, e dall'Ufficio delle Poste (oggi sede di una
banca).
Il figlio Antonio, ereditata la
fiorente attività paterna nel 1800, dimostra subito capacità
imprenditoriali decidendo di investire i guadagni nell'acquisto dei
locali contigui al suo e, nel giro di circa 20 anni, si ritrova
proprietario dell'intero isolato, un'area pressappoco triangolare
delimitata a est dalla via della Garzeria (oggi via VIII Febbraio), a
ovest da via della Pescheria Vecchia (oggi vicolo Pedrocchi) e a nord
dall'Oratorio di San Giobbe (oggi piazzetta Pedrocchi).
Il 16 agosto 1826 Antonio Pedrocchi
presenta alle autorità comunali il progetto per la costruzione di
uno stabilimento, comprendente locali destinati alla torrefazione,
alla preparazione del caffè, alla "conserva del ghiaccio"
e alla mescita delle bevande. Prima di questo cantiere, Pedrocchi
aveva incaricato un altro tecnico, Giuseppe Bisacco, di eseguire i
lavori di demolizione dell'intero isolato e di costruire un edificio
ma, insoddisfatto del risultato, aveva richiesto a Giuseppe Jappelli,
ingegnere e architetto già di fama europea e esponente di spicco
della borghesia cittadina che frequentava il caffè, di riprogettare
il complesso dandogli un'impronta elegante e unica.
Nonostante le difficoltà determinate
dal dover disegnare su una pianta irregolare e dal dover coordinare
facciate spazialmente diverse, Jappelli fu in grado di progettare un
edificio eclettico che trova la sua unità nell'impianto di stile
neoclassico. L'illustre veneziano volle trasferire in architettura la
sua visione laica e illuminista della società, creando quello che
poi diverrà uno degli edifici-simbolo della città di Padova.
Il piano terreno fu ultimato nel 1831,
mentre nel 1839 venne realizzato il corpo aggiunto in stile neogotico
denominato "Pedrocchino", destinato ad accogliere
l'offelleria (pasticceria). In occasione del "IV
Congresso degli scienziati italiani" (evento dal titolo
significativo, visto che Padova si trovava ancora sotto la
dominazione asburgica), nel 1842 si inaugurarono le sale del piano
superiore che, secondo il gusto storicizzante dell'epoca, erano state
decorate in stili diversi, creando un singolare percorso attraverso
le civiltà dell'uomo.
Per la loro realizzazione Jappelli si
avvalse della collaborazione dell'ingegnere veronese Bartolomeo
Franceschini e di numerosi decoratori, tra cui il romano Giuseppe
Petrelli, al quale si deve la fusione delle balaustre delle terrazze
con i grifi, i bellunesi Giovanni De Min, ideatore della sala greca,
Ippolito Caffi della sala romana e Pietro Paoletti della sala
pompeiana (o "ercolana"), il padovano Vincenzo Gazzotto,
pittore del dipinto sul soffitto della sala rinascimentale.
Le sale del piano superiore erano
destinate a incontri, convegni, feste e spettacoli e il loro utilizzo
veniva concesso ad associazioni pubbliche e private che, a vario
titolo, potevano organizzare eventi.
Antonio Pedrocchi si spense il 22
gennaio 1852. Animato dalla volontà di lasciare la gestione del suo
caffè a una persona di fiducia, aveva adottato Domenico Cappellato,
il figlio di un suo garzone, che alla morte del padre putativo si
impegnò nel dare continuità all'impresa ricevuta in eredità, pur
cedendo in gestione le varie sezioni dello stabilimento.
Alla morte di Cappellato, avvenuta nel
1891, il caffè passa al Comune di Padova. In un testamento stilato
alcuni mesi prima, Cappellato lasciava infatti lo stabilimento ai
suoi concittadini:
« Faccio obbligo
solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in
perpetuo, oltre la proprietà, l'uso dello Stabilimento come
trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti
quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi
mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo
genere possa mantenere il primato in Italia »
|
(Dal testamento
di Domenico Cappellato Pedrocchi
|
La decadenza
Un inevitabile degrado dovuto alle
difficoltà determinate dalla grande guerra caratterizzerà il caffè
negli anni tra il 1915 e il 1924. In quest'ultima data hanno inizio i
lavori di restauro del "Pedrocchino", che si protrarranno
fino al 1927. Negli anni successivi va purtroppo dispersa gran parte
degli arredi originari disegnati dallo stesso Jappelli, che verranno
sostituiti via via nell'epoca fascista.
Dopo la seconda guerra mondiale, con il
progetto dell'architetto Angelo Pisani che si impone contro quello di
Carlo Scarpa, mai preso in considerazione dall'amministrazione
comunale, si avvia un nuovo restauro che ridefinisce i vani
affacciati sul vicolo posteriore, trasforma lo stesso vicolo in una
galleria coperta da vetrocemento e ricava alcuni negozi, un posto
telefonico pubblico e una fontana in bronzo sventrando parte
dell'Offelleria, del Ristoratore e demolendo la Sala del Biliardo.
Nonostante le proteste di molti
cittadini e le perplessità della Soprintendenza ai monumenti, viene
sostituito lo storico bancone in marmo con banchi di foggia moderna,
viene installata una fontana luminosa al neon e le carte geografiche
della sala centrale, caratterizzate dalla rappresentazione rovesciata
delle terre emerse (curiosamente il sud viene rappresentato in alto)
vengono sostituite da specchi.
Per buona parte degli anni ottanta e
novanta il Pedrocchi rimane chiuso per difficoltà tra i titolari
della gestione e il Comune; nel 1994 viene finalmente deciso il
recupero dei locali e all'architetto Umberto Riva e ai collaboratori
M. Macchietto, P. Bovini e M. Manfredi viene affidato il compito di
rimediare ai danni provocati dal devastante restauro Pisani degli
anni cinquanta e di riportare all'antico splendore i locali dello
storico caffè.
Dopo l'esecuzione del primo stralcio di
lavori, il 22 dicembre 1998 il caffè viene restituito ai cittadini
di Padova.
Architettura
Il Caffè Pedrocchi si configura come
un edificio di pianta approssimativamente triangolare, paragonata a
un clavicembalo. La facciata principale si presenta con un alto
basamento in bugnato liscio, guarda verso est e si sviluppa lungo la
via VIII Febbraio; su di essa si affacciano le tre sale principali
del piano terra: la Sala Bianca, la Sala Rossa e la Sala Verde, così
chiamate dal colore delle tappezzerie realizzate dopo l'Unità
d'Italia nel 1861.
La Sala Rossa è quella centrale,
divisa in tre spazi, è la più grande e vede attualmente
ripristinato il bancone scanalato di marmo così come progettato da
Jappelli. La Sala Verde, caratterizzata da un grande specchio posto
sopra al camino, era per tradizione destinata a chi voleva
accomodarsi e leggere i quotidiani senza obbligo di consumare. È
stata pertanto ritrovo preferito degli studenti squattrinati e a
Padova si fa risalire a questa consuetudine il modo di dire essere
al verde. La Sala Bianca, si affaccia verso il Bo, conserva in
una parete il foro di un proiettile sparato nel 1848 dai soldati
austro-ungarici contro gli studenti in rivolta contro la dominazione
asburgica. Inoltre, è anche nota come ambientazione scelta da
Stendhal per il suo romanzo "La certosa di Parma". Completa
il piano terra la Sala Ottagona o della Borsa, dall'arredo non troppo
raffinato, destinata in origine alle contrattazioni commerciali.
A sud il caffè termina con una loggia
sostenuta da colonne doriche e affiancata dal corpo neogotico del
cosiddetto "Pedrocchino". Quest'ultimo, è costituito da
una torretta a base ottagonale che rappresenta una fonte di luce,
grazie alle finestre disposte su ogni lato. Inoltre, al suo interno è
presente una scala a chiocciola. Due logge nello stesso stile si
trovano dislocate sul lato nord, e davanti a queste si trovano
quattro leoni in pietra scolpiti dal Petrelli, che imitano quelli in
basalto che ornano la cordonata del Campidoglio a Roma.
Tra le due logge del lato nord si trova
una terrazza delimitata da colonne corinzie.
Il piano superiore o "piano
nobile" è articolato in dieci sale, ciascuna decorata con uno
stile diverso:
Etrusca
Greca
Romana: caratterizzata da una
pianta circolare;
Stanzino barocco
Rinascimentale
Gotica-medievale
Ercolana o pompeiana: tipici sono
i decori che ricordano le ville romane;
Rossini: è la stanza più grande,
infatti riproduce la stessa planimetria della sala Rossa del piano
terra. In questa stanza, dedicata a Rossini e Napoleone, possiamo
osservare degli stucchi a tema musicale che ne rappresentano
simbolicamente la destinazione d'uso.
Moresca: molto piccola;
Egizia: ai quattro angoli della
stanza troviamo dei piedistalli che sorreggono una finta
trabeazione, e diversi attributi che ci rimandano alla cultura
egiziana.
La chiave di lettura di questo apparato
decorativo può essere quella romantica di rivisitazione nostalgica
degli stili del passato. Non è esclusa però una chiave esoterica o
massonica (Jappelli era massone). I simboli egizi precedono la
decifrazione della scrittura geroglifica da parte di Champollion e
sono piuttosto un omaggio al grande esploratore padovano Giovanni
Battista Belzoni, che aveva scoperto numerosi monumenti egizi e di
cui Jappelli aveva conoscenza diretta.
Presso il piano nobile dello
Stabilimento si trova il Museo del Risorgimento e dell'età
contemporanea, dove sono conservati tra gli altri i ritratti del
fondatore Antonio Pedrocchi e del suo successore Domenico Cappellato
Pedrocchi, entrambi opera di Achille Astolfi.